Volendo azzardare un parallelo tra fasi della vita e gradi nelle nostre discipline, potremmo dire che, con il 6° dan, si entra definitivamente nell’età adulta.
Nel concreto, questo dovrebbe indicare il superamento di tutte quelle situazioni di crisi e disequilibrio tipiche dell’adolescenza, quando si è ancora alla ricerca della propria identità, a favore di una maggiore stabilità di atteggiamento e giudizio.
In questa ottica, l’esame di 6° dan, lungi dal ridursi alla semplice verifica dell’avvenuto raggiungimento di un livello tecnico, rappresenta un vero rito di passaggio, nel corso del quale viene richiesto al candidato di dimostrare a chi lo giudica di essere riuscito, in qualche modo, ad accedere ad una dimensione più profonda ed evoluta della pratica.
Così, accanto ai criteri di valutazione propri degli esami precedenti, compaiono ora elementi maggiormente legati alla sfera psichica, quali la comprensione della logica razionale alla base della tecnica (Riai), una presenza autorevole frutto della profondità di pratica (Kigurai), il tutto espresso con una sostanziale grazia e dignità di portamento.
Evidentemente, tutto questo non può cadere nel vuoto, in quanto un livello così elevato di pratica marziale deve necessariamente essere il riflesso di un avvenuto cambiamento in contesti più ampi di noi stessi, fino ad arrivare ad abbracciare la totalità della nostra esistenza.
Il raggiungimento di questa nuova condizione globale dovrebbe anche riflettersi nel modo di approcciarsi all’esame: se, nel corso di questa prova, trovano ancora spazio emotività eccessiva, insicurezza, tentennamenti, già questi segnali, a prescindere dal livello tecnico che si riesce ad esprimere, sono segnali dal mancato raggiungimento del livello minimo previsto.
Ancora, una eventuale bocciatura affrontata con atteggiamenti di vittimismo o di non accettazione è indice di mancata consapevolezza del fatto che, in generale, noi non siamo ciò che pensiamo di essere.
Nel corso della recente sessione di esami a Budapest, conclusasi per tanti di noi in modo non esattamente trionfale, ho visto molte energie spese in confronti alla ricerca di errori di valutazione, ingiustizie, imparzialità di giudizio; poche ne ho viste, invece, dedicate a riflettere sul fatto che molti, incluso chi scrive, si erano già bocciati da soli prima ancora di cominciare.
Non me ne vogliano i miei compagni di avventura/sventura, ma il 6° dan è il tempo delle scelte, a meno che, ovviamente, non si voglia raggiungere questo importante traguardo per puro caso.
