Mai partire prevenuti.

Questo è l’insegnamento che ho imparato a mie spese ai campionati individuali e a squadre che si sono svolti 8 e 9 Febbraio 2025, insegnamento (come molti altri) non solo utili nello Iaido, ma nella vita quotidiana.

Nella giornata di sabato si sono svolti gli individuali, ho sottovalutato l’evento e mi sono presentato spensierato e fin troppo rilassato, senza aver preparato adeguatamente l’aspetto psicologico delle competizioni.
Tale scelta si è rivelata tremendamente deleteria dato che dai quarti di finale la psiche ne ha risentito sempre di più fino a portare il corpo in uno stato di rigidità che non mi ha permesso di esprimere a pieno quello che so di poter dare.

Conclusione:

  • Incapacità di ripresa emotiva/psicologica
  • Riduzione drastica delle prestazioni
  • Una saya rotta
  • Un dito che ha assaggiato la punta dello iaito

La giornata si è conclusa con molti quesiti e dubbi, tra questi: “perché se sono giunto in quello stato mentale non potevo più riprendermi e uscirne fuori?”.
Questa è la prima volta che ho provato questo tipo di blocco senza poter riuscire a riprendermi.

L’indomani sempre dubbioso e con il morale a terra per non aver battuto la mia stessa psiche non l’ho iniziata al meglio.
Ci siamo iscritti con la nostra scuola AKITSUKAI di Lucca alle gare a squadra, senza nemmeno mai una prova effettiva con i tre membri poiché abbiamo il nostro Giacomo Guidotti un pochino lontano, in Svizzera.
Quindi a livello di fattibilità avevamo qualche debolezza.

Lì ho pensato:
“Ma cosa ci siamo iscritti a fare? Va beh, andiamo a prendere due schiaffi e torniamo a casa”.

Dopo un paio di incontri però (pensavo si uscisse prima) la psiche ha deciso di riprendersi, penso che abbiano aiutato 3 fattori:

  • I ragazzi carichi a pallettoni
  • Un po’ di sostegno dal pubblico
  • E Cosmin, il mio rivale numero 1 (gli voglio un bene dell’anima)
    Sì perché quando ho visto al terzo incontro Cosmin al mio fianco, mi si è riacceso un qualcosa dentro, quell’istinto di sopravvivenza misto alla voglia di spaccare tutto (da interpretare METAFORICAMENTE!).
    La psiche si è ripresa.
    Ho ritrovato la voglia di combattere.

Infatti da lì in poi grazie anche a un po’ di fortuna siamo riusciti ad arrivare in cima, contro ogni pronostico, in fondo non ci credevo nemmeno io!

Questa storia l’ho scritta con l’intenzione di non partire mai prevenuti in niente e di non farsi mai troppe aspettative, pensavo di vincere tranquillamente e invece mi hanno rimbalzato con una saya rotta e il giorno dopo non si pensava nemmeno di arrivare al bronzo e invece (citando Ale) “con du Dan e mezzo” siamo giunti alla fine del torneo vittoriosi.

Lo Iaido sta continuando ad insegnarmi lezioni di vita.

Come sempre l’intento è aiutare altri a superare qualche scoglio

ANTON

Ed eccoci di nuovo qui a trarre le conclusioni dei campionati italiani di iaido che si sono tenuti questo fine settimana a Modena. Campionati che quest’anno mi hanno visto partecipare per la prima volta nella categoria Sandan, con nuovi e vecchi avversari, e che per me sono andati abbastanza bene sia nella competizione individuale che in quella a squadra grazie anche ad un po’ di fortuna.

Ma questa volta non vorrei parlare del campionato in sé, ma di un aspetto importante per una gara: il fighting. In questi anni in cui ho partecipato ad una competizione mi è sempre stato riportato come feedback che i miei shiai mancano proprio di questo elemento. Da qui nascono due domande:

· Cos’è il fighting?

· Come introdurlo nel mio iaido?

Nella teoria mi è chiaro cos’è, è la dimostrazione di stare eseguendo i kata in presenza di un avversario, di combatterlo veramente, ma come dimostrarlo ancora mi sfugge. Poiché questo è un aspetto molto personale legato strettamente al proprio carattere, può risultare difficile mostrarlo (come nel mio caso). Ho cercato quindi di trovare una risposta nel blog del dojo, ci sono così tanti scritti ed articoli dei maestri che mi sono detto che sicuramente sarà stato un argomento trattato. Ed in effetti è così e la lettura di questi articoli mi ha permesso di dare un contesto al fighting, ma non hanno risposto alla mia seconda domanda (o forse non sono ancora capace di estrarre la risposta). Ho cercato allo stesso tempo una risposta in dojo, osservando i miei compagni in vista della preparazione alle gare ed una cosa certa l’ho dedotta:

· Quando il fighting manca totalmente si vede.

Ed è questa la condizione in cui spesso pratico e che mi viene fatto notare (anche nell’ultimo allenamento prima dei campionati). Il mio iaido è “giusto”, ma vuoto e piatto. Ma come cambiare? Sicuramente giovedì chiederò consiglio a Claudio (già alcuni me ne ha dati), ma poi la parte più importante la dovrò fare io, focalizzando il cambiamento che devo mettere in atto e perseguendolo negli allenamenti in dojo. In effetti, è quello che è mancato in questi mesi, il mio allenamento non è cambiato sebbene volessi apportare un cambiamento. La consapevolezza di ciò è arrivata dalle considerazioni di Claudio a valle della gara individuale che hanno colto questa mancanza, allenarsi senza perseguire davvero un obiettivo non serve a molto!

MARCO

Riflessioni

Prendo spunto da quanto scritto dai nostri compagni Anton e Marco per fare alcune riflessioni in merito all’uso della mente in tali contesti, riprendendo dei concetti già espressi in passato su questo blog.

Quanto descritto da Anton, molto umilmente e con ottima lucidità, ricordando che è un 2 volte campione europeo, è abbastanza esemplificativo di quanto può accadere in alcuni momenti della nostra pratica ed in particolare durante situazioni potenzialmente stressanti, come un esame o una gara.

Tralasciando l’aspetto di sottovalutare gli avversari, che riguarda verosimilmente altre dinamiche, è interessante notare come una mente non presente conduca la maggior parte delle volte a degli errori evitabili (rompere una saya ne è sicuramente un esempio, anche parecchio problematico!).

In quel momento, e forse anche negli incontri precedenti in cui non era totalmente “sul campo”, Anton mancava di quella che viene chiamata “Sincronia” all’interno del metodo S.F.E.R.A., proposto dal prof. Vercelli in Psicologia dello sport.

La sincronia è forse uno degli aspetti più importanti che si ritrova nello Iaido, perchè indica la capacità di esser presenti e concentrati su ciò che si sta facendo nel momento della prestazione. Ne abbiamo parlato spesso, a partire dagli approcci più disparati, ma in fin dei conti si ritorna sempre li, come ci insegnano perennemente i Sensei giapponesi che incontriamo negli anni.

Un conto è l’allenamento in dojo, che richiede studio, rottura degli schemi, comprensione del proprio corpo e attenzione ai dettagli ed agli insegnamenti. Durante un esame o una gara, però, se questo vagone di pensieri viene portato all’interno della prestazione, il risultato sarà alquanto deludente e non risulterà veritiero, ossia marziale.

Il combattimento che dovremmo immaginare di svolgere, non può richiedere un tale sforzo mentale, perché realisticamente non vi è il tempo.

La mente dovrà esser un tutt’uno col corpo ed eseguire con Sincronia e coraggio quanto appreso in precedenza, per produrre il miglior risultato possibile. Ed è qui che si svuota di tutto e diventa un tutt’uno col momento presente.

A volte infatti, al termine di una prestazione, potrà anche capitare di non ricordarsi esattamente quanto fatto cinque minuti prima, talmente si era coinvolti in questo flusso.

Credo, inoltre, che anche quanto ricercato da Marco si possa trovare in questo stato. Il fighting è enormemente personale e nonostante molti consigli e suggerimenti possano esser dati, ognuno dovrà trovarlo dentro di sè.

Un buon punto di partenza potrebbe però esser questa Sincronia, perché se riusciamo a “entrare” nel momento, a tu per tu col nostro avversario, a vederlo come fosse proiettato davanti a noi, forse può iniziare a emergere quella sensazione di reale che ricerchiamo.

Ci sono ovviamente innumerevoli altri aspetti da tenere in considerazione, però come ci viene spesso consigliato all’interno del nostro dojo, l’allenamento potrebbe concentrarsi alternando momenti di studio e attenzione ai particolari ad altri dedicati unicamente a trovare questa connessione con la bolla in cui ci troviamo noi e il nostro avversario, escludendo tutto ciò che ci circonda e portando la mente ad uno stato di calma e risolutezza.

ANDREA

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