Un mio amico mi ha telefonato qualche tempo fa e mentre mi raccontava cosa stava succedendo nella sua attività mi ha anche detto, così come se fosse una cosa secondaria, che stava salendo in macchina per andare a prendere il suo vecchio istruttore di arti marziali per portarlo in palestra. Ne abbiamo parlato un po’ e mi ha detto che il suo insegnante è solo e ha un deficit cognitivo. Di conseguenza gli “anziani” del dojo se ne prendono cura, gli hanno trovato una struttura protetta, lo vanno a trovare e lo portano in dojo dove pare riesca ancora a praticare la sua arte marziale senza alcun problema.
Ho trovato questa storia meravigliosa da un punto di vista umano ma riflettendoci un po’ è chiaro che contiene una serie di lezioni di Budo molto importanti che il mio amico dava per scontate e normali ma su cui vale la pena di soffermarsi.
Dal mio punto di vista le lezioni di budo contenute in questa storia sono almeno tre.
La prima attiene alla gratitudine concetto molto chiaro e scontato per il mondo giapponese meno evidente per noi. Sono grato al mio insegnante per tutto quello che ha fatto per me e, di conseguenza, mi occupo con gentilezza di lui nel momento in cui ne ha bisogno semplicemente perché è normale ricambiare quanto abbiamo ricevuto nei molti anni di pratica insieme. Spesso durante il kyoto taikai si vedono i Maestri anziani che ancora praticano iaido e kendo che vengono accompagnati dai loro allievi fino all’area in cui faranno la dimostrazione, a volte vengono anche aiutati ad indossare l’armatura. In questo esempio si tratta di Maestri che hanno l’8° o, sempre più raramente, il 9° dan ma lo stesso concetto è applicabile a coloro che ci hanno insegnato per molti anni anche se abbiamo raggiunto lo stesso grado o un grado maggiore. La gratitudine è un atteggiamento importante per prima cosa per noi perché ci permette un miglioramento vero come essere umani.
La seconda lezione riguarda l’appartenere ad una famiglia di Budo. Spesso il Maestro Buxton parlava dell’importanza e della bellezza della Budo family, si pratica insieme per molti anni, ci si vede agli stage con il proprio Maestro, si progredisce aiutandosi reciprocamente. Come in ogni relazione di lungo periodo ci sono alti e bassi, cose che vanno bene ed altre no, ma c’è un legame. Nell’esempio che ha ispirato questo articolo è stato considerato naturale occuparsi del proprio insegnante come se fosse uno di famiglia e tutti i compagni di dojo hanno agito di concerto per trovare soluzioni adatte, come farebbe una famiglia. Nuovamente è un concetto considerato più normale nella cultura giapponese, per esempio se il Maestro si ammala è normale che il gruppo si occupi del dojo e contribuisca anche alle spese di ospedalizzazione o copra in qualche modo i mancati redditi del Maestro. In una famiglia è un atteggiamento normale.
La terza lezione riguarda la capacità del nostro corpo di ricordare al di là di quello che fa la nostra mente. Se abbiamo praticato molto il movimento è diventato naturale per noi e siamo in grado di riprodurre quel gesto anche se le nostre capacità cognitive sono limitate. Anche in questo passaggio esiste un messaggio con un alto contenuto di positività.
Probabilmente ci sono altre lezioni che possiamo trovare in questa semplice storia raccontata come un fatto normale di poca rilevanza e che invece continua a riempirmi di gioia ogni volta che ci penso. Magari i lettori possono aiutarmi a trovare altri spunti.