Non mi è mai piaciuta la poesia.

Ho dovuto studiarla fin dai primi anni di scuola, quindi posso dire, come credo tutti noi, che sia stata parte integrante della mia formazione, ma ritengo che ciò non sia esatto. Non sono stato introdotto allo studio della poesia, non ho mai avuto il piacere di poterla comprendere, non ho mai avuto dei maestri in grado di accompagnarmi lungo questa strada, eppure è stato necessario studiarla. Con il senno di poi dovrei dire ripeterla, più che studiarla: all’inizio una mera ripetizione, per certi versi azione facilitata dalle rime, dal ritmo, dal cantilenare monotono di una filastrocca in cui spesso si cade quando non si capisce il senso della cose, poi via via sempre un po’ meno cantilenata e più ragionata, ma sempre lontano dalla comprensione vera. Avendo poi affrontato studi scientifici, come molte cose la poesia è rimasto un lontano ricordo.

[immagine da http://gallery.world]

Flashback. 

Anzi, flashforward.

Ho cominciato a studiare le arti marziali, o meglio, ricominciato, da adulto. Un approccio diverso a tutto, dettato dall’esperienza degli anni vissuti, mi ha fatto avvicinare al kendo e allo iaido con un’ottica diversa. Non c’entrava il corpo a corpo o il brandeggio di un’arma, non c’entrava la competizione con gli altri, ma solo la voglia di fare qualcosa per me stesso, che potesse dare un senso al concetto di disciplina e di pratica. Le arti marziali non sono solo attività fisica, e mi rendo sempre più conto di quanto siano anche, o soprattutto, cultura che integra l’azione.

Flashforward, di nuovo.

Concetti, tecniche e principi delle arti della spada cominciano a sovrapporsi a quelli della vita quotidiana dettata da regole più tipicamente occidentali; autori del passato, maestri, scritti, scuole, cominciano a gettare le fondamenta per la costruzione di un mondo nuovo, sicuramente diverso, ma che non può, o non riesce, a sostituire il mio, e non deve. Non sono giapponese, non sono mai stato in Giappone, non sono neppure uno studioso della terra del sol levante, ma ancora una volta mondi diversi si integrano, ancora una volta una naturale propensione a trovare punti in comune, a cercare interpretazioni e interconnessioni, a cercare di vivere quello che faccio, prende il sopravvento attraverso un’esperienza quasi totalizzante.

La pratica della spada mi mette di fronte a molte cose, che in ordine sparso includono la necessità di percepire movimenti e respiri, il completo e totale lancio di se stessi oltre l’ostacolo, la cura per il dettaglio e contemporaneamente la capacità di guardare tutto senza soffermarvicisi, il qui ed ora, la necessità di vedere un avversario, reale nel kendo e immaginario nello iaido. Le letture si susseguono incessanti, le arti si sovrappongono, scopro nuovi approcci e nuovi pensieri, e non per caso, rieccomi infine di fronte alla poesia, questa volta in chiave nipponica.

Immediata, brevissima, minimalista: l’haiku, con le sue diciassette sillabe, o meglio, more, dischiude interi mondi che si affacciano sulla realtà, spesso sulla natura, cristallizza immagini che si palesano continuamente alla vista ma che spesso non colgo, nella frenesia dei miei ritmi quotidiani. Alla pratica della spada si sovrappone l’arte dell’haiku, grazie a concetti ed insegnamenti ricevuti in dojo e praticati costantemente dentro e fuori dal dojo stesso. 

E collante fra le due è il metsuke, o più esattamente enzan no metsuke, guardare le montagne lontane, locuzione che significa guardare l’insieme e non qualcosa di specifico (cfr. CIK, Manuale ZNKR Iai) e che non potrebbe associarsi meglio alla capacità di vedere cosa ci sia attorno noi qualsiasi cosa si stia facendo.

[immagine da https://letterboxd.com/film/sanjuro/]

Non a caso il metsuke è il primo dei quattro punti fondamentali dell’arte della spada: ichi gan (primo, la vista), ni soku (secondo, il movimento dei piedi), san tan (terzo, l’importanza del centro), shi riki (quarto, l’energia). È evidente quanto sia importante in combattimento non focalizzarsi su un punto, non far morire la mente, guardare un’avversario negli occhi per vedere il suo cuore e comprendere il suo movimento, ma trasferendo il concetto nella vita di tutti i giorni ha assunto il significato per me di guardare il mondo con occhi diversi, non solo più quanto avessi in primo piano. La lettura degli haiku dei grandi maestri come Basho, Buson, Issa, Shiki mostrano una via altra, quella dell’osservazione e della raccolta di attimi spesso imperdibili e irripetibili, esattamente come il suki dell’avversario visto con enzan no metsuke. E allora si può guidare e vedere un tramonto, camminare e percepire una fragranza, correre e rendersi conto del movimento delle foglie, si può gioire e stupirsi del rumore dell’acqua, di un raggio di sole riflesso sulle risaie allagate, della forma di una nuvola, ci si può lasciare cadere nei propri sentimenti ed emozioni, nell’istantaneità di una scena di passaggio infinitesimo pari soltanto a quell’istante di vulnerabilità dell’avversario. Come un taglio efficace, l’haiku è arte nel tempo di un respiro, che nasce dal riuscire vedere quello che ci circonda, fugacemente o meno: la mente aperta, con una spada o un pennello in mano, la capacità di vedere il tutto, in chiave più occidentale cogliere l’attimo, il tutto a mischiare le carte di diverse arti portando a risultati inusuali partendo da un denominatore comune.

[immagine da https://en.wikipedia.org/wiki/Matsuo_Bash%C5%8D]

Se nel kendo il metsuke risulta di più facile applicazione grazie alla presenza di un avversario in carne ed ossa, nello iaido il kasoteki resta un’entità misteriosa: è un avversario, certo, ma è un altro o siamo noi stessi? La profondità della pratica porta a sviluppare uno sguardo diverso, che permette di eseguire un kata con il giusto riai: non è mera interpretazione attoriale ma la capacità di vedere il combattimento e l’avversario che si muove, che ci attacca e che infine soccombe, se siamo stati capaci di vedere e quindi di agire nella maniera corretta. Michel Coquet, ne “Lo iaido: l’arte di tagliare l’ego con la spada” ci insegna che l’occhio è condizionato dalla mente, e prima di riuscire ad avere il controllo della mente è auspicabile educare lo sguardo. Metsuke è la maniera di dirigere non gli occhi, ma lo sguardo. Se l’occhio guarda un oggetto o un avversario, ne subisce il movimento o l’irraggiamento. Pertanto non bisogna guardare ma vedere. Questo richiede di fissare gli occhi sulla linea dell’orizzonte in modo che quello che si trova in primo piano non abbia influenza su di essi. È proprio vero che se si guardasse solo una foglia non si potrebbe vedere l’albero, e se si guardasse solo un albero non si potrebbe vedere il bosco intorno.

La stessa cosa succede nella vita fuori da dojo e ci si ritrova ad imparare a guardare quindi le cose che ci sono più familiari o abituali e alle quali non facciamo neanche più attenzione. Non si vede più la luna in cielo solo perché è notte, ma si vede un riflesso su uno specchio d’acqua mentre s’ode una campana sotto la pioggia; partono treni di emozioni e di immagini, entrano in vibrazione corde diverse che permettono di entrare più in simbiosi con il mondo in cui viviamo, di nuovo in sovrapposizione con il significato di iaido (la via dell’unione con l’universo) e del perché lo pratichiamo. Non si è attenti su nulla ma si è attenti su tutto, non ci si sofferma su niente e si lascia che la mente possa spaziare, si sente il proprio respiro, si sente quello che ci circonda e si percepisce il dettaglio, un’azione, un movimento o un’emozione che sia. La vista abbraccia lo spazio che ci circonda, lo spazio ci restituisce qualcosa, spesso un’opportunità, diversa per le diverse arti, ma essenzialmente comune in ogni caso, una vittoria con la spada o una poesia con il pennello. Analogamente ma in diverse arti, se ci soffermassimo sulla spada dell’avversario non riusciremmo a percepire la minaccia che prende forma dalla sua energia e a cogliere la pericolosità della sua azione, subiremmo un attacco definitivo perché concentrati su qualcosa di specifico anziché sull’insieme: ecco perché osservando la pratica dello iaido dei Maestri si ha la sensazione di vedere il loro avversario, la profondità del loro sguardo è tale da riuscire a solidificare l’azione di attacco e realmente di neutralizzarla per vincere. Non è quindi un caso che nelle regole arbitrali dello iaido i giudici di gara debbano considerare anche il metsuke tra i molti criteri per la determinazione del vincitore: non è solo un’indicazione che ci viene data in dojo da aggiungere ai mille dettagli che caratterizzano un kata, ma una vera e propria attitudine verso ciò che ci circonda. 

Gare di Iaido - Danielle Borra
[immagine da https://kiryoku.it/gare-iaido-fighting-tecnica/]

La naturalezza e la leggerezza sono alcuni dei punti essenziali degli haiku di grandi maestri come Basho. Come spiega molto bene Cenisi ne “La luna e il cancello” uno dei principi della visione poetica del Maestro giapponese è karumi, la leggerezza, ossia di un allontanamento da tutto ciò che è grave, stagnante e privo di naturalezza, in contrapposizione quindi a onomi, pesante, e artificioso, elaborato e convenzionale, furubi, tipico di quanto era stato prodotto fino a quel periodo (fine 1600, ndr). La similitudine con la pratica dello iaido è ancora più evidente se pensiamo alle prime lezioni, o all’idea che da neofiti potessimo avere riguardo al maneggiare una spada, che come nella poesia di Basho si modifica con il tempo fino a diventare arte sublime, sgrossata da ogni eccesso, ripulita fino ad un’immagine singola ed essenziale. L’approccio zen consiste nel penetrare direttamente entro l’oggetto in sè e nel guardarlo, per così dire, all’interno. Conoscere il fiore è diventare il fiore, essere il fiore, fiorire come il fiore, e godere tanto della luce del sole quanto dell’acqua piovana. Quando questo si dia, il fiore [ci] parla e ci permette di conoscere tutti i suoi segreti, tutte le sue gioie, tutte le sue pene; che è quanto dire tutta la vita che freme nel suo intimo. (citato da Cenisi, da Psicoanalisi e buddhismo zen, Fromm, Suzuki, de Martino). Cosa non è questo, se non il modo di porsi per vedere l’avversario?

Ascoltare le stagioni, osservare i mutamenti, cogliere un dettaglio sul quale non mi sono soffermato, sono diventati piano piano azioni normali della mia vita quotidiana e mi hanno fatto riscoprire un piacere che avevo evidentemente perso molti anni fa: guardare con la giusta attenzione niente in particolare è in definitiva molto più completo che non voler vedere qualcosa a tutti i costi. Immagini immediate si palesano nel mio inconscio, si perdono, si sostituiscono e si rincorrono creando una catena di emozioni senza fine, che ogni tanto mi piace mettere in metrica accarezzando la carta con un pennello. Senza la presunzione di nulla di particolarmente profondo, essenzialmente guidato da un enzan no metsuke che mi porta a guardare con occhi diversi cosa ho sempre avuto a portata di mano, ma mi sono evidentemente sempre perso, cose semplici come in un haiku di Kobayashi Issa: 

sul cane addormentato
la leggera corona
di una foglia
——-
neta inu ni
fuwa to kabusaru
hito ha kana

E dire che odiavo la poesia.

lele bo

FONTI: 

CIK – Manuale ZNKR Iai
CIK – Regolamento arbitrale Iaido ZNKR v2
Elena dal Pra (a cura di) – Haiku. Il fiore della poesia giapponese da Basho all’Ottocento
Luca Cenisi – La luna e il cancello 
Michel Coquet – Lo Iaido. L’arte di tagliare l’ego con la spada

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