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E’ con grandissima gioia che mi accingo a scrivere queste poche righe di presentazione dell’intervista al Maestro Ishido. Quando ho visto nascere il progetto proposto da Gabriele Gerbino avevo dei dubbi sul fatto che saremmo riusciti a realizzarlo. Sono stato smentito e non immaginate quanto sia felice di essermi sbagliato.

Vi lasciamo alle vacanze estive con un’intervista al Maestro Ishido, che non credo abbia bisogno di nessuna presentazione. Leggere le parole del Maestro è sempre emozionante ed è fonte di riflessioni importanti. Abbiamo tutto il mese di Agosto per lasciarle maturare dento di noi, leggetele e rileggetele con attenzione.

Voglio ovviamente ringraziare il Maestro Ishido per la pazienza e diponibilità che ha sempre avuto con noi, Gabriele per aver avuto questa idea, aver impostato l’intervista e averla tradotta in Italiano a quattro mani con Anna Rosolini, Aurélien per averla materialmente realizzata in dojo a Kawasaki e averla pazientemente tradotta per noi. Grazie infinite per questo lavoro. In questo momento in cui i contatti con il Giappone sono limitati è importante mantenere vivo dentro di noi l’entusiasmo e trovare altre forme di studio e relazione.

Ne approfitto per ringraziare anche tutta la Redazione Kiryoku per l’immenso lavoro svolto fino ad oggi.

Buone vacanze e buonissima lettura, ma rimanete vigili perché le sorprese di questa fantastica redazione non sono finite… ci leggiamo a Settembre.

Claudio Zanoni

Nota dell’intervistatore: l’intervista è stata condotta nel modo abituale in Giappone: l’intervistato ha risposto a parole e l’intervistatore successivamente trascrive i contenuti (o, come in questo caso, li traduce) sulla base dei propri appunti o registrazioni. Di conseguenza le risposte non sono necessariamente parola per parola ma sono parafrasi che illustrano nel modo più accurato possibile quanto Ishido Sensei intende. Qualsiasi errore o frantendimento sono miei

Nota dei traduttori: abbiamo tradotto in italiano la trascrizione con traduzione di Aurelien Nacrour sensei, cercando di rendere in italiano nel modo più corretto possibile. Ogni errore di traduzione è nostro.

Intervista a Ishido Sensei

Sui fondamenti…

Purtroppo solo poche delle sue interviste sono state tradotte in altre lingue, ma in alcune di queste menziona brevemente suo padre, O sensei, Ishido Sadataro. Può descrivere in maggiore dettaglio che tipo di insegnante è stato per lei?

Era molto un idealista. Era anche molto severo ma premuroso e incoraggiante, mi diceva spesso “va bene, ci puoi riuscire”.

Durante la sua crescita iniziale nel budō, ha avuto qualche “modello”, qualche fonte di ispirazione oppure obiettivo che l’ha spronata alla pratica e a progredire sempre di più?

All’inizio cominciai a studiare kendo con mio padre dall’età di 5 anni, e iniziai con lo iaido più tardi, a 10 anni. Da quell’epoca ricordo Sano [Shigenori] Sensei, che viveva a Yokosuka ed era parte dell’All Japan Iaidō Federation (AJIF), che praticava uno iaido magnifico, in particolare il noto, ma principalmente mi insegnava mio padre. Fino al 7 dan, mi allenavo solo quanto bastava per superare il grado successivo (circa un paio d’ore al mese), ma andai a vedere il Taikai dell’All Japan Iaidō Federation, in novembre a Fukushima il giorno prima del mio esame per 7 dan, e notai Kawaguchi [Toshihiko] Sensei, che arrivò secondo nella categoria 6 dan. Trovai il suo iaidō assolutamente splendido. Il giorno successivo, quando mi presentai all’esame, all’età di 31 anni ero il primo della mia pool, Kawaguchi Sensei (36 anni) era il secondo e Tamaki Atsushi Sensei (40 anni) era terzo. Tutti e tre fummo promossi e chiesi a Kawaguchi Sensei quanto si allenava ogni giorno e lui rispose “2-3 ore al giorno”. Come ho già detto, io mi allenavo 2 ore al mese, così cominciai a riflettere su quanto avrei potuto migliorare se avessi praticato ogni giorno. Dopo poco tempo ho incontrato Hashimoto Masatake sensei, Nukata Hisashi sensei e Sakamoto Kichiro sensei da Osaka, e sono stato influenzato da loro.

C’è stato qualche iaidoka (non sensei) che ha contribuito a mantenere la motivazione? 
Nella sua opinione, qual è l’atteggiamento corretto da adottare per progredire nello iaidō?

È un argomento molto difficile. Anche se lo iaidō è un budō, e in particolare un budō moderno (gendai budō), ora viene praticato come uno hobby e considerato tale, ma all’origine era nato come un lavoro. Nel periodo Edo (1603-1868) era un modo per proteggere la propria famiglia e la propria casa ma questo cominciò a cambiare nel periodo Meiji (1868-1912) quando il mondo dei guerrieri scomparve. Una parte di questi cambiamenti fu il calo drastico di scuole di budō da circa 600 alle 12 o 13 che attualmente esistono all’interno della ZNKR oltre ad altre 15 circa, credo, che rimangono fuori dalla ZNKR.

Per quanto riguarda l’atteggiamento, dovrebbe essere considerato come un metodo di ningen keisei (un lavoro per raggiungere una maturazione completa, sia del corpo che dello spirito, come essere umano), ma i dettagli dell’approccio dipendono dall’insegnante. La mia opinione è che, mentre la forma rappresenta l’atteggiamento del passato, deve essere ripensata in termini della sua attuale “incarnazione” come hobby attraverso il quale si può raggiungere l’obiettivo di ningen keisei.

Poco fa ha menzionato che l’esame per il 7 dan è stato per lei un punto di svolta, dopo la quale cominciò ad allenarsi per molte ore ogni giorno. Ci può dire qualcos’altro su questo? Come divenne il suo programma di keiko? Era pratica singola?

Come ho già accennato, mi allenavo solo un’ora o giù di lì al mese fino al mio primo tentativo di esame per il 7 dan a Kyōto e, dal momento che non andò a buon fine, cominciai ad allenarmi due ore al mese. Una volta superato l’esame di 7 dan, per riuscire a raggiungere o superare il livello di Kawaguchi sensei cominciai ad allenarmi 6 ore al giorno, dalle 9 alle 15. In termini di contenuto, la prima priorità era di imparare correttamente ciascun kata e, successivamente, comprendere in modo adeguato il riai e il significato di ciascun kata. Una volta raggiunti questi obiettivi, l’allenamento era mirato ad assicurarsi che il mio corpo e il mio spirito si muovessero sistematicamente nel modo corretto.

Per qual motivo una persona dovrebbe iniziare a praticare iaidō al giorno d’oggi?

Ti insegna a vivere la tua vita con una conoscenza delle altre persone; per questo motivo si chiama “iai” [in riferimento al significato letterale dei due caratteri kanji usati per scrivere “iai”: 居 (“i”), che significa “essere”, e 合 (“ai”), che significa “adattarsi”, “accordarsi”, “incontrarsi”, “unirsi”]. Impari a interagire con altre persone, a salutarle, ad ascoltare con attenzione quello che ti dicono, e a essere gentile quando parli con persone che hanno grado inferiore al tuo. Perché facciamo così? Se riesci a metterti nei panni di un’altra persona, a pensare dal suo punto di vista quello che stai per dire e a chiederti se è accurato, questo aiuterà a evitare confusione e disagio per entrambi e a portare armonia tra voi. Questo richiede anche che il corpo e la mente lavorino in sintonia: questo può essere realizzato attraverso lo iaido.

Quali sono i suoi obiettivi e le sfide per il futuro?

Non c’è un termine a quello che sto facendo – non sarà mai finito – e c’è molto da insegnare, quindi il mio obiettivo è di andare avanti. Ci sono sempre nuove persone da incontrare, nuovi modi di pensare e cose nuove da imparare ma, come essere umano, quello che ho da fare e da insegnare va fatto e va insegnato nel modo giusto fino alla fine.

…sul rapporto con l’Europa…

Recentemente, Louis Vitalis sensei ha pubblicato alcuni dei suoi RICORDI DI BUDO in cui parla dell’introduzione di Iaido e Jodo in Europa grazie al suo prezioso aiuto e contributo. Potrebbe  condividere con noi questi ricordi dal suo punto di vista? Quali furono le sfide più importanti che ha dovuto affrontare? 

Innanzitutto la differenza di paesi, luoghi di nascita ed etnie, non solo diversi dal Giappone ma diversi l’uno dall’altro. [In Europa] Ci sono anche differenze nella religione, nella lingua e nello stile di vita. Questo è diverso dal Giappone, anche se anche in Giappone coesistono diverse etnie. Gli abitanti originari del Giappone erano gli Ainu, ma altri iniziarono ad arrivare da vari luoghi e spinsero gli Ainu a nord verso Hokkaidō. Al giorno d’oggi, le persone spesso dicono “siamo il vero popolo del Giappone” anche se, per me, non è del tutto corretto. L’Australia è simile in questo senso. Questo non è il caso dell’Europa. Che cos’è una “vera persona inglese” o una “vera persona francese“? È un argomento molto difficile ma dobbiamo affrontarlo. Negli ultimi 43 anni ho tramandato i lati tecnici e spirituali dell’antico giapponese bubujutsubushidō e budō tenendo presente queste differenze e in modo tale che queste differenze siano comprese da coloro a cui insegno. Ricevo molte domande su questi argomenti durante i seminari e ne parlo con le persone ma, anche dopo tutto questo tempo, c’è ancora molto lavoro da fare e rimane una delle sfide più grandi.

Dopo oltre 40 anni di rapporti di budo con l’Europa, cosa pensa del livello attuale e cosa prevede per il futuro? Che consiglio darebbe alla nuova generazione di iaidoka e jodoka europei? 

L’attuale livello tecnico in Europa è molto alto ma il modo di pensare è molto diverso. Questo perché facciamo le cose in modo diverso da prima. Un tempo, ascoltavi il tuo insegnante, praticavi tutto il tempo necessario per ricevere Menkyo-Kaiden, diventavi indipendente, ma persino allora non seguivi il tuo insegnante fino alla tua morte. Nel kendo in particolare, le persone praticano con molti insegnanti diversi in molti dōjō diversi, il che ha contribuito a rovinarlo e a farlo perdere di varietà. Tuttavia, nel mio dōjō, ci atteniamo alla vecchia maniera quindi, per esempio, se uno studente di kendō chiede se può andare a praticare anche altrove, può farlo senza nessun problema ma, nel caso dello iai, lo studente ed io ne discutiamo, do loro una lettera di istruzioni da dare all’altro insegnante e, solo allora, lo studente va a parlare con l’altro insegnante. Questo non è più il modo in cui si fa nel kendo, principalmente perché c’è una mancanza di comprensione del ruolo dell’insegnante e del suo rapporto con i suoi studenti. In Europa, questo è ulteriormente complicato da situazioni in cui, ad esempio, qualcuno inizia ad allenarsi seguendo un 3dan ma alla fine lo supera e raggiunge 5dan o superiore; non potrà più chiamare quella persona il loro insegnante. Le persone in Europa devono considerare attentamente cosa significa essere un insegnante e la relazione insegnante-studente.

L’anno scorso ha deciso di creare un sistema Jikimon più strutturato. Potrebbe spiegare perché sia importante un sistema del genere?

Questo si ricollega a quanto ho appena accennato a proposito del rapporto insegnante-studente. Il punto di stabilire il sistema Jikimon è chiarire qualsiasi confusione riguardo a queste relazioni nel gruppo internazionale Ishidō e chiarire la relazione di tutti all’interno del gruppo.

Il suo rapporto insegnante-studente con gli studenti europei è diverso dal rapporto insegnante-studente che ha con gli studenti giapponesi che possono allenarsi regolarmente nel suo dojo? Se é cosi, come?

Penso di essere un po’ più severo con i miei studenti europei. Con loro e il più ampio gruppo Ishidō in Europa, le cose sono state chiaramente discusse, concordate e confermate (il che non avviene con studenti Giapponesi), quindi penso che sia un po’ più vicino alla pratica più autentica.

In Europa molte persone smettono di praticare lo iaido intorno al 4° o 5° Dan. Non sono sicuro che lo stesso accada anche in Giappone, ma sembra che le persone facciano fatica a continuare a praticare lo iaido per tutta la vita. Secondo lei, quali sono le maggiori sfide che impediscono alle persone di continuare a praticare lo iaido? Che consiglio darebbe sia a loro che ai loro insegnanti?

Le persone potrebbero smettere di esercitarsi per una serie di motivi, ma penso che il modo migliore per praticare in modo che le persone possano continuare a farlo è quello di non spingersi troppo oltre e semplicemente fare un passo alla volta. Attraverso la pratica, continua a crescere come essere umano. Proprio come nella vita in generale, ci saranno momenti brutti e momenti belli, ma penso che il modo migliore per continuare sia essere onesti con se stessi sia nella vita che nella pratica.

In Europa ci sono persone e gruppi che pensano che le competizioni siano superflue nel budo. Cosa ne pensa al riguardo? In che modo la competizione ha influenzato lo sviluppo del suo iaido? 

La verità è che le competizioni non sono necessarie. Ci alleniamo per noi stessi quindi la competizione non è l’obiettivo e, anche quando partecipiamo alla competizione, non affrontiamo il nostro avversario come nel kendo. In entrambi i casi (iai o kendō), non sono sicuro di quanto tu possa fidarti del giudizio altrui ma, come sistema, è lì per controllare il tuo livello quando stai facendo del tuo meglio. Inoltre, esiste anche un senso di competizione con l’altra persona e questo può essere un modo per mettersi alla prova. Per verificare se puoi competere ed eseguire lo iai con una mente calma (heijōshin) senza innervosirti o arrabbiarti. Per questi motivi, penso che sia meglio partecipare alle gare, soprattutto oggi, quando nessuno dei due perderà la vita, a differenza dei vecchi tempi quando era molto più difficile ed entrambi i “competitori” potevano vivere o morire.

Cosa si sente di dire alle persone in Europa che stanno attraversando momenti difficili senza la possibilità di allenarsi nei dojo, frequentare seminari o partecipare a taikai? 

La situazione attuale rende molto difficile il proseguimento delle attività di iai, non solo il lato tecnico della formazione e il miglioramento delle proprie capacità, ma anche l’aspetto sociale dell’incontro, del dialogo e della formazione con i propri coetanei e insegnanti. Il percorso dello iai è già abbastanza difficile quando siamo in grado di allenarci e non poterlo fare è una difficoltà in più, ma allo iai non c’è fine. Incoraggio le persone ad avere pazienza e a cogliere ogni opportunità per allenarsi quando possono. 

Inoltre, pensa al concetto del detto “bunbu ryōdō” (più o meno “la via della cultura e la via marziale insieme”); questo significa che un artista marziale completo dovrebbe essere educato ed erudito oltre che un combattente competente. L’allenamento fisico, che necessita di uno spazio/dōjō, è solo un lato della pratica ed esercitare la mente con lo studio, che si può fare ovunque, è l’altro. Questo è anche collegato all’idea di “jiri itchi” (“teoria e pratica come una cosa sola”). Quindi, le persone che attualmente non sono in grado di praticare possono cogliere l’occasione per esplorare il lato “bun” dello iai.

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