Analizzando i dati statistici della CIK si vede come il 7% circa degli iscritti smetta entro il primo anno di pratica. La percentuale è più alta nel settore kendo e più bassa nel settore iaido e jodo (5% circa).
Un certo numero di persone, quindi, si iscrive ma abbandona rapidamente l’attività scelta.
È interessante provare a capire come mai e come diminuire questo flusso in uscita di praticanti, anche se è vera l’osservazione che una parte di questi abbandoni sia fisiologica.
La prima domanda che dobbiamo porci è, perché una persona inizia a fare iaido?
A questa domanda proveranno a rispondere i nostri iscritti nell’articolo in preparazione per settembre.
Le motivazioni dell’inizio possono essere diverse: amore per il Giappone, la spada, le competizioni, lo zen ecc. Le motivazioni sono diverse e sono diverse l’età e la fisicità delle persone che arrivano in palestra. Se non teniamo conto, almeno in parte, di questi due aspetti nel programmare il nostro allenamento con i principianti è probabile che li perderemo.
Naturalmente dipende da cosa pensa l’istruttore. Possono esserci atteggiamenti molto diversi. Sintetizzando i due atteggiamenti agli estremi: “credo che lo iaido possa essere insegnato a tutti pur con tempi diversi”; “credo che lo iaido sia un’arte marziale riservata a pochi motivati praticanti”. Evidentemente l’approccio all’insegnamento nei due casi sarà diverso. A volte però l’approccio al principiante è inconsapevole dei risultati che si vogliono ottenere (tenere le persone solo se motivate oppure allargare a molti) e si insegna basandosi su principi che abbiamo appreso o crediamo di aver appreso senza fare una reale riflessione su cosa vogliamo ottenere.

Se per assurdo cerco di applicare un sistema molto rigido e faccio fare al principiante solo mae per tre mesi, affinché lo impari bene, o solo il saluto fino a che non lo sa bene, ho delle buone probabilità che la persona smetta se non è fortemente motivata. Oppure se ritengo che il modo di camminare sia fondamentale per imparare iaido potrei tenere il principiante, che non vede l’ora di prendere una spada in mano, a fare su e giù per la palestra per settimane (gli esempi sono tratti dalla realtà). Non c’è nulla di male in questi approcci. Dipende dall’obiettivo che abbiamo per la crescita del nostro dojo.
Se l’obiettivo è tenere le persone, allora l’approccio deve essere diverso. Se si insegna un kata bisogna essere tolleranti e accontentarsi che i movimenti siano approssimativi, non cercare di insegnare da subito la perfezione del gesto ed insistere su particolari eccessivi per l’attuale comprensione o capacità di movimento della persona. Bisogna in qualche modo lasciargli il tempo di capire ed assimilare il movimento e il significato del movimento stesso. Si ritornerà su quel movimento molte altre volte nel tempo e ci sarà il modo di perfezionarlo. Adesso si tratta di incuriosire e in parte divertire il principiante ed aiutarlo a capire che dietro quei pochi movimenti c’è un mondo. Bisogna inoltre incoraggiarlo piuttosto che criticarlo solamente, per questo ci sarà tempo dopo quando le basi saranno più ampie e la fragilità minore. Questo sempre tenendo conto dell’individuo, ci sono persone a cui le cose riescono velocemente ed altre che pur impegnandosi hanno molte difficoltà e quindi hanno bisogno di un maggiore incoraggiamento.
A volte è anche importante lasciare un piccolo spazio per le domande che sicuramente il principiante ha rispetto al movimento o al dojo, oppure suggerirgli di leggere le cose scritte sul blog o nel sito web (se ci sono) su come ci si comporta in dojo.

Inoltre il principiante spesso viene affidato ad uno o più senpai per le prime lezioni. È importante che si controlli cosa e come insegnano i senpai e prestare attenzione al principiante fermandosi da lui per dargli dei piccoli consigli o semplicemente dimostrargli attenzione. Il periodo in cui il principiante pratica separato dal gruppo deve essere inoltre ridotto il più possibile per facilitare il suo inserimento.
Un altro ostacolo che spesso scoraggia i principianti è il gruppo. Nel tempo nel dojo si creano gruppi più o meno omogenei che non si rendono conto di avere attitudini o abitudini particolari. I gruppi dei senpai a volte possono diventare elitari senza rendersene conto e attingere al concetto di “specialità del gruppo”, concetto che tende ad isolare i nuovi arrivati. Oppure si possono non gradire i principianti perché rubano spazio e tempo. A volte queste abitudini e atteggiamenti, anche inconsapevoli, allontanano le persone che vedono il gruppo come un’entità chiusa ed impenetrabile e quindi respingente. Nei dojo si vedono spesso dinamiche di questo genere. I senpai invece dovrebbero essere gentili e amichevoli con i nuovi arrivati che devono essere considerati parte del gruppo da subito e non isolati.
Se riflettiamo con maggiore lucidità su quali sono i nostri obiettivi come insegnanti e guardiamo a come noi o i senpai della nostra palestra si comportano rispetto ad un principiante forse potremmo ridurre una parte degli abbandoni che registriamo ogni anno.

Danielle Borra, 7 dan kyoshi

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