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Il concetto di Unione

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Cauda nazionale italiana iaido

Che cosa significa unione nella pratica dello Iaido? In che modo possiamo metterlo in pratica, tralasciando per un attimo aspetti più teorici e filosofici?

Questo concetto lo possiamo trovare a diversi livelli e in forme diverse.

Proviamo a pensare alla pura pratica, l’unione dei vari movimenti è qualcosa a cui si dovrebbe tendere. Il vedere ma soprattutto sentire il proprio corpo che si muove tutt’uno con la propria spada è uno degli obiettivi più importanti, man mano che si sale di grado ed è uno dei punti richiesti proprio per superare tali esami (possiamo far rientrare anche il concetto di Ki ken Tai no Ichi, in questo caso).

Ma al di là di superare gli esami, credo possa esser considerata l’essenza dello Iaido, in cui la mente si svuota e il corpo agisce per automatismi cercando di “creare” qualcosa che abbia un senso e che possa esser allo stesso tempo efficace.

Per questo motivo, come già discusso in altri articoli rispetto agli obiettivi da raggiungere, può esser utile spesso cambiare e spezzare il ritmo di un kata, portandolo magari a un ritmo molto più lento o estremamente rapido, o ancora provando ad effettuarlo allo stesso tempo di un Senpai o del Sensei: ciò porta a rompere gli schemi abituali, sia a livello corporeo che mentale, e a trovarsi perturbati da quanto provato. Solo in questo modo si possono imparare nuovi automatismi, possibilmente più corretti e utili all’evoluzione della pratica.

L’unione del movimento la si può trovare anche nel saluto alla spada: ogni gesto deve essere unito a quello precedente, in una consequenzialità fluida, decisa e leggera allo stesso tempo. 

Gli spigoli andranno smussati e si dovrà tenere a mente la forma circolare e continua che ogni gesto dovrebbe avere.

Ora proviamo a cambiare completamente prospettiva e a pensare in quale altro ambito possiamo trovare questo stesso concetto di unione: se pensiamo a un gruppo che lavora insieme, non è sostanzialmente la stessa cosa?

La pratica delle Arti Marziali in generale non può prescindere da una condivisione e da un allenamento in una comunità di persone. Anche trattandosi, come nel nostro caso, di discipline “individuali”, lo sviluppo della qualità e delle qualità personali non può esser fatto in solitaria né tantomeno in un gruppo disfunzionale o in cui non ci si sente a proprio agio.

Per questo motivo far parte di un dojo in cui si instaurano legami significativi e sinceramente volti al miglioramento comune, può essere l’unica via per progredire.

A ciò si aggiungono le innumerevoli occasioni in cui potersi incontrare con gli altri praticanti di tutta Italia e/o Europa. Perché privarsi di tali momenti così carichi di intensità e qualità?

Lo stesso far parte della Nazionale deve esser considerata un’occasione più che preziosa. Il fatto che ci sia una selezione e delle conseguenti competizioni, non significa nulla. Al contrario di quanto molti possano ancora pensare, il fine ultimo non è vincere una medaglia ma crescere insieme. E solo in queste occasioni, confrontandosi con tutti gli altri, che si può raggiungere tale obiettivo (sempre che lo si voglia raggiungere, ovviamente).

Uscire dalla propria nicchia e soprattutto dalle proprie certezze, che altro non sono che un minuscolo punto di vista che può trovare disconferme in ogni momento, fornisce la possibilità di causare quella stessa perturbazione di cui parlavo in precedenza. 

Spesso nella nostra società l’idea di gruppo viene concettualizzata o percepita in modi sbagliati. Tante teorie psicologiche hanno trattato l’argomento, nel corso del tempo. In tutti questi anni, si sono visti tanti gruppi disgregarsi, tante persone che si sono allontanate o hanno definitivamente abbandonato, anche all’interno del nostro Dojo. Ci sono dei cicli, delle fasi e come spiegato anche nell’articolo sugli abbandoni della pratica, le motivazioni sono le più disparate.

Quello che si dovrebbe portare avanti, secondo me, e che aiuta anche nei momenti in cui la motivazione può fisiologicamente diminuire, è l’idea di praticare insieme, di ritrovare compagni e amici in diversi momenti e soprattutto di riconoscersi e vedersi crescere insieme. In questo modo, forse, la volontà di continuare ad allenarsi viene facilitata proprio in conseguenza di una spinta più grande del singolo individuo, che dovrebbe essere aiutato a non rimanere indietro nella Via.

Così come cresce e si sviluppa la capacità di percepire il nostro corpo e la nostra spada, così nei momenti di ri-unione con gli altri, si ritrova il significato e la purezza dello Iaido.

Non so se questo articolo, scritto relativamente di getto, possa alla fine risultare interessante. Nella mia mente risultava stimolante portare l’attenzione su quest’idea di circolarità e continuità che nello specifico caso dello Iaido, si può ritrovare davvero a più livelli, sia che si tratti di puro movimento corporeo, sia nelle relazioni interpersonali che si creano all’interno del Dojo.

Dove ci sono spigoli, rotture e blocchi, non si dovrebbe evitare di affrontarli o capirne il significato: accettare che ci siano e riconoscerli, portandoli ad un livello più esplicito, è già un primo passo. Col tempo e col lavoro, andranno man mano smussati in modo da creare nuove abitudini, sia nel rapporto coi compagni sia nella pura pratica, appunto.

Mental Coaching – 2 – Gli Obiettivi

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Mental Coaching

Benvenuto nella rubrica di mental coaching: utilizzare la mente per ottenere risultati migliori.
Il mio intento è quello di fornirti alcuni spunti per riuscire a dare il meglio di te negli allenamenti, nelle gare e negli esami di iaido e jodo.

Articoli precedenti:
1 - Introduzione

Il primo passo per lo sviluppo delle abilità mentali è la formulazione e la pianificazione degli obiettivi.

Uno studio condotto diversi anni fa su un campione significativo di persone evidenziò che le persone di successo hanno un comune denominatore: porsi degli obiettivi; pensare a ciò che vogliono e fare qualcosa per ottenerlo.

Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare.

SENECA

È l’obiettivo che ci dà la direzione, ci guida, ci fa capire se il vento ci è favorevole o meno, dà un senso alla nostra fatica e ci motiva a impegnarci sempre più.

E più ti muovi nella direzione dei tuoi obiettivi, più ti senti soddisfatto delle tue capacità. Ogni passo che fai nella direzione dei tuoi obiettivi incrementa la fiducia che puoi raggiungere nel futuro degli obiettivi ancora più grandi.

Che si tratti di arti marziali o di carriera professionale, impostare il proprio lavoro avendo ben chiari gli obiettivi, è uno dei punti essenziali per il successo.

Nella definizione degli obiettivi è importante notare come sia più importante porre l’attenzione sulla prestazione piuttosto che sul risultato. Il passaggio di grado o la vittoria ad una gara non dipendono interamente da noi ma anche dall’arbitraggio o dal livello degli avversari. Arrivare però all’esame o alla gara nella migliore condizione psico-fisica e dare il 100% delle nostre possibilità, dipende dalla qualità e dalla quantità del lavoro svolto e soprattutto da noi stessi.

La vittoria non è qualcosa su cui abbiamo il pieno controllo. E’ giusto sognare la vittoria, ma ciò a cui dobbiamo e possiamo tendere è realizzare la nostra migliore prestazione possibile.

Se ti impegni a dare il massimo, tutto sommato (considerato il mal di pancia, considerati gli imprevisti ed i tuoi rivali), qualsiasi cosa accada tu avrai raggiunto comunque il tuo obiettivo e alla fine potrai essere soddisfatto di te a prescindere dal risultato. Non esiste magia in grado di darti la certezza matematica della vittoria, ma la vera magia è costruirsi la certezza di poter dare sempre il meglio di te.

Gli obiettivi devono essere stimolanti, sfidanti. Devono essere importanti per te. Se ti poni un obiettivo troppo semplice da realizzare, non sarai davvero motivato a fare tutto quel che serve per perseguirlo. Ma devono essere anche misurabili, raggiungibili, realistici e soprattutto hanno bisogno di una scadenza. Darti un limite nel tempo sarà uno stimolo per spingerti all’azione e mantenere alta la concentrazione. Per approfondire questi concetti ti consiglio la lettura dell’articolo di Gabriele Gerbino: porsi degli obiettivi.

In occasione dello stage primaverile di Iaido che si è tenuto a Modena lo scorso week-end ho chiesto ad alcuni partecipanti quali fossero i loro obiettivi e ho ricevuto come risposta: superare l’esame da sesto dan al primo colpo, vincere la medaglia d’oro ai prossimi campionati europei, entrare in Nazionale, essere un bravo insegnante e, ancora, migliorare sempre più.

La parte difficile è capire cosa fare per raggiungere questi obiettivi. Continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto potrebbe non bastare.

Per raggiungere qualcosa che non haI mai ottenuto fino ad ora, devi diventare qualcuno che non sei mai stato.

Comincia a pensare a tutte le azioni pratiche che, nel tempo, ti porteranno a raggiungere il tuo obiettivo. In pratica dovrai suddividere il tuo obiettivo a lungo termine in sotto obiettivi che una volta determinati si possono trasformare in azioni ed essere messi in agenda.

Un buon punto di partenza è determinare dove sei. Qual è oggi la tua situazione rispetto all’obiettivo?

Prendiamo per esempio un obiettivo che mi riguarda da vicino. Vuoi superare l’esame da sesto dan? Cosa è richiesto per il sesto dan?

Danielle Borra sensei, scrive:

Il nostro iaido per affrontare questi esami deve essere privo di errori evidenti di grossa portata, deve essere naturale e possedere un buon ritmo, una naturalezza, dignità e bellezza che solo la profondità di pratica possono dare. Deve inoltre contenere i significati intrinseci nel budo e quindi permettere di trasmettere emozioni e Riai.
La pratica costante e continua è il presupposto di base ma non basta. E’ necessario inoltre che la persona abbia il giusto atteggiamento mentale, deve volere veramente arrivare a quel grado e praticare con sincerità.

Serve quindi sicuramente una tecnica corretta. Commettiamo ancora “errori evidenti”? Quali sono i nostri punti critici? Scriviamoli su un foglio (scrivere è fondamentale, ci obbliga a pensare più lentamente e ci dà la possibilità di ragionare con noi stessi) e attribuiamo ad ogni punto una scadenza temporale.

Stesso lavoro va fatto anche per gli altri criteri richiesti per il superamento degli esami e mi riferisco a profondità di pratica, compostezza mentale, metsuke, kihaku, ki ken tai ichi, riai, fukaku, ecc.

Ogni volta che ne abbiamo la possibilità, invece di eseguire le tecniche e i kata con movimenti automatici ormai acquisiti, concentriamoci sui singoli punti che vogliamo migliorare in base alla scadenza che ci siamo dati. Claudio Zanoni sensei, allo stage suddetto, ha ribadito più volte che diamo troppa importanza alla spada. Molto spesso pensiamo unicamente al taglio tralasciando tutto ciò che avviene prima, come il furikaburi (la preparazione al taglio), la postura ed il corretto uso dei piedi. Solo rallentando e facendo attenzione ai nostri punti critici potremo riuscire a migliorarli. E solo dandoci delle scadenze ben precise saremo stimolati a compiere questo tipo di lavoro.

La nostra mente inconscia ha bisogno di un sistema composto da scadenze per ogni compito che ci siamo imposti. Senza questo sistema, si rimandano sempre tutte le cose più importanti, invece quando ti sei posto un obiettivo e hai messo da parte tutte le scuse che ti impedivano di raggiungerlo, è come schiacciare sull’acceleratore della nostra mente inconscia.

Per raggiungere gli obiettivi servirà tanta volontà e motivazione. Molto spesso, osservando altre persone che praticano iaido e jodo, noto la loro bravura e penso a come sarebbe bello se anche io raggiungessi il loro livello. Fin quando questo pensiero è incentrato su un grado più alto, c’è sempre la naturale scusa che quella persona ha più anni di pratica di me e pertanto è normale che sia più bravo. Quando però vedo altri del mio stesso grado o addirittura di un grado inferiore allora tutto cambia.

Cosa fa quella persona di diverso da quello che faccio io? Qual è la qualità che mi manca? Come faccio ad ottenerla?

Il raggiungimento di quella qualità potrebbe essere un nostro obiettivo. Non c’è nulla che non si possa raggiungere, se abbiamo impegno, disciplina e tanta motivazione.

Ma di questo, che pure è molto importante per tutti noi, ne parleremo la prossima volta.

Budo Jisho – 06 – Dojo

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budo jisho

Budo Jisho – Le parole Giapponesi che usiamo nelle arti marziali.

Puntata 06: Dojo, il luogo della Via.

Con la parola dōjō si intende lo spazio fisico in cui si praticano arti marziali. Questo termine, che proviene dalla tradizione buddhista cinese, indicava in origine il luogo in cui il Buddha raggiunse il risveglio interiore e pertanto era riferito alle stanze della pratica religiosa nei templi buddhisti. Durante il periodo Edo, fu mutuato dall’ambiente militare che praticava il bujutsu ed era fortemente impregnato dalla filosofia Zen, e così arrivò alle arti marziali dov’è tutt’ora utilizzato. Infatti questa parola sottolinea l’aspetto spirituale della pratica e la profondità del rapporto del praticante con la disciplina, suggerendo l’idea di un luogo di isolamento e meditazione.

Buona visione e non dimenticate gli approfondimenti nel pdf che trovate in fondo a questo articolo.

Ed ecco il PDF di approfondimento: Dojo.

Per una consultazione più agevole, scarica il pdf tramite il bottone qui sotto.

El Clasico Seminar – Budapest 2023

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el clasico seminar

El Clasico. Per gli amanti del calcio questa espressione evoca il ricordo di innumerevoli scontri emozionanti tra i due più forti club spagnoli: Barcellona e Real Madrid. Queste due squadre sono da sempre in vetta alle classifiche europee e le loro partite sono spesso occasione di grande spettacolo.

Noi iaidoka non siamo certo abituati a riempire i palazzetti o gli stadi, ma non per questo siamo poveri di sfide emozionanti. Una in particolare e’ stata protagonista degli EIC per più di 10 anni: C. Zanoni (ITA) vs. A. Watson (ENG).

Data questa premessa, non sorprende che gli organizzatori di un seminario guidato da questi due maestri abbiano scelto proprio il “El Clasico” come titolo per questo allenamento.

Quando ho saputo che gli amici di Kiryoku Budapest e HiraBu dojo avevano organizzato questo seminario a Budapest, non ho potuto resistere: ho prenotato immediatamente i biglietti aerei. Finora, ho partecipato a numerosi seminari tenuti da Claudio sensei, ma non ho mai avuto l’opportunità di partecipare a un seminario tenuto da Andy sensei. Avere a disposizione per un intero weekend i consigli di due maestri di tale caratura era sicuramente un’occasione da cogliere al volo.

Nonostante il seminario ufficiale fosse programmato per iniziare il sabato 29 aprile, il venerdì 28 è stato dedicato a un allenamento di Muso Shinden Ryu. Sin da questo primo allenamento, è stato evidente l’approccio che i sensei volevano dare all’intero seminario: l’allenamento libero avrebbe avuto il ruolo principale, consentendo agli studenti di studiare e praticare i singoli kata al proprio ritmo, concentrandosi successivamente su uno o due punti specifici sottolineati dai maestri.

Il giorno successivo, il seminario ha ufficialmente preso il via. Dopo un riscaldamento iniziale con i 12 kata ZNKR, siamo stati subito incoraggiati a praticare i singoli kata in autonomia, come avevamo fatto il giorno precedente. Dal momento che molti partecipanti si stavano preparando per importanti esami di grado (quarto, quinto o sesto dan), molte delle correzioni fornite tenevano conto di aspetti legati agli shinsa. È sempre affascinante vedere come un kata “corretto” per un certo livello spesso non sia più adeguato per il livello successivo. In pratica, non possiamo mai permetterci di rilassarci completamente. 🙂

Un aspetto estremamente importante su cui i maestri hanno insistito più volte è che, per apportare cambiamenti concreti nei nostri kata (che spesso pratichiamo in modo simile per mesi o addirittura anni, commettendo sempre gli stessi errori), dobbiamo preferire una pratica lenta e consapevole. Questo concetto è alla base di un “metodo” di studio di cui Andy sensei ha parlato nella sua recente intervista per il blog: Control & Calibration. Questo metodo consiste nel studiare i kata il più lentamente possibile, prestare attenzione alla “meccanica” del nostro corpo per capire esattamente cosa deve accadere per eseguire una determinata tecnica in modo efficace, o per capire perché non siamo in grado di farlo.

Questo concetto, a mio avviso, è estremamente importante non solo per risolvere problemi specifici nella nostra pratica, ma anche per imparare a studiare in modo autonomo. Soprattutto noi praticanti di gradi più bassi, siamo abituati ad avere sempre insegnanti presenti in dojo che ci correggono o guidano l’allenamento. Lo stesso accade nei vari seminari, specialmente quelli più strutturati, dove la pratica è spesso scandita in modo “rigido” (anche per questioni logistiche). Nel caso di El Clasico, i sensei hanno dato spazio ai partecipanti per imparare ad ascoltare il proprio corpo e sperimentare la pratica attiva.

Tra le varie tecniche, abbiamo cercato di applicare questo concetto allo studio del nukiuchi di Morotezuki (video). Personalmente, questa è un’area molto problematica per me, dato che da mesi sto cercando di perfezionarla senza riuscire mai a far svanire l’espressione di disappunto dai volti dei Sensei Claudio, Danielle o Marilena ogni volta che la eseguo…

A metà seminario e subito dopo una pausa pranzo a base di pizza (aiuto!), i partecipanti che si stavano preparando per un esame imminente hanno affrontato una prova d’esame, che è stata poi commentata dai maestri al fine di evidenziare i punti più importanti su cui lavorare per raggiungere il livello successivo (tra poco più di un anno toccherà anche a me affrontare l’esame per il quarto dan, quindi questa simulazione e la relativa “analisi” sono state estremamente utili anche per me).

Alla fine del seminario, i maestri ci hanno regalato un ultimo momento emozionante attraverso un embu. Una volta concluso, sono sicuro che tutti i partecipanti hanno pensato: “Questo è veramente El Clasico!” 🙂

Arigatou gozaimashita, Claudio sensei e Andy sensei, per averci offerto un’esperienza indimenticabile e per averci trasmesso la vostra esperienza e la vostra passione!

P.S. Mentirei se dicessi che questo seminario è stato solo fatica e brillanti spunti tecnici. Non sono mancati i momenti di convivialità, le risate, la palinka (molta palinka) e gli spagetti. 😀