Nelle Note sulle leggi marziali è scritto che la frase “Prima vinci, poi combatti” può essere riassunta in due parole: “Vinci in anticipo”. L’intraprendenza nei tempi di pace consiste nella preparazione militare per i tempi di guerra.

Yamamoto Tsunetomo, Hagakure XI,1, (traduzione italiana mia, da: Y. Tsunetomo, Hagakure: The Book of Samurai, translated by W. S. Willson, Kodansha International, Tokyo 1992.)

Il passo di Hagakure da cui ho estratto questo detto si colloca all’interno di una più ampia cornice che sembra discutere di strategie militari su larga scala; si parla di guerra. Tuttavia, a guardare meglio, Tsunetomo non sta effettivamente dando un’indicazione tecnica sul come si dovrebbero amministrare le forze armate per giungere ad una vittoria sul campo. In effetti qui il tema non è la guerra in quanto tale, piuttosto l’atteggiamento che si tiene di fronte ad una qualsiasi sfida ci si presenti dinnanzi; e in questo aspetto, la rilevanza per noi moderni lettori occidentali.

“Prima vinci, poi combatti” è un’espressione a prima vista paradossale: come posso vincere se ancora non ho iniziato a combattere? In realtà, proprio questo discorso si lega ad una più ampia visione del combattimento. Chiunque abbia praticato un’arte marziale sa benissimo che uno scontro con un avversario non può durare più di qualche minuto. Chi pratica iaido, poi, è consapevole del fatto che un kata dura anche meno di un minuto, e in uno shiai la somma delle esecuzioni non può eccedere i sei minuti in totale. 

Ora quando si pratica un kata si combatte, o per lo meno si dovrebbe, ma quanto sarebbe ingenuo pensare che basti praticare un kata per vincere in quello scontro? La realtà è che per vincere davvero non basta essere disposti a combattere, perché in primo luogo bisogna disposti a prepararsi, e a farlo bene. 

La preparazione, che è apprendimento, è l’aspetto più importante di qualunque pratica in relazione al successo che possiamo o non possiamo ottenere. 

Eppure, non ogni preparazione sortisce il medesimo effetto: una preparazione inadeguata, a ridosso dell’obiettivo, oppure semplicemente calcolata male in relazione allo scopo che ci prefiggiamo, inevitabilmente sarà deludente. Nella pratica dello iaido, questo diventa particolarmente evidente nella preparazione degli esami dopo il terzo dan. La preparazione dunque non sempre equivale a vincere in anticipo.

Un mio professore una volta mi disse: “nella vita è meglio essere pronti che preparati”. Penso ci sia molta saggezza in queste parole, ma allo stesso tempo si possa incorrere in alcuni rischi nell’interpretarle, almeno ad un primo ascolto.

Ci si potrebbe infatti abbandonare al pensiero che in fondo l’essere pronti abbia a che vedere con una qualità innata del soggetto, che prontezza e preparazione in qualche modo formino una coppia antinomica. Non è così. Il punto è proprio che per essere pronti, e cioè vincere in anticipo, occorre in primo luogo una preparazione costante, disciplinata, in vista di un obiettivo preciso: non si è pronti, si diviene pronti.

Si potrebbe forse dire che la prontezza è l’esito di una preparazione in cui le energie che spendiamo sono state canalizzate nel modo giusto.

A volte si ha la tendenza a pensare che più fatichiamo, più otterremo risultati. La realtà è altra: allo sforzo non corrisponde necessariamente una ricompensa proporzionata; il punto è come si sono usate le proprie energie per “vincere in anticipo”. 

È allora a questo divenire-pronti che la pratica dello iaido, in particolare, si rivolge: si tratta di un lungo cammino, che lascia ampi spazi per le cadute e gli inciampi, ma che in definitiva insegna a vincere in anticipo, prima di combattere.

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