Lo Iaido è un’arte marziale.
Un’affermazione certamente banale, che può tuttavia essere presa in considerazione a diversi livelli di profondità.
Personalmente non amo la netta distinzione che viene fatta dai praticanti delle varie discipline che rientrano sotto la definizione di “arti marziali”. Preferisco considerare “l’arte marziale”, al singolare, come l’insieme di tutto ciò che un individuo può studiare per comprendere il combattimento in tutte le sue declinazioni.
Lo Iaido ha la peculiarità di non disporre di un avversario in carne ed ossa, ma in considerazione del punto di vista appena descritto, dall’ignorare ciò che insegnano le discipline di contatto, che prevedano l’uso di armi o meno, risulterebbe una pratica spuria e priva di significato.
In genere, superata la prima fase in cui si devono apprendere le tecniche di base, gran parte del lavoro dell’arte marziale consta nell’approfondire e rendere efficaci le tecniche che si conoscono.
Vi è una gran quantità di lavoro personale in questo, e le possibilità sono infinite.
Ognuna delle “arti marziali” e degli sport da combattimento tramandate al giorno d’oggi comprendono una gran quantità di tecniche. In fase di studio ogni praticante è tenuto a cercare di carpire il più possibile di ciò che il suo maestro cerca di tramandare durante le sue lezioni, ma quando si affaccia al momento del combattimento libero è solo suo compito trovare il modo più adatto per esprimere le sue competenze per risultare vincitore nello scontro.
Vi sono due componenti da considerare quando si cerca il “modo” per affrontare i propri avversari, che siano sparring partners o avversari in una competizione.
Il primo è il proprio “stile di combattimento”. Ogni praticante con qualche anno di esperienza ha un insieme di tecniche che usa in modo più naturale e più frequente delle altre. Le motivazioni sono molteplici, dalla conformazione fisica alla forma mentis. C’è chi è più aggressivo, chi invece preferisce giocare in difesa, chi punta sulla forza bruta, chi sull’agilità e così via. Questo insieme di parametri che formano lo stile del combattente possono cambiare molto negli anni, seguendo sia la sua crescita sia personale sia in termini di competenze nella disciplina.
Per quanto codificato, anche lo iaido è permeato di momenti in cui emergono alcune peculiarità stilistiche del praticante. Un esempio a noi vicino è lo iaido di Claudio Zanoni (6 dan renshi), che egli stesso definisce “tecnico”.
Personalmente trovo molto utile analizzare gli elementi che caratterizzano il proprio stile di combattimento. L’esercizio non serve sicuramente a bearci di noi stessi, ma aiuta a diventare più consapevoli durante la pratica. Se sappiamo che la tecnica che stiamo dimostrando si addice al nostro stile, potremo eseguirla senza pensarci eccessivamente, guadagnando in naturalezza ed efficacia, al contrario se comprendiamo che un movimento risulta ostico per il nostro stile, possiamo dedicarvi più tempo e più attenzione.
Il secondo componente da prendere in considerazione quando si affronta un combattimento è la strategia. Generalmente i combattenti esperti non improvvisano quando salgono sul ring, entrano in una gabbia o si schierano sul tatami. Georges St.Pierre, una delle icone dell’MMA con un corposo background di Karate stile kyokushinkai, pochi secondi dopo aver conquistato il suo più recente titolo ha affermato: “Le arti marziali non riguardano chi ha le p#lle più grosse, perdonate il mio linguaggio, ma riguardano la tecnica, il preparare delle trappole e l’intelligenza”.*
Le discipline che ognuno di noi studia definiscono l’insieme di tecniche e competenze da cui possiamo attingere per creare il nostro piano di battaglia. Per farlo è necessario riuscire a capire i movimenti che il nostro corpo deve fare per eseguire la tecnica, l’esatto momento in cui affondare il colpo, la velocità di esecuzione adatta nel preciso contesto in cui ci troviamo e come la distanza che ci separa dall’avversario cambia il modo in cui dobbiamo effettuare l’attacco.
Nei più familiari termini usati dal Iaido si potrebbe approfondire il tema affermando che per rendere un Kata efficace si deve usare il corretto ki-ken-tai no ichi, con un jo-ha-kyu adatto alla situazione, considerando il giusto maai prendendo in considerazione il rihai del kata.
È interessante osservare come tutti questi concetti non siano soltanto obiettivi teorici.
Nell’ottica di un combattimento essi si tramutano in scelte e valutazioni che il praticante deve compiere in una frazione di secondo.
Aumentare il proprio “fighting” nello iaido attraverso lo studio di questi principi significa, in questa mia prospettiva, aumentare la consapevolezza con cui facciamo queste scelte.
E qui entra in gioco la strategia. Il termine stesso implica effettuare una scelta prima di lanciarsi nell’azione, fare un piano che ci permetta di avere un vantaggio sugli avversari. Molte volte i nostri maestri, ed in particolare il maestro René Van Amersfoort (7 dan kyoshi di Iaido e 8 dan kyoshi di Jodo), ci hanno invitato a “preparare il kata”. Credo che “preparare il kata” si riferisca a questo: l’osservazione dello scenario del kata prima del suo inizio, la valutazione degli avversari, stabilire la strategia per poi muoversi con la consapevolezza e la confidenza proprie di chi ha un piano per vincere.
Peculiarità dello Iaido è che la strategia è in parte decisa dal kata stesso, ma sta al praticante farla propria, rendendola tangibile e visibile con la certezza dei propri movimenti.
Nondimeno, così come una strategia è una linea guida e non una traccia immutabile, avanzando con la pratica viene richiesto lo studio di principi che suggeriscono come essa ci sia ma non sia immutabile.
Uno fra tutti, il concetto di “moving without stopping” suggerisce che la nostra mente non si fermi mai e sia sempre in pieno controllo del corpo, rendendo possibile cambiare i movimenti del kata nell’ipotesi che l’avversario non si comporti come previsto. Il Maestro Renè ha mostrato in più occasioni come, eseguendo correttamente kirioroshi di Morotetsuki, il peso del corpo non sia mai sbilanciato in avanti ma resti fino all’ultimo istante sulla gamba d’appoggio, permettendo all’esecutore di cambiare direzione nel caso in cui il kasoteki si sposti dalla traiettoria d’attacco.
In conclusione, combattere implica prepararsi, comprendere se stessi e il proprio avversario.
Quando quattro assalitori spuntano fuori all’improvviso mentre camminate con soltanto la vostra spada a tenervi compagnia, non c’è tempo per osservare il panorama. Per avere la minima probabilità di sopravvivere, la mente deve creare una strategia in un attimo e il corpo deve muoversi seguendo il proprio stile in modo totalmente fluido e naturale.
Immergersi con dedizione nella pratica e nei kata permette di avvicinarsi ad un contesto di combattimento reale e quindi, per usare le parole di Claudio, di “affrontare l’avversario con la massima sincerità”.
Grazie per aver letto fino a qui.
Buona pratica,
Pierluca Regaldi, 4 dan
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*L’intervista completa a Georges St. Pierre ivi menzionata è disponibile per gli interessati a *questo* link.