«Assicurati sempre che la tua posizione ti tenga fuori dalla portata della spada dell’avversario. Si
costruiscono castelli e si scavano fossati con l’intenzione di impedire ai nemici di avvicinarsi: non è quindi
questione di abbattere il tuo avversario. Non affrettarti, ma piuttosto cura bene la tua posizione e non
permettergli di colpirti. Tra le priorità, la posizione è la prima.»

Yagyu Munenori, Heiho kadensho, a cura di W. S. Wilson, trad. it. di M. Amarillis Rossi, Luni, Milano 2004, pp. 43-44.

Inauguriamo con questo articolo un ciclo di riflessioni su uno dei testi più celebri della letteratura sulle arti
marziali giapponesi, lo Heiho kandesho, tradotto in italiano come “La spada che dà la vita” o “il libro delle
tradizioni marziali del clan” ad opera del maestro Yagyu Munenori, composto intorno al 1632, nei primi
decenni del periodo Edo.
Il testo si apre a partire da una riflessione di carattere tecnico sulle basi necessarie ad affrontare un
combattimento di spada. Tra le priorità, dice Munenori, la posizione è la prima.
E in effetti, anche nello studio dello iaidō contemporaneo, chiunque si approcci ad apprendere i kata della Zen
Nippon Kendro Renmei dovrà fare i conti in primo luogo con la correzione della propria postura. Nella vita di
tutti i giorni tendiamo a non riflettere molto sul modo in cui il nostro corpo gestisce il proprio baricentro, così
come raramente la nostra mente si concentra sul come il peso è distribuito sulla pianta dei nostri piedi. Per chi
poi svolge un lavoro di ufficio da molti anni, talvolta è difficile rendersi conto di quanto il lavoro al computer
ci conduca ad assumere posizioni assai innaturali, chiuse e poco armoniche, specie per quanto riguarda la
gestione della schiena e delle spalle.
Imparare ad usare una spada però impone un ritorno a basi che di solito diamo per acquisite già nell’infanzia:
come stare in piedi senza perdere l’equilibrio, come non lasciarsi sbilanciare dal taglio o dal chiburi che
abbiamo appena effettuato. Lo scopo, indicato con chiarezza cristallina dal maestro Munenori, è evidente: la
posizione che assumi uno scontro deve essere in primo luogo funzionale alla sopravvivenza. Non esporsi alla
minaccia dell’avversario senza motivo e non permettere a quest’ultimo di colpirci. Nello studio del koryu
questa considerazione acquista immediatamente grande concretezza.
Tuttavia, penso si possa anche avanzare un altro tipo di riflessione a partire dalla coscienza della priorità della
posizione che assumiamo nella nostra pratica, e la similitudine con il fossato e il castello possono esserci di
aiuto. Mi chiedo: quanto tempo, quante conoscenze tecniche, architettoniche e ingegneristiche, ma anche
strettamente militari, sono necessarie alla costruzione di un castello che costituisca una efficace opera di
difesa? Occorrerà certo conoscere bene la topografia, la statica, la geometria, ma anche i materiali di
costruzione e i metodi di lavorazione, così come non secondario sarà comprendere contro quali armi del nemico
quella fortezza dovrà essere in grado di resistere. Non sono certo un esperto di costruzioni militari, ma costruire
un castello non è uno scherzo, e richiede la conoscenza di particolari apparentemente non correlati con la
strategia militare.
Allo stesso modo, quando entriamo al dojo da principianti, ma spesso anche da praticanti avanzati, gli
insegnanti dedicheranno molta attenzione alla posizione dei nostri piedi e delle anche, ai punti di rotazione,
alla distribuzione del nostro peso sulle ginocchia, e alla posizione della nostra testa durante la nostra pratica.
Occorre comprendere che questi fattori non sono un futile esercizio di pedanteria secondario rispetto alla
volontà di tagliare, ma costituiscono una fondamentale opera di edificazione della nostra pratica, che non
dovrebbe essere trascurata sin da principio. E qui arriviamo alla lezione più profonda. Comprendere di non
essere ancora in grado di tenere i nostri piedi paralleli gli uni agli altri, o di mancare in un aspetto fondamentale
della nostra postura, richiede un esercizio di umiltà. Non si imparano queste cose in un giorno, e nemmeno in
un mese. Ma occorre lavorare con serietà sulla percezione del nostro corpo a partire dall’esercizio del kihon
nell’assumere una postura efficace, che sia tale nel corpo come, e soprattutto, nella nostra mente.

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