Yagyu Munenori, Heiho kadensho, a cura di W. S. Wilson, trad. it. di M. Amarillis Rossi, Luni, Milano 2004, p. 4

Il maestro ha appena concluso un elenco di tecniche da lui reputate fondamentali: tre insegnamenti,
nove espressioni e otto tecniche di spada. Non le ha spiegate, le ha semplicemente elencate,
sottolineando come la trasmissione di questi insegnamenti e tecniche debba essere affidata alla
pratica dell’insegnante con l’allievo. È a questo punto che egli inserisce una citazione da un antico
testo cinese, lo Han shu, o Storia dei primi Han, dello storico Bān Gù (32-92 d.C.). Certamente il
contesto originario della citazione è quello militare e strategico, ma viene riportato da Yagyu
Munenori come metafora per descrivere il luogo in cui si decide la vittoria in uno scontro di spada.
«L’interno delle tende del campo è la tua mente», dice il maestro, e fino a qui potremmo anche
agilmente seguire il suo ragionamento. Ma in che senso questo vada inteso, forse è meno scontato.

Il luogo di controllo delle nostre decisioni, ovvero del nostro modo di rapportarci con noi stessi e il
mondo che ci circonda è senza dubbio la nostra mente. Tuttavia, in uno scontro di spada, così come
in molte altre situazioni che si presentano nella nostra vita, non ci si può fermare a pensare: occorre
un’azione o una reazione in tempi pressoché immediati, che nessun essere umano naturalmente
potrebbe gestire. Abbiamo visto negli ultimi mesi, attraverso la lettura di molti autori classici che si
sono occupati di Budo, come l’approccio filosofico-analitico all’occidentale sia un orizzonte del
tutto escluso dalle discipline marziali, il cui fine principale, sul piano pratico, è quello di indurre
uno stato di consapevole intuizione. Ora quando Munenori parla di stratagemmi e della mente come
di una tenda di comando in una spedizione militare non si riferisce al momento dello scontro
effettivo, ma di ciò che lo prepara. La mente è fondamentale non nell’applicazione della tecnica, ma
nella comprensione dei suoi presupposti.
Portando le cose su un piano molto concreto, ogni persona è in grado di comprendere
un’indicazione precisa come “la lama deve essere a 45°” oppure “il taglio non è determinato dalla
forza delle braccia, ma dalla chiusura delle dita”. Tutte queste informazioni sono molto semplici
anche da visualizzare sul piano cognitivo, eppure richiedono anni di pratica per essere eseguite
correttamente, con naturalezza. Pur pensando con la massima attenzione al modo in cui abbiamo
osservato compiere un azione dal nostro insegnante, nessuno di noi è in grado di riprodurre il
medesimo gesto nello stesso modo le prime volte. Il momento della mente, del campo base in cui
possiamo stabilire i nostri piani vittoriosi, non coincide con quello della pratica. Esso si situa invece
tra gli spazi della nostra pratica, ovvero nel momento dell’ascolto, dell’attenzione e dell’impegno
nell’affrontare un cammino. Il momento della mente è quello che ti porta ad ascoltare le spiegazioni
dei maestri, ma anche ad andare al dojo anche dopo una dura giornata di lavoro; è quello che ti
spinge a fare una levataccia per andare ad uno stage lontano da casa; è quello che ti porta a
ridimensionare le tue pretese per farti compagno di strada di persone che non pensavi avresti dovuto
conoscere in quello stesso modo. Questo è il momento della mente. Nel trattato di Munenori, la
lettura delle indicazioni e delle tecniche necessarie per creare i fondamenti della pratica e
dell’adesione alla sua scuola costituisce il momento della mente. Eppure il fatto che ogni tecnica
non sia descritta su carta ma debba essere lasciata alla pratica concreta dell’allievo con l’insegnante
spiega bene la natura profonda del Budo come cammino e viaggio. Nessuna persona ragionevole
deciderebbe di intraprendere un lungo cammino a piedi senza uno zaino e il giusto
equipaggiamento; la mente consiste nel preparare lo zaino e decidere la direzione dei propri passi, il
cammino però è riservato ai piedi.

1 COMMENT

  1. A me questo discorso richiama alla mente qualcos’altro. Secondo una teoria politica, alcuni guerrieri in Giappone al tempo che noi occidentali chiamiamo Evo Moderno detennero il potere nel mondo, per ciò che facevano in un solo luogo – e per la funzione che quel luogo aveva rispetto agli altri.

    MAURO PASTORE

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