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Suiseki
[immagine da https://www.bonsai-bci.com/index.php/bci-resources/viewing-stone-blog]

Vedo il mondo intero in una piccola pietra. Alcuni oggetti in questo mondo sono enormi e altri sono piccoli e hanno tutte le forme, ma non sono così diversi quando guardi la loro essenza.

Hideo Marushima, Storia del Suiseki in Giappone

L’arte è forse una delle cose che contraddistingue l’uomo tra gli altri esseri viventi ed è generalmente associata alla bellezza. Il comportamento tipico dell’essere umano davanti a qualcosa di stupefacente e meraviglioso è quello di un’estatica sensazione causata dal prodotto della creazione artistica, da cui ovviamente la capacità relativa alla creazione di prodotti definiti artistici. Con i cambiamenti culturali e sociali tipici della nostra evoluzione credo sia possibile dire che anche l’arte abbia mutato la sua natura: il suo sguardo si è rivolto anche verso soggetti inquietanti, spesso addirittura sconvolgenti, ma che comunque suscitino emozioni. Non più solo alla ricerca e alla rappresentazione del bello in sè, ma di qualcosa che faccia nascere emozioni, fossero anche di disgusto o inquietudine.

È forse quindi l’animo umano a definire cosa sia arte, e non solamente guidato dalla cultura: un tramonto, ua goccia di pioggia, un’ombra, uno spazio tra due fiori su un ramo, un cristallo di neve, ovunque l’uomo sensibile volga lo sguardo verso la natura è in grado di coglierne la bellezza definendo l’oggetto dell’osservazione come capolavoro, sulla falsariga del manufatto artistico. Quindi non è solo più arte quella derivante dall’atto creativo dell’uomo, ma l’evolversi della cultura e della sensibilità umana può portare a nuovi paradigmi artistici per la ricerca e l’apprezzamento di opere d’arte create dalla natura.

Spingendosi oltre, possiamo definire arte una semplice pietra? Sono definibili arte l’Ayers Rock australiano, uno scorcio di calanche provenzali o le Rainbow Mountain peruviane?

Suiseki
[immagine da https://www.ruta40.it/sudamerica/peru/tour/trekking-montagna-arcobaleno-vinicunca.php]

Forse no, forse riescono solo a creare emozioni non diversamente da un evento naturale. Ma che dire di un oggetto, non creato dall’uomo ma dalla natura e dai suoi cicli, che l’uomo invece ricerca e pone semplicemente su un piedistallo esattamente come un’opera d’arte? Varchiamo in questo caso un confine diverso, per addentrarci in quella che spesso è stata definita come l’arte definitiva, finale, compendio di mille altre arti tipicamente frutto della cultura e della sensibilità umana, ma realizzata dalla natura sulla natura stessa, che stimola in noi le stesse emozioni di un manufatto artistico, nel più puro stile di un accadimento che non può che realizzarsi naturalmente, ma che si porta dietro un significato profondo come fosse creato con intenzione. O forse proprio qui sta la non intenzionalità insita nella bellezza e nel messaggio che è in grado di trasmettere.

È il Suiseki, ovvero piccole rocce che vengono naturalmente scolpite ad esempio dal flusso dell’acqua o dall’insistenza del vento, e che presentano forme, colori o trame particolari. Non sono semplici pietre, ma devono mostrare una qualche espressività: sono arte per un sensibile osservatore, diventano arte da mostrare al pari di quadri e sculture, e per certi versi alimentano un mercato dell’arte non diverso da quello a cui siamo più abituati a pensare. Il Suiseki è quindi ben diverso dall’arte dell’impilare le pietre, o stone/rock balancing, disciplina volta al porre pietre e massi di forme diverse in equilibrio l’una sull’altra, senza una base e senza alcun supporto se non quello della forza di gravità, spesso strettamente collegato con lo Zen, con la rilassatezza, con lo scambio di energia e l’aumento di sensibilità, che richiede sicuramente concentrazione e pazienza ma che resta comunque un’arte che prevede un intervento umano per la sua realizzazione, anche se basato sulla sensibilità dell’artista nella selezione delle pietre adatte o del luogo dove poter esporre la propria creazione.

Suiseki
[immagine da https://www.bigstockphoto.com/image-70578532/stock-photo-zen-garden-meditate-spiritual-landscape-of-green-forest-with-calm-pond-water-and-stone-balance-rocks]
Suiseki
[immagine di lele bo]

A differenza dello stone balance, il Suiseki è l’arte giapponese dell’apprezzamento della pietra. Un’arte originata in Cina oltre duemila anni fa, dove è nota con il termine gongshi, e introdotta anticamente in Giappone durante il periodo Asuka (538-710 AD) ma diventata più popolare durante il periodo Kamakura (1183-1333 AD) grazie al riconoscimento da parte della classe dirigente dei samurai.

L’essenza è quella della ricerca, e quindi dell’esposizione, di pietre cosiddette figurate, ovvero che siano in grado di rappresentare qualcosa. Dal momento che il termine originario giapponese suiseki significa acqua (sui) pietra (seki), ovvero natura, tutto ciò che modifica la pietra, e infatti queste opere devono essere state create unicamente dalla natura, non devono aver subito interventi da parte dell’uomo, non possono essere state tagliate, scolpite o colorate, ma possono essere montate su un supporto per migliorarne l’esposizione.

Suiseki
[immagine da https://shakkei.it/suiseki/i-sette-principi-nel-suiseki/]

L’unico eccezionale intervento accettato è infatti il taglio piatto per la creazione di una migliore base d’appoggio, dato che queste pietre possono essere presentate come

– Daiza : dotate di base lignea

– Suiban : posata su una sorta di vassoio o in un ciotola di ceramica, riempiti di acqua o di sabbia

– Doban : come il Suiban ma posata in un contenitore di bronzo

Sebbene il suiseki possa essere considerato come un’espressione estrematente minimalista dell’arte, addentrarsi nella classificazione di tali opere è tutt’altro che semplice. Esattamente come la natura ha infinite sfaccettature, anche il Suiseki ha una miriade di classi, forse anche frutto della tendenza giapponese a catalogare e assegnare nomi per stabilire le più sottili e intime differenze tra le cose.

Su scala più grande, ma non per questo primaria, una classificazione iniziale può essere fatta sulla forma, ovvero pietre che rappresentano gli aspetti naturali di un paesaggio, oppure pietre che rappresentano oggetti o animali, ognuna con svariate sotto categorie e ognuna caratterizzata naturalmente da un nome specifico.

Le prime, Sansuikei-seki o Sansuikeijo-seki, suggeriscono scene e paesaggi che si ritrovano in natura: a questa famiglia appartengono una trentina di sottocategorie, come quelle che rappresentano cascate, singole e multiple,  viste frontalmente o di lato, canali lasciati da cascate ormai estinte, montagne singole o picchi multipli, coperte o meno da vegetazione o neve, viste direttamente o attraverso vallate, isole che fuoriescono dall’acqua, altipiani e zone collinose, spiagge, specchi d’acqua, coste rocciose, rifugi di varia natura per la protezione dalle intemperie,  o gallerie, ognuna con il suo nome proprio per la migliore e più precisa classificazione.

Suiseki
[immagine da http://www.aias-suiseki.it/en/node/603]

Le pietre che rappresentano animali od oggetti intimamente connessi con la natura sono invece le Keisho-seki: queste non devono copiare l’oggetto in sè, ma come spesso accade nel sumi-e, suggerire attraverso delicate linee e forme. Esistono poco meno di una decina di sottocategorie in questa famiglia, che raggruppano pietre che ricordano case rustiche (necessariamente rustiche, una casa di tipo occidentale o moderna non sarebbe considerata), capanne di paglia, imbarcazioni, ponti, animali in genere e più specificamente uccelli reali o mitologici, farfalle e altri insetti tipici della tradizione giapponese, pesci, tra i quali ovviamente non possono mancare le carpe, forme umane con particolare attenzione a lavoratori come pescatori e contadini, Buddha e monaci,  pietre che rappresentano oggetti diversi, in numero di tre, ed osservati da angoli differenti.

Suiseki
[immagine da http://www.aias-suiseki.it/en/mostreeconvegni/CrespiCup2017]

Un altro tipo di classificazione viene effettuata per il colore della pietra, detta Shikisai-seki: ancora una volta è la sensibilità dell’osservatore a stabilire la bontà della colorazione attraverso le sensazioni collegate alla natura che riesce ad evocare la pietra stessa, come l’alba, il tramonto, la notte, la primavera e così via, classificazione caratterizzata dal dover evocare sensazioni unicamente attraverso caratteristiche estetiche. Esistono sette sotto categorie che prendono tipicamente il nome dal singolo colore della pietra, ad esempio Kuro-ishi, pietra nera, più una categoria definita Goshiki-ishi, o pietra dai cinque colori, che tradizionalmente sono un miscuglio di rosso, giallo e verde insieme a qualcosa di grigio, blu, viola, bianco o nero.

Suiseki
[immagine da https://www.japanese-vintage.org/suiseki_stone_2019mar15]

Per complicare ulteriormente le cose, un’altra classificazione è basata sulla trama della superficie, denominata Monseki, caratterizzata da trame, colori, linee, minerali eventualmente in vista, e ancora una volta i collezionisti giapponesi hanno sviluppato una preferenza per le trame particolarmente affini alla natura. Non possono mancare le molte sotto famiglie, poco meno di una trentina, che raggruppano pietre le cui superfici richiamano alberi, foreste, bonsai in vaso, fiori (Hanagata-ishi, particolarmente apprezzate in Giappone) e in particolare il crisantemo, il pruno, la rosa selvatica, vari tipi di frutti, foglie, erbe, bambù, eventi metereologici, cosmici e naturali, a strisce, a rete, o motivi astratti.

Suiseki
[immagine da https://www.lot-art.com/auction-lots/Suiseki-Hakusan-Monseki-1-Natural-stone-Japan-21st-century/46180509-suiseki_hakusan-28.3.21-catawiki]

Per finire, attingendo ancora una volta alla tradizione giapponese, non poteva mancare una classificazione basata sul luogo d’origine, luoghi che sono particolarmente conosciuti per l’abbondanza di tali pietre, che prendono a loro volta il nome dal toponimo: in Giappone esistono almeno una dozzina di luoghi famosi sparsi sul territorio nazionale che danno quindi il nome alle pietre come Kurama-ishi, nella prefettura di Kyoto, Kamuikotan-ishi, nella prefettura di Hokkaido, Sado akadama-ishi, nella prefettura di Niigata, etc.

Nota curiosa, esistono ovviamente luoghi in tutto il mondo che permettono di trovare pietre per il Suiseki e in Italia spiccano per interesse alcune zone dell’Appennino Reggiano, nel Piacentino, e delle Alpi Liguri, che offrono pietre di calcare duro che per composizione geologica assomigliano alle Suiseiki classificate come Furuya-ishi, nella prefettura di Wakayama, pietre da noi chiamate Palombini a causa del loro colore grigio azzurro simili al piumaggio del Palombo o Colombaccio.

Suiseki
[imagine from https://satsukibonsai.com/prodotti/suiseki-palombino/]

Anche se raramente una pietra viene caratterizzata da tutte le famiglie e sotto famiglie descritte, è comunque usanza tipica utilizzare più di un sistema e spesso associare anche un nome poetico come ultimo classificatore.

L’osservazione e la contemplazione delle Suiseki è quindi qualcosa che va oltre all’arte in sè, varcando i confini dell’esistenza umana collegata al mondo naturale. Non sono creazioni artistiche in senso letterale, quanto piuttosto elementi grezzi in grado di restituire emozioni profonde: è quindi la sensibilità di chi le trovi a determinarne la qualità artistica, e la sensibilità dell’osservatore a coglierne le sensazioni che queste riescono a comunicare. In una maniera particolarmente evocativa il Suiseki è stato definito come non avere limiti nell’esatta maniera in cui sono infinite le forme in continuo mutamento ravvisabili osservando le nuvole.

Suiseki
[http://www.aias-suiseki.it/en/node/603]

Il maestro Nomura Masayuki nella sua conferenza tenutasi in occasione della 11a edizione della Crespi Suiseki Cup nel 2015, riportava che il  “Suiseki tratta di un mondo al quale si giunge gradualmente dopo aver sperimentato varie cose. Sono infatti innumerevoli le conoscenze richieste: nell’ambito della pittura policroma e monocroma giapponese, della disposizione delle pietre, dei kakemono, della conoscenza vera e propria di pietre e rocce (litografia), degli elementi di accompagnamento, dei tavolini nonché di altre forme espressive della tradizione nipponica, come la cerimonia del tè, la calligrafia, la disposizione dei fiori, la religione/filosofia che ne è alla base, l’antiquariato, le ceramiche e le porcellane, i metodi di disposizione decorativa e via dicendo. Insomma, l’insieme di tutte queste conoscenze dà vita alla esposizione di un suiseki, un hobby globale che cerca il suo spazio nel cuore delle persone e della loro vita quotidiana. […] È un “cammino artistico” di decorazione estetica che si attua all’interno di una stanza/spazio tramite l’uso delle pietre. Anche se abbiamo tra le mani una pietra meravigliosa, potenzialmente decorativa, ma non sappiamo come disporla, è come se avessimo una pietra morta. Il Suiseki, quindi, si prefigge lo scopo di disporre al meglio – in modo estetico e decorativo – la pietra all’interno di uno spazio. La stessa pietra, disposta in modo diverso, farà risaltare o meno la sua bellezza intrinseca. Ecco allora come potremmo definire la “Via del Suiseki” : essa evidenzia un interesse silente e pacato nei confronti di una pietra, di un paesaggio posto in una composizione spaziale decorativa d’interno incentrata sul suiseki stesso, che è l’essenza e la quintessenza della Natura. È un completamento dell’opera d’arte in uno spazio estetico con una sua propria dignità.”

Suiseki
[immagine da https://www.takumilifestyle.com/tokonoma-il-tempio-dellombra/]

Per comprendere meglio il senso del “cammino artistico” che permette di approdare al Suiseki, è utile elencare i sette principi di questa arte come elencati dal maestro Nomura Masayuki:

  1. Kanso (semplicità): semplificare la composizione espositiva per evidenziare la bellezza
  2. Shoryaku (omissione): evidenziare la bellezza attraverso la “sottrazione”
  3. Yohaku no bi (spazio): creare spazi vuoti sufficienti all’interno della composizione per permettere al fruitore di apprezzare i punti successivi
  4. Seijo (purezza): permettere al fruitore di apprezzare un senso di purezza all’interno della composizione
  5. Jaku (quiete): permettere al fruitore di percepire uno stato di quiete all’interno della composizione
  6. Iki (raffinata eleganza): trasmettere eleganza attraverso la composizione
  7. Fuin (un’indefinibile sensazione positiva percepita all’interno della composizione): la creazione di un atmosfera positiva indescrivibile a parole, che trasmette la bellezza della semplicità e l’eleganza.

Se il Suiseki non è in fondo nulla più che una pietra, per renderla viva e fare in modo che questa possa sprigionare la sua bellezza e la sua carica artistica è necessario che lo spirito della persona che la trovi e la mostri sia profondo, colto e sensibile: è realmente qualcosa di vivo, non a caso vengono frequentemente chiamate pietre vive, che aprono alla consapevolezza del lavoro costante, della natura in questo caso e in rapporto alle attività umane, rappresentazione tipica dell’effimero caratteristico del wabi sabi.

Il più profondo  intimo significato del Suiseki è quello di aiutare a sviluppare la propria ricchezza d’animo attraverso il concetto estetico detto mono no aware, e quindi strettamente legato a quello del wabi sabi, ovvero l’emozione per la bellezza della natura e della vita umana con conseguente sensazione nostalgica legata al suo incessante mutamento, o più comunemente alla sensibilità delle cose.

lele bo

FONTI

https://www.bonsaiempire.com/origin/related-arts/suiseki

https://shimagata.tripod.com/suiclass.htm

https://shakkei.it/suiseki/i-sette-principi-nel-suiseki/

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