L’allenamento libero

di Danielle Borra
danielle borra

Esistono molti modi di allenarsi ma quando si raggiunge un certo grado in pratica buona parte dei propri allenamenti diventano allenamenti liberi, almeno per quanto riguarda il tempo speso in palestra.

Quest’anno abbiamo ricominciato in pochi e abbiamo dello spazio, cosa rara per noi,  quindi stiamo usando la seconda ora per fare allenamento libero.

Ogni volta che lo facciamo emergono delle difficoltà che non riesco a capire fino in fondo.

L’allenamento libero prevede che si abbia uno spazio in cui ognuno si assume la responsabilità di cosa vuole allenare. Siamo liberi di approfondire le cose che non riescono bene al nostro corpo, di studiare un particolare che è stato evidenziato, oppure semplicemente di lavorare sul ritmo senza dover attendere gli altri attorno a noi. Una vera meraviglia secondo me.

In Giappone in diversi dojo si pratica sempre in questo modo, con il Sensei che guarda e interrompe e spiega delle cose quando lo ritiene opportuno. 

In Italia, o per lo meno nel nostro Dojo, invece ci sono delle difficoltà o delle incomprensioni su come funziona questo tipo di pratica.

Riassumo le difficoltà sulla base di quanto osservo nel Dojo:

  • non riesco a trovare gli stimoli giusti e finisco prima interrompendo l’allenamento prima del tempo e non sfruttando appieno l’opportunità. E’ come se da solo, evitando lo sguardo vigile e severo dei propri insegnanti, si perdesse interesse. In questo caso possiamo parlare di mancanza di assunzione di responsabilità o di incomprensione dell’opportunità insita in questa forma di allenamento?
  • Pratichiamo poco interrompendoci spesso e fermandoci a guardare gli altri o semplicemente perdendo tempo. Siamo stanchi? E’ vero che la pratica libera non ha momenti di sosta ed è quindi più faticosa di un allenamento normale. Richiede anche una certa concentrazione mentale che nuovamente può risultare faticosa. Ma davvero la nostra concentrazione o motivazione non regge per 30 minuti? Non parlo dei principianti che ovviamente hanno bisogno di supporto e hanno bisogno di essere seguiti, ma per esempio di 4° o 5° dan che praticano da più di 10 anni?
  • Cominciamo a chiacchierare, ci distraiamo e cominciamo semplicemente a perdere tempo interagendo con altri. Anche questo è un meccanismo tipicamente italiano che già vediamo all’inizio quando entriamo nel dojo prima che la lezione cominci. Il piacere della socializzazione prevale su quello della pratica. 
  • Ci mettiamo ad insegnare. Anche questo succede spessissimo, ci guardiamo attorno e cominciamo a correggere i nostri compagni e a insegnare delle cose nonostante siano presenti in dojo alti gradi che stanno seguendo l’allenamento. Non ci concentriamo sulla nostra pratica ma su quella dei nostri compagni. Gli scambi di esperienza sono positivi ovviamente ma cosa ci spinge veramente a correggere gli altri?  Stiamo snaturando inconsapevolmente il significato di pratica libera.

Perché è così difficile? Non so rispondere veramente a questa domanda, è una delle cose che non comprendo fino in fondo. Quello che so è che questa modalità di allenamento ha molti vantaggi e fa crescere rapidamente il praticante come ci spiegano Alessio e Gabriele nelle pagine che seguono. In qualche modo non riesco a trasmettere appieno questa cosa all’interno del nostro dojo.

Avete dei suggerimenti o volete condividere le vostre esperienze in merito? Scriveteci.

Danielle Borra

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