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Mental Coaching – 7 – Uscire dalla zona di comfort

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Mental Coaching

Bentornato nella rubrica di mental coaching: utilizzare la mente per ottenere risultati migliori.
Il mio intento è quello di fornirti alcuni spunti per riuscire a dare il meglio di te negli allenamenti, nelle gare e negli esami di iaido e jodo.

Articoli precedenti:
1 - Introduzione
2 - Gli Obiettivi
3 - Motivazione
4 - Concentrazione
5 - Dialogo Interno
6 - La Respirazione

La zona di comfort è quello stato di benessere psico-fisico nel quale ci sentiamo pienamente a nostro agio.

Avete presente quelle circostanze in cui abbiamo il controllo totale della situazione, con le nostre abitudini, con le persone che conosciamo, e facciamo tutto ciò che ci piace e ci viene facile? Beh, quella è la nostra comfort zone.

Poter vivere, lavorare o praticare arti marziali restando nella nostra zona di comfort ci pone in uno stato di sicurezza mentale, ci fa essere sicuri, facciamo le cose senza ansia e stress e ci sentiamo tranquilli e disinvolti.

La zona di comfort però deve essere uno spazio di partenza e non un punto di arrivo. Dobbiamo essere consapevoli che navigare sempre in acque sicure, non ci fa evolvere, non ci fa crescere, non ci fa migliorare.

Ogni nave in porto è sicura. Ma questo non è lo scopo per cui è stata costruita.

W. Shed

Uno dei segreti per migliorare la pratica marziale è allargare la nostra zona di comfort, sperimentare anche le cose che ci spaventano e affrontare ciò che ancora non conosciamo e non sappiamo fare.

Se durante la nostra pratica continuiamo a ripetere sempre gli stessi movimenti, facendo ciò che già conosciamo, perpetrando le nostre cattive abitudini, tutto quello che ci viene facile, nei nostri dojo, con i nostri compagni di pratica, stiamo scegliendo di non rischiare.

Per contro, uscire dalla zona di comfort equivale a mettere un piede in un terreno sconosciuto, ad esporsi a una sensazione di disagio, se non addirittura di ansia e paura. La nostra mente, che ha l’obiettivo di proteggerci, ci consiglierà di rientrare quanto più in fretta possibile nella nostra zona di comfort.

Il segreto è resistere a questa tentazione e affrontare il disagio iniziale. Partiamo dai piccoli cambiamenti, affrontiamo dapprima le sfide semplici da vincere e facciamolo ogni volta che ne abbiamo la possibilità.

E da quel momento, ciò che prima ci spaventava smetterà di farlo e anzi entrerà nella nostra zona di comfort, ampliandola.

Cambiare offre nuove prospettive, ci fa vedere le cose da un altro punto di vista e quindi ci offre uno sguardo nuovo.

La Maestra Danielle Borra ha già ampiamente parlato della comfort zone applicata allo iaido.

Vi suggerisco di andarvi a rileggere il suo articolo!

La pratica dell’uscire dal tuo porto sicuro è un’attitudine mentale che va allenata esattamente come alleniamo il nostro corpo. Sappiamo perfettamente che praticare le nostre arti marziali senza costanza, i risultati raggiunti vanno in fumo. La stessa cosa accade alle vie neuronali che si costruiscono con l’allenamento mentale e, proprio come avviene al corpo, anche la mente perde la propria tonicità se smette di esercitarsi.

Nulla avviene per magia, perché nessuno ha la bacchetta magica. La bacchetta magica è dentro di te!

L’azione è al centro di tutto. L’azione è fondamentale. Il nostro scopo deve essere quello di raggiungere la capacità di sentirti a proprio agio in una situazione di disagio.

Stefania Battista in suo vecchio articolo scriveva:

Specie nello iaido, la riuscita nel cambiamento in senso migliorativo richiede un percorso lungo e tortuoso, scomodo, che prevede l’assoluta volontà di uscire dagli schemi mentali a cui si è abituati.

Ed è proprio così.

Se per agire aspettiamo il momento in cui non avremo paura probabilmente non lo faremo mai e non raggiungeremo l’obiettivo che ci siamo prefissati. Quando ci alleniamo a superare la paura e andiamo incontro all’azione accediamo a un grande potere trasformativo. E la prima persona che puoi trasformare sei tu, perché a volte non servono grandi rivoluzioni per cambiare la vita, basta scardinare piccole abitudini e ricordarsi di cambiare prospettiva ogni volta che ne abbiamo l’occasione.

Per sviluppare nuove competenze si deve uscire da quello che si sa fare. Finché siamo comodi le nostre prestazioni rimangono piatte, facciamo quel che dobbiamo fare, magari lo facciamo anche bene, ma senza alcun miglioramento. Occorre spingersi più in là perché se cerchiamo di evitare sempre il disagio e l’insicurezza, restiamo inchiodati dove siamo.

E allora non ci resta che sperimentare. Proviamo con piccoli cambiamenti. Analizziamo i nostri movimenti e proviamo a cambiarli in base ai suggerimenti dei nostri sensei. Anche se questo porterà ad un temporaneo peggioramento globale del nostro iaido e del nostro jodo. Come dice sempre Claudio Zanoni un cambiamento porta inevitabilmente ad una sensazione di disagio; se non proviamo questa nuova sensazione vuol dire che non stiamo cambiando.

E ogni qual volta ne abbiamo la possibilità, proviamo a sperimentare cose nuove: pratichiamo sempre come fossimo dilettanti che nulla sanno. Cerchiamo in noi stessi la voglia di imparare sempre. Sbagliare e imparare. Usciamo dai nostri confini, mentali e territoriali, osiamo senza paura di commettere errori, partecipiamo ad allenamenti e seminari fuori dal nostro dojo, impariamo a vedere negli altri non solo gli aspetti negativi ma apprezziamo le cose che ci piacciono e cerchiamo di replicarle.

Siamo noi a decidere se vivere il cambiamento come un pericolo o come una possibilità.
Cambiare è possibile e dipende solo da noi!

PER RAGGIUNGERE QUALCOSA CHE NON HAI MAI OTTENUTO FINO AD ORA, DEVI DIVENTARE QUALCUNO CHE NON SEI MAI STATO.

Budo Jisho – 10 – Tsuka ate

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budo jisho

Budo Jisho – Le parole Giapponesi che usiamo nelle arti marziali.

Puntata 10: Tsuka ate.

Continuando con la serie dei 12 kata della Zen Nippon Kendō Renmei, dopo aver visto i significati di Mae, Ushiro e Ukenagashi oggi Cristina ci parla del 4° kata: Tsuka ate e della posizione tatehiza.

Buona visione e non dimenticate gli approfondimenti nel pdf che trovate in fondo a questo articolo.

Video

PDF

Ed ecco il PDF di approfondimento

Per una consultazione più agevole, scarica il pdf tramite il bottone qui sotto.

Link

Come anticipato nel video e riportato nell’ultima pagina del PDF, qui sotto potete vedere il video Shikko (Knee Walking) Forward Aikido Demonstration

Campionati Europei di Iaido – Riflessioni

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Eic2023

Il Maestro Nakamura Hanshi 8° dan Iaido durante lo stage dei campionati Europei di Monaco, prima di spiegare i vari kata, ha tenuto un discorso contenente molti spunti interessanti.

Vorrei riprendere alcuni punti in modo che rimangano per chi non era a Monaco e per tutti noi.

I punti che mi hanno colpito sono in particolare tre.

Qual è allora lo spirito del Bushido? Bushido è lo spirito di sacrificio di sé.
Non è mai “io per primo”, bisogna anteporre gli interessi degli altri ai propri.

Credo che l’allenamento nelle arti marziali sia un modo per coltivare questa capacità.
Portare la pace agli altri significa portare la pace a sè stessi.”

Già il Maestro Yamazaki Takashige aveva parlato molto dell’importanza del dare (vedi l’importanza del dare) e di come sia diverso diventare bravi formalmente o accrescere il proprio cuore attraverso la pratica. La crescita e le capacità di un insegnante vengono valutate attraverso i risultati dei propri allievi. La propria crescita è una crescita delle capacità di dare ad altri e di costruire il futuro. Non è mai una questione di “io sono il più bravo” o  “io sono un Maestro”. Il nostro grado e le nostre capacità non hanno significato se non in funzione della crescita di altri e della continuità del budo nelle future generazioni. Il Maestro Yamazaki diceva che per attribuire un grado alto nello iaido non bisogna valutare solo la tecnica ma anche il cuore: c’è pace oppure conflitto, c’è altruismo oppure egoismo. E’ un concetto su cui rifletto da tempo ed è stato interessante sentirlo riproporre.

Sakki (intento omicida) si verifica solo quando c’è un avversario. Senza un avversario, non esiste iaido. Senza un avversario, non è più iaido. Il nostro obiettivo è allenare il Riai del Budo.”

Questo è un punto difficile da realizzare. Anche quest’anno ho fatto parte della Commissione di Iaido per i 6° e 7° dan e in linea generale i Sensei giapponesi hanno riscontrato nei candidati una mancanza di Riai. Nuovamente anche il Maestro Yamazaki e il Maestro Mitani  ci avevano parlato di questo problema durante una sessione di esame fino a 7° dan tenutasi in Italia. E’ difficile realizzare queto punto e spesso mi sento chiedere come mi posso allenare per farlo.

Un Sensei giapponese discutendo con me di cosa valutare negli esami da 6° e 7° dan mi ha detto: Zanshin” non è solo un movimento per stare fermi. “Zanshin” non è solo ciò che accade dopo il taglio. Dal primo Shomennirei all’ultimo Shomennirei, tieni sempre gli occhi e il cuore sull’avversario? Se riesci a farlo, puoi naturalmente mostrare Hinkaku e Kigurai (dignità del tuo animo) che sono gli aspetti richiesti per i passaggi di grado di 6° e 7°.”

E’ un concetto che molti Maestri giapponesi sottolineano e che determina un salto di qualità nel nostro iaido. Il Maestro Nakamura lo ha sottolineato più volte in più occasioni a Monaco.

Il genio non può competere con qualcuno che lavora duro.
Una persona che lavora duro non può vincere contro una persona che si diverte.”

Ho trovato queste parole una sintesi geniale. Spesso incontriamo gente con molto talento. Nella nostra  esperienza di insegnanti le persone di talento sono quelle che hanno più probabilità di smettere perché ad un certo punto il talento non basta e ci vuole un grande lavoro per costruire la profondità di pratica. Le persone di talento però spesso non hanno la capacità di accettare che il progresso è lento e richiede impegno. In sintesi meglio investire il proprio tempo per un allievo con scarse capacità motorie ma un grande impegno o per un allievo talentuoso? Ovvio si investe su tutti ma quali sono le nostre aspettative in un caso e nell’altro?

E’ però necessario trovare divertimento nella propria pratica, se la pratica non apporta dei benefici, non ci fa sentire meglio con il nostro corpo o con noi stessi, se non ci divertiamo in qualche modo, non riusciremo a trovare le motivazioni per continuare a perfezionare sempre gli stessi gesti.

Voglio a conclusione di queste brevi note ringraziare il Maestro Nakamura per le parole espresse e per lo splendido stage tenuto ai campionati.

Takuan Sōhō – 2

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«Kannon dalle mille braccia» ha mille braccia. Se la mente si fermasse sul braccio che tiene l’arco, renderebbe inutili le rimanenti novecentonovantanove. È proprio perché la mente non si ferma su un punto, che tutte le braccia hanno una loro funzione. Per quale scopo Kannon avrebbe mille braccia? Questa rappresentazione è creata con l’intento di mostrare agli uomini che, se essi liberassero la loro saggezza immutabile saprebbero che mille braccia avrebbero ciascuna il proprio compito.

Takuan Sōhō, Fudōchishinmyōroku II, in W. S. Wilson (a cura di), Takuan Sōhō. Lo Zen e l’arte della spada, traduzione italiana a cura di P. Gonnella, Mondadori, Milano 2001, pp. 24-25. [ed. or: The Unfettered Mind, Kodansha International Ltd., Tokyo 1986.]
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In questo secondo capitolo del Fudōchishinmyōroku Takuan Sōhō si concentra sul concetto di “saggezza immutabile”. L’espressione può essere fuorviante per il lettore occidentale, perché siamo culturalmente portati a pensare alla saggezza come ad un’attitudine eticamente connotata nei confronti della valutazione di un contenuto cognitivo. In questo senso, la saggezza è in primo luogo frutto dell’esperienza o dell’attività di riflessione su un particolare aspetto della vita, con implicazioni di natura relazionale. Allo stesso modo, l’immutabilità viene usualmente (e anche etimologicamente) associata all’assenza di movimento, perché, seguendo Aristotele, la perfezione esclude il movimento. Bene, sapendo queste cose dobbiamo operare uno sforzo cognitivo e ricaricare con una nuova semantica i due termini apparentemente familiari.

La saggezza di cui parla il maestro di Izushi si avvicina molto di più al concetto di intuizione. In altre parole, non è frutto di un’attività di ragione ma di una condizione percettiva frutto di un’esperienza cognitivamente aperta. Per trovare un paragone nella tradizione occidentale, si potrebbe pensare al procedimento di osservazione tipico dell’arte figurativa dei pittori impressionisti di fine XIX secolo. Ora questa peculiare forma di saggezza è definita “immutabile”, non perché sia ferma, ma anzi proprio perché per sua natura non si sofferma su nessun punto in particolare. Per quanto possa sembrare controintuitivo al nostro proprio modo di pensare, il movimento costante della mente garantisce lo stato di quiete tipico dell’esperienza descritta come “saggezza immutabile”.

Per questo motivo l’esempio della raffigurazione tradizionale della dea Kannon, dalle mille braccia, diviene particolarmente efficace nella rappresentazione sintetica di questo insegnamento esoterico. Il punto non consiste nel chiedersi il perché la dea abbia molte braccia, ma nel comprendere intuitivamente che ogni braccio ha il suo scopo nell’azione che compie in relazione all’intera figura.

Posso portare un’esperienza personali come esempio di ciò che tendiamo a non capire. Quando ero bambino mi piaceva molto disegnare; credo di aver riempito interi quaderni di figure mostruose, draghi e dinosauri. Più tardi, tentativi di volti umani o animali. Periodicamente incontravo l’ostacolo nell’occhio, nel naso o nella bocca. C’era qualcosa nel mio modo di disegnare che non mi soddisfaceva mai completamente. E allora mi fissavo sul particolare: osservavo avidamente fumetti e cartoni animati che mi piacevano per tentare di riprodurli sui miei fogli. Ad un certo ero diventato piuttosto bravo a disegnare gli occhi dei personaggi dei manga, e traevo particolare soddisfazione nel riprodurre ali da chirottero. E tuttavia, i miei disegni erano comunque immaturi, poco credibili. Qualcuno diceva che il diavolo si nasconde nei dettagli. Ebbene, certamente il mio focalizzarmi sul dettaglio mi impediva di valutare l’immagine nel suo insieme, di comprendere come sono i rapporti di proporzione e di logica distribuzione di luci e ombre a creare una raffigurazione credibile.

Mi sorprendo sempre per come ciò che mi appare così come è, nella mia esperienza visiva quotidiana, sia così difficile da riprodurre su un foglio o una tela.

La buona notizia è che questo non è impossibile. Richiede senza dubbio tecnica appropriata, studio, analisi. Eppure questo non basta affatto. Ne è solo la premessa. Perché la saggezza immutabile non consiste nell’attribuire un’attività ad ogni braccio di Kannon, ma nel comprendere come lo stato di quiete del bodhisatva nasce dal fatto che la sua esperienza non si soffermi su nessuna di esse. Qualcuno si chiederà in che senso tutta questa riflessione abbia a che vedere con lo iaido o con quello che attraverso di esso cerchiamo di imparare. Io sono persuaso che la risposta si trovi nel vostro dojo.