Molto tempo fa, c’era un uomo che aveva fatto dell’elmo e dell’armatura il suo guanciale e della montagna e del prato la sua casa per trent’anni, e oltre ad essersi distinto più volte si era anche realizzato nella Via del guerriero. Quando i giovani seguaci si incontravano, invitavano quel vecchio e ascoltavano le storie sulla Via del guerriero. «Non ho tutto il merito che dice la gente» diceva lui. «Fin da giovane ero gentile e rispettoso, e così sono risultato simpatico agli altri. Per questo godo di una buona reputazione. Il significato ultimo della marzialità è la gentilezza d’animo e il rispetto.» In qualsiasi attività, quando arrivi al massimo, sei vicino alla Via.

Kumazawa Banzan (1619-1691), in T. Cleary (ed), Training the Samurai Mind: a Bushido Sourcebook, Shambala, Boston (MA) 2008. [ed. italiana: La mente del Samurai, Mondadori, Milano 2009, p. 53]

Quando mi sono imbattuto in questo passaggio di Kumazawa Banzan, non ho potuto fare a meno di pensare alla realtà degli incontri di iaido a livello nazionale e internazionale. Ricordo con grande affetto il senso di accoglienza e novità che provai al primo stage che frequentai: all’epoca non conoscevo nessuno e temevo di essere fuori posto rispetto a tutte quelle persone ben più esperte di me, e invece tutti quanti si dimostrarono gentili e molto attenti nei miei confronti. 

È davvero bello conoscere nuove persone che condividono le nostre stesse passioni e seguono un sentiero di crescita comune, e ancora di più sapere di ritrovarle magari dopo alcuni mesi ad uno stage o ad una gara. Tutto questo può sembrare banale, ma non credo lo sia; anzi, sono sempre più persuaso del fatto che questi aspetti relazionali giochino un ruolo centrale nella crescita marziale di ciascun praticante. 

Credo occorra fare un passo indietro e chiederci che cosa renda effettivamente “bella” l’esperienza di incontrare quelle stesse persone lungo gli anni della pratica. Si potrebbe rispondere semplicemente mediante il concetto di amicizia: ci frequentiamo per un certo periodo, e diventiamo amici e amiche. Ottimo, ma cosa costruisce e precede questa amicizia lungo il tempo di frequentazione?

La gentilezza e il rispetto sono giudicati da questo antico autore nipponico come il vertice delle arti marziali e in qualche modo anche il terreno comune della Via per eccellenza. Credo non sia un caso che proprio mediante queste categorie costruiamo legami di fiducia reciproca e aiuto. Senza dubbio siamo più propensi ad ascoltare la correzione o il consiglio di qualcuno nel quale riponiamo fiducia, che non di qualcuno che desti la nostra antipatia. Questa considerazione finisce quindi per impattare sulla nostra reale capacità di crescita anche sotto il profilo tecnico: chi si isola e non comunica inevitabilmente perde importanti occasioni di controllo e sviluppo, e, sul lungo periodo, anche un ottimo iaidoka tende ad accumulare errori e interpretazioni personali poco efficaci, capita a chiunque. C’è dunque un nesso tra la nostra capacità di coltivare relazioni sane e la nostra crescita marziale. Con questo, naturalmente, non si vuole dire che chi non pratica arti marziali non sia in grado di curare le proprie relazioni, né che chiunque raggiunga un alto livello di pratica automaticamente acquisisca questa capacità. 

La realtà è senza dubbio più complessa, ma, come ho detto, esiste una relazione tra i due ambiti. Il fatto di essere gentili e disponibili con le altre persone influisce sull’immagine che gli altri hanno di noi, e questo può essere determinante all’interno di una disciplina che, al contrario di quanto alcuni potrebbero credere, è tutt’altro che solipsistica e anzi esige un continuo confronto con maestri e altri praticanti. Per questa ragione, anche lo spazio dei saluti prima dell’inizio degli stage o delle competizioni, o anche le cene che si organizzano dopo le dure giornate di pratica fanno parte del cammino di crescita nella disciplina. Non si tratta semplicemente di buona educazione o di saper stare in società, piuttosto di coltivare la gentilezza come habitus mentale non distinto dalla pratica che eseguiamo in dojo con la spada. È vero, esistono persone più o meno portate a ciò per indole o educazione, ma la buona notizia è che la gentilezza e il rispetto si possono allenare. A pensarci bene, anche la pratica assidua di reiho vive della medesima convinzione, e può a buon diritto essere trasposta nel modo in cui ci relazioniamo reciprocamente.

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