Shibori è un termine noto agli iaidoka, come anche illustrato nel Glossario Kiryoku curato da Anna Rosolini, il cui significato è “strizzare” (come “strizzare un canovaccio”[1]): ma come spesso accade un termine può presentare diverse accezioni, e in questo caso, lasciate le tecniche della spada ma rimanendo sempre un po’ a tema, questa breve panoramica vuole presentare un’altra arte, caratterizzata da una tecnica assimilabile, sempre tipica giapponese, che al termine shibori associa invece la tintura. In comune con la tecnica di spada, anche in questo caso il significato è lo stesso, ma è applicato alla preparazione della stoffa che viene appunto strizzata, legata e pressata, prima di essere immersa nel bagno per la colorazione. La definizione più corretta indica come lo shibori racchiuda in sé “vari modi di decorare i tessuti modellandoli e fissandoli prima della tintura. La parola deriva dal verbo radice shiboru, “strizzare, spremere, premere”[2].
Lo shibori viene definito come una tecnica di tintura per riserva, nella quale, molto semplicemente, si protegge una porzione di stoffa con tecniche varie e caratteristiche, e che dopo immersione nel bagno di tintura rimarrà quindi non colorate. Esistono tecniche simili in diverse parti del mondo, ad esempio i magnifici disegni batik indonesiani, o le stoffe indiane o ancora africane, ma il termine shibori è utilizzato per identificare più specificamente la tecnica giapponese. Affondando le sue radici a cavallo tra il sesto e l’ottavo secolo, si sono ritrovate stoffe tinte con questa tecnica negli antichi templi buddisti come il Todaiji, stoffe appartenute all’imperatore Shomu e donate dall’imperatrice dopo la morte dell’augusto consorte (AD 756). La tecnica divenne poi oggetto di studio a Kyoto, diventata il centro dello sviluppo dello stile e delle arti, inizialmente per il trattamento delle stoffe per i vestiti di corte e, con il passare dei secoli, si estese all’intera popolazione, rimanendo segno distintivo delle classi sociali il tessuto utilizzato, tipicamente le sete appannaggio delle classi benestanti, oppure la più comune canapa o il cotone. Bisognerà arrivare al diciassettesimo secolo per vedere rifiorire questa antica tecnica ad Arimatsu, sulla Tokaido, la strada resa celebre da Utagawa Hiroshige con le sue opere più famose ovvero le “53 vedute del Tokaido”, composta da stampe nelle quali l’artista rappresenta le stazioni di posta lungo la più importante via di comunicazione dell’epoca, che collegava la capitale dello shogunato, Edo, con Kyoto, la capitale imperiale. Ed è proprio ad Arimatsu che cominciò la produzione dei tenugui decorati con le tecniche shibori, stoffe di piccole dimensioni che allora servivano a molteplici scopi: ma passata l’eccellenza nell’arte di quel periodo cadde successivamente in declino, per essere infine “riscoperta” in tempi più moderni riscuotendo perfino l’interesse delle avanguardie artistiche che hanno cominciato ad applicarla anche ad altri materiali per la creazioni di opere solide tridimensionali.
Rimanendo in tema di tenugui, è interessante notare come questo piccolo accessorio sia veramente popolare in Giappone, al di là della qualità del tessuto, del pregio del disegno o della tecnica con cui è realizzato, ad esempio shibori, chusen o tenassen. Al di là del tipico utilizzo fatto dal praticante delle arti della spada, ma non solo, si possono trovare questi particolari accessori in negozi dedicati che possono offrire fino a migliaia di disegni, motivi stagionali o serie limitate, costituendo anche per il turista la possibilità di poter donare un prodotto tipico, iconico e altamente personale ricercando un’affinità particolare con il ricevente (vedi anche il post Tenugui, la storia continua).
“Anche se il termine shibori è usato per designare un particolare gruppo di tessuti tinti con resistenza, la radice verbale della parola enfatizza l’atto eseguito sulla stoffa, il processo di manipolazione del tessuto. Piuttosto che trattare il tessuto come una superficie bidimensionale, con lo shibori viene data una forma tridimensionale piegando, accartocciando, cucendo, intrecciando, pizzicando o applicando torsioni. Il tessuto modellato con questi metodi è fissato in molti modi, come la legatura e l’annodatura. È la flessibilità di un tessuto e il suo potenziale per creare una moltitudine di modelli resistenti alla forma che il concetto giapponese di shibori riconosce ed esplora[2].” Intervengono infatti due distinti fattori nell’applicazione di questa arte, ovvero il tipo di tecnica per la preparazione della stoffa, genericamente parlando, dove con tale termine si raggruppano le tecniche di copertura, di legatura, di cucitura, e il tessuto stesso, che per qualità e tipo di fibre reagirà in maniera diversa a fattori secondari, ma non meno importanti, come temperature e tempi.
Con lo shibori si procede quindi alla preparazione del tessuto attraverso una moltitudine di tecniche, spesso caratteristiche di una determinata area del Giappone, dopodiché si procede con l’immersione nel bagno di tintura, anche qui con mille varianti, da quelli con pigmenti naturali come l’indaco (il tipico ai zome) a quelle realizzate con preparati chimici già pronti all’uso, forse più utili agli appassionati occidentali, come le colorazioni per indumenti che si possono trovare anche nei supermercati. Anche le stoffe da tingere sono molteplici, purché siano fibre naturali: dalle sete più pregiate alla comune maglietta di cotone, non c’è che l’imbarazzo della scelta. E il motivo per cui si tinge non è assolutamente limitato, passando dai kimono, ai furoshiki, ai kinchaku, ai tenugui e via dicendo. Unendo l’utile al dilettevole, il primo contatto con lo shibori l’ho avuto infatti proprio con la realizzazione di tenugui, trovando molto interessante potermi applicare su una tecnica che mi permettesse di realizzare accessori che normalmente uso durante le sessioni di allenamento di iaido (più piccoli da tenere nel gi) e kendo (dimensione classica da indossare sotto il men).
Dal momento che questa tecnica di tintura viene definita come per riserva, le zone di tessuto che vengono protette dalle legature, dalle cuciture, dai blocchi per la compressione, non vengono tinte, mentre le pieghe con cui viene preparato il tessuto saranno la base per il disegno che risalterà nelle zone lasciate libere. Come ha perfettamente espresso Yoshiko Iwamoto Wada, presidente del World shibori Network, quando il tessuto viene svolto nella sua originaria forma bidimensionale, il disegno che ne emerge è il risultato di una forma tridimensionale unito al tipo di copertura, alla pressione di corde o morsetti che hanno assicurato la forma durante la disposizione del tessuto alla tintura, il quale registra con sensibilità sia la forma che la pressione; la “memoria” della forma rimane impressa nel tessuto.
Questa memoria è un altro degli aspetti affascinanti dello shibori, perché permette di lavorare con i tessuti cercando di capire la loro anima e il loro comportamento, non meno di quanto ci impegniamo nello iai per comprendere la spada e la sua dinamica. In un gioco di azioni e reazioni, lo studio delle tecniche classiche e la sperimentazione portano a comprendere la natura del tessuto, e si avvia una comunicazione fatta di piccoli gesti per cercare la risposta migliore: una fibra imbibita reagisce in maniera diversa da una asciutta, una temperatura più elevata ne favorirà maggiormente l’apertura rendendo il tessuto più ricettivo al colore, una pressione maggiore sulle aree protette creerà aree di resistenza alla colorazione maggiore e quindi aree non colorate più nette, in un’infinita serie di giochi cromatici e geometrici che si rincorrono nel tempo, con la rilassatezza di potercisi applicare in totale libertà della mente, occidentale, sempre alla ricerca del confronto o del giudizio. Da uno dei molti aneddoti riportati da Lucia Lapone[3], praticare quest’arte significa entrare nell’anima del tessuto, e approfondendone la conoscenza dall’interno, portarne fuori le sue qualità nella realizzazione di opere uniche. Perché come viene detto durante le sue lezioni, non esiste un risultato sbagliato, piuttosto un’opera caratteristica, e spesso difficilmente riproducibile al 100%, che trae la propria forza artistica proprio dalla sua unicità.
Entrare nel mondo dello shibori significa entrare in contatto con quelle realtà di un artigianato giapponese storico, che tra alti e bassi vede ancora oggi impegnate persone che eseguono lavori altamente specialistici, similmente alla realizzazione di una shinken: chi coltiva l’indaco, chi effettua legature o cuciture, chi effettua i bagni, in una sorta di catena di montaggio destrutturata dove la maestria del singolo contribuisce all’unicità del manufatto. Non è difficile trovare contenuti video che illustrino gli aspetti di queste produzioni, ed è meraviglioso osservare i magici movimenti delle mani di questi particolari artigiani che si muovono fra stoffe e fili, che tirano e annodano ad una velocità e con una precisione fuori dal comune, rigorosamente seduti in seiza, per preparare le stoffe. Per farsi una veloce idea consiglio la visione di un breve video introduttivo, The Art of Japanese SHIBORI [DVD] digest version, reperibile su YouTube all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=-1jpgI9HN4U o al bellissimo video sul kyo-kanoko, una quasi maniacale applicazione dell’arte degli infiniti nodi da tirare per la realizzazione di alcune tra le più incredibili stoffe dell’artigianato giapponese, e non solo, visibile all’indirizzo https://www3.nhk.or.jp/nhkworld/en/ondemand/video/6024008.
E se la tintura in sé è un’arte, non lo sono da meno le stoffe preparate per la tintura, a mio parere altrettanto degne di una mostra loro dedicata: a seconda dei materiali usati e passando da forme più geometriche a strutture quasi organiche, si passa da creazioni a creature che a seconda della loro genesi reagiranno in maniera differente e personale, mettendosi in relazione con supporti, legature, cuciture, espandendosi, aprendosi al colore e restituendo all’artista quella gioia unica come nell’aprire una sorpresa impacchettata, e spiegandosi infine in tutta la loro bellezza rivelano quelle intime relazioni di cui sono state parte nella realizzazione, lasciando sempre ampio spazio alla scoperta di reazioni nuove.
L’avvicinamento all’arte tintoria dello shibori non è comunque stato un caso: oltre alla possibilità di creare i miei tenugui, è stata infatti anche un’arte pertinente alla classe dei samurai, e si può capire come richieda un vera e propria disciplina per raggiungere la maestria necessaria, lavorando sui movimenti e sulla precisione in maniera non meno profonda che con la spada, muovendosi sul continuo percorso del perfezionamento. Il clan degli Yoshioka, contemporanei di Musashi e più tristemente famosi per lo sfortunato epilogo degli scontri avuti con il celebre spadaccino, nonostante fossero richiesti come istruttori (di spada, nda) e conosciuti in tutto il Giappone (…) prima della sottomissione ad opera di Oda Nobunaga, nel Giappone guidato dagli Ashikaga, fondarono una delle scuole che divenne infine quella ufficiale del Bakufu di Muromachi per quasi un secolo, una degli otto stili occidentali di Kyoto (Kyo-ryu o Kyo hachi ryu), conosciuta come Yoshioka-ryu e in contrapposizione con le sette scuole di Kashima, tanto per suggerire l’importanza degli Yoshioka come spadaccini nella storia e nelle leggende giapponesi. Secondo alcune versioni, questa famiglia era già attiva nella produzione di tinture e nel commercio tessile, prima ancora di intraprendere la via della spada, ma secondo altre versioni, appresero invece la tecnica della tintura che li rese famosi solo dopo che le armate dell’Ovest, capitanate da Toyotomi, furono definitivamente sconfitte da Tokugawa Ieyasu durante la campagna militare dell’assedio al castello di Osaka (1614-1615), dopo la quale si ritirarono a Kyoto e non potendo più esercitare ed insegnare l’arte della spada, ritornarono a fare la loro attività originale di tintori e commercianti[4]. La loro tintura divenne famosa come yoshioka zome o kenpo zome, termine interessante in quanto combinando diversamente gli ideogrammi può assumere il significato di “principio dell’arte della spada”. Non vi è dubbio che il patriarca Naomoto, trasmettendo questo titolo ai suoi successori, abbia certamente voluto giocare con le parole per dare più significati, idee e valori che egli e il suo clan pensavano di incarnare, a tutti quelli che in qualche maniera si sarebbero avvincinati a loro. Infatti, se questo kenpo zome era già in produzione prima che diventassero spadaccini, sarebbe stato facile attribuirsi l’appellativo kenpo, anche per l’arte della spada. Purtroppo ci sono tante versioni, e non tutte coincidono, contribuendo a creare un’aura di leggendario mistero su questa importante famiglia.
Resta invece indubbio che agli Yoshioka venga attribuita la scoperta della formula originale della tintura. Le gesta degli Yoshioka, sia commerciali che nell’arte della spada, sono evidenti anche in altri testi non storiografici, in cui si possono ritrovare passaggi come quelli riferiti alle “persone che frequentano la scuola Yoshioka (a cui) piace indossare abiti di quel colore marrone scuro. Si chiama tinta Yoshioka ed è molto popolare da queste parti”[5] che trova ulteriore conferma in un passaggio dello Honcho Bugei Shoden del 1714, che citando a sua volta un testo dallo Yoshufu-shi riporta che “il clan Yoshioka… (fu) il primo dei tintori che crearono un colore marrone scuro ed esso fu conosciuto come “tintura Yoshioka”. L’attenersi correttamente e costantemente ad una regola è chiamato kenbo (o kenpo)… Da quando il fondatore della famiglia Yoshioka fu capace di riprodurre esattamente lo stesso colore ogni volta, la tintura, anche successivamente, fu conosciuta come kenbo (o kenpo) -zome. Questo tintore imparò l’arte della spada e chiamò il suo stile Yoshioka-ryu”[4].
Anche se storia e leggenda si fondono, se esistono molte versioni della storia a favore o detrazione degli Yoshioka, questo clan resta comunque un punto di riferimento nell’arte tintoria e dell’importanza che questa ebbe in quel periodo storico: per un appassionato di spada potersi immergere anche in questo mondo parallelo e poter realizzare stoffe tinte con queste antiche tecniche è un ulteriore passo verso l’estensione della disciplina, nella continua ricerca del sapere e del creare, seguendo un filo conduttore ben preciso che possa avvicinare sempre di più a queste meravigliose arte, caratterizzate comunque da passione, studio, stimoli e relazioni dalle quali ricevere nuovi spunti per proseguire perseguendo il miglioramento continuo e con la speranza di poter un giorno restituire ad altri quanto riconoscentemente appreso.
lele bo
FONTI E RIFERIMENTI
[1] – Il Glossario Kiryoku (a cura di Anna Rosolini)
[2] – Shibori – Yoshiko Iwamoto Wada, Mary Kellog Rice, Jane Barton
[3] – Lucia Lapone, textile designer i cui lavori sono visibili sulla sua pagina http://lucialaptextiledesigner.blogspot.com, che per le lezioni, l’aiuto, lo sprone, l’ispirazione e l’amicizia considero la mia maestra in questa arte
[4] – Yoshioka, tintori e spadaccini del Giappone feudale 1540-1615 – Satoru Matsumoto
[5] – Musashi – Eiji Yoshikawa