In un recente articolo pubblicato su questo blog, Claudio Zanoni ha parlato di motivazione, citando l’esempio di Hiro Mizuno sensei. La maestra, fermatasi in Italia per motivi di lavoro circa un mese e mezzo, non solo ha portato con sé il necessario per praticare iaido, ma soprattutto ha partecipato volentieri a due seminari importanti e non proprio vicinissimi al suo luogo di residenza.  

Chi ha partecipato all’ultimo kangeiko a Modena ha potuto apprezzare personalmente l’umile disponibilità e l’ammirevole voglia di mettersi in gioco di questa praticante giapponese. Il recente esempio della maestra, così come la mia personale esperienza, mi hanno dato una motivazione in più per scrivere su un argomento forse lontano dall’essenza tradizionale dello iaido, ma che credo rivesta un ruolo sempre più importante in occidente, o per lo meno in Europa.  

Il punto è questo: in che misura i viaggi, gli spostamenti che affrontiamo per le ragioni più disparate nella nostra vita, impattano sulla nostra pratica? 

Non sempre possiamo continuare ad allenarci nello stesso dojo in cui abbiamo iniziato a praticare; il lavoro, lo studio o gli affetti possono portarci anche significativamente lontano dal luogo di origine, e a volte determinano anche la fine della nostra esperienza nello iaido. Il punto però è che non necessariamente il risultato di questi spostamenti determina la fine della nostra carriera di praticanti. 

Certo, esistono buone ragioni per non praticare o per cessare di farlo; ma è anche vero che ne esistono molte e ottime per non smettere e continuare. 

Intorno a me, ho sempre avuto buoni esempi in questo senso. Sin dall’inizio della mia carriera di iaidoka, il mio maestro Carlo Sappino ha insistito sulla necessità di spostarsi per incontrare altri maestri, altri praticanti e, in questo modo, crescere. Lui stesso, prima di me, ha dovuto spostarsi per imparare un buono iaido, e continua a farlo. Non solo: a pensarci bene, per noi europei forse il coronamento di un buon cammino nello iaido coincide anche con un viaggio dall’altra parte del mondo, per praticare con i maestri in Giappone. Almeno prima della pandemia, gli alti gradi europei tentavano di viaggiare regolarmente verso il Sol Levante, con tutto ciò che questo significa in termini di organizzazione e spesa.  

Penso, poi, umilmente, al mio amico Gabriele, che per ogni stage nel nord Italia deve prendere un volo dalla Sicilia; o ad Alessandro, volato dal Brasile all’Italia per sostenere il suo esame da yondan. Volersi spostare anche solo da una regione all’altra, per poter rincontrare i propri amici e condividere con loro ciò su cui si è lavorato, ma soprattutto ciò che ancora c’è da correggere, costa molto, ma vale anche molto. 

A pensarci bene, poi, quando pratichiamo affrontiamo difficoltà molto simili a quelle che incontriamo durante un viaggio in un paese sconosciuto. Come per un viaggio, anche nello iaido dobbiamo correre il rischio di affidarci a chi ancora non conosciamo; dobbiamo imparare che è necessario fare errori, sentirsi stranieri, sperimentare la voglia di tornare a casa. Come un buon viaggio, che supera la semplice dimensione del turismo, anche lo iaido trova sempre molti preconcetti da correggere, e pretese da ridimensionare. 

Insomma, in Giappone forse non sarà così, ma nell’Europa del XXI secolo, sì: lo iaido, tradizionalmente legato alla dimensione locale del dojo come luogo di pratica e di peculiari legami interpersonali, può arrivare a dilatarsi sino alla creazione di una rete molto più ampia di amicizie e relazioni di qualità, che inevitabilmente impattano sulla nostra pratica. Così, i nostri viaggi e spostamenti, possono offrirci opportunità nuove per guardare anche alla nostra crescita nello iaido. Lo iaido, che da “via”, do, si riscopre come cammino, nella dimensione del viaggio e delle difficoltà che esso implica. E in questo cammino fatto di traslochi, treni, spade spedite e voli low cost, ho l’impressione che si giochi almeno una parte significativa di quel miglioramento umano che ci auspichiamo di perseguire maneggiando una spada giapponese, e che a volta non sembra veramente essere alla nostra portata. 

Buon viaggio, allora: buono iaido!

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here