L’ultima sessione di esami di Iaido si è svolta come sempre durante i Campionati Italiani del 12 e 13 giugno 2021 a Modena.

Il risultato di questa sessione d’esami, la prima dopo la lunga pausa dettata dal Covid, è qui sotto riportato.

  • 9 nuovi 1° kyu (su 10 iscritti)
  • 4 nuovi shodan (su 4 iscritti)
  • 9 nuovi nidan (su 9 iscritti)
  • 8 nuovi sandan (su 13 iscritti)
  • 6 nuovi yondan (su 11 iscriti)
  • 3 nuovi godan (su 9 iscritti)

Tra questi, Chiara Bonacina, Gabriele Gerbino e Vittorio Secco – che fanno parte della redazione di questo blog – hanno accettato la nostra richiesta di fornirci le risposte all’esame scritto di Modena. Ne approfittiamo per ringraziarli e complimentarci per il risultato dell’esame.

3° Dan: Shibori e Saya No Uchi

  1. Spiegate l’azione di Shibori e in quali Kata si trova;
  2. Spiegate il significato di Saya No Uchi;

Gabriele Gerbino

  1. Shibori è un termine Giapponese che significa, letteralmente, “strizzare”. Il gesto tecnico associato, che in termini pratici lo si può pensare proprio come l’atto di strizzare un panno bagnato, lo si trova nel quarto e nel decimo kata: in entrambi infatti, contemporaneamente all’atto dello Tsuki eseguito con la mano destra, la mano sinistra effettua Shibori portando il Koiguchi davanti all’ombelico e ruotando la saya (come per strizzarla). Alla fine del gesto, spada e saya saranno pressoché parallele e l’azione di Shibori, simultaneo allo Tsuki, avrà contribuito a rendere più energico ed efficace quest’ultimo.
  2. Saya no Uchi, letteralmente “dentro la saya”, è un’espressione molto famosa ed ampiamente discussa nello Iaido, forse perché si presta bene a discussioni sia tecniche che meno tecniche. Infatti, finora ho sentito almeno 2 spiegazioni principali di questo concetto:
    – vincere con la spada dentro al fodero (saya no uchi de katsu) esercitando una forte pressione di Seme e Zanshin per bloccare il nostro avversario ancor prima di estrarre la spada. Per certi versi, se riuscissimo a destabilizzare il Teki fino a questo punto, chiaramente potremmo decretarci vincitori (che sia perché, a questo punto la situazione sarebbe nettamente a nostro favore o perché l’avversario desista nel suo intento offensivo).
    – una spiegazione più pratica (e che personalmente trovo più interessante) é che quest’espressione significhi “tagliare” da dentro la saya. Questo significa che le azioni di estrazione e taglio devono coincidere, ovvero che il taglio debba iniziare quando ancora l’estrazione non sia  stata completata del tutto. Un’azione del genere non solo sarà più fluida, ma nel complesso sarà anche più veloce riuscendo a “risparmiare” qualche frazione di secondo (roba che potrebbe fare la differenza tra la vita e la morte in una situazione reale). Questo si ottiene solo con un uso corretto della mano sinistra (saya biki), che dovrà lavorare in sincronia con la destra per effettuare un’estrazione fluida con un taglio efficace.

4° Dan: Jo-Ha-Kyu e Kigurai

Per il 4° dan le domande erano:

  1. Parlate di Jo-Ha-Kyu
  2. Parlate di Kigurai

Chiara Bonacina

  1. Jo-ha-kyu” (o meno comunemente “ma”) è un’espressione riferita al ritmo con il quale si esegue il kata, nel dettaglio indica la crescita costante e graduale dell’accelerazione applicata alle diverse tecniche di sfoderamento e taglio. Il focus, quindi, è il tempo d’esecuzione in considerazione della distanza fra noi e il/i kasoteki. Ad esempio, nel nukitsuke di mae l’estrazione comincia in modo relativamente lento, poi in maniera continua e fluida diventa più veloce fino ad arrivare al massimo della rapidità nel momento del taglio. Jo-ha-kyu deve essere ben equilibrato all’interno di un kata, perché è uno degli elementi grazie ai quali possiamo riuscire a trasmettere l’autenticità e il realismo del combattimento in corso.
  2.  Spesso si tende a tradurre “kigurai” come “dignity”. Kigurai è un termine che non ha una traduzione univoca in italiano. Mi è piaciuta molto la definizione che ne ha dato Oshita sensei durante l’ultimo seminario arbitrale organizzato dalla CIK. Secondo il sensei, “kigurai” può essere costruito in molti modi, alcune persone lo possiedono quasi fosse un tratto naturale, una sorta di attitudine al comando, la profondità dello sguardo è percepibilmente diversa e pare quasi che gli occhi pungano. Durante il seminario, kigurai è stata definita come l’abilità di imporsi. Se nel corso dell’enbu si mantengono la massima concentrazione, una postura del corpo dritta e corretta e un atteggiamento serio, che appaia rispettoso, degno e sicuro, se siamo in grado di mostrare a chi guarda che stiamo sopraffacendo l’avversario, che lo stiamo respingendo, lì c’è kigurai.

Vittorio Secco

  1. Per Jo-Ha-Kyu si intende essenzialmente il ritmo di un kata, ovvero il rapporto tra sezioni lente e veloci in una data esecuzione. Soprattutto rispetto allo sfoderamento e al taglio, Jo-Ha-Kyu si esprime come aumento costante e graduale nell’accelerazione. Nel progredire del praticante lungo la via, questo concetto assume via via sempre più importanza, dal  momento che dalla sua corretta applicazione scaturisce la credibilità del Rihai durante l’esecuzione.
  2. Il concetto di Kigurai non è semplice da tradurre in italiano. Esso ha a che vedere con la pressione spirituale che si è in grado di esprimere in una data situazione. Segno di Kigurai è uno sguardo deciso, “che punge” e “penetra” , secondo Oshita Sensei. Kigurai non può essere sempre appreso, dipende certamente dalla natura intima di un individuo, ma comunque si può allenare.  Tale pressione spirituale deve nascere da armonia e decisione, dunque non va scambiata con semplice aggressività, tanto più Kigurai è forte, tanto meno è palese Okori.

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