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Il Giappone ha fama internazionale di essere un sistema sociale particolarmente improntato sul patriarcato e la tradizione giapponese ci restituisce un’immagine per lo più stereotipata delle sue donne, presentandocele storicamente come mogli devotissime, che si suicidano alla morte dello sposo, o madri che crescono i figli nello spirito di una vendetta famigliare o ancora donne pietose che inducono il marito a non infierire sui figli del nemico sconfitto.
In effetti il ruolo tradizionale della donnna in Giappone è stato definito come quello delle tre sottomissioni: le giovani donne sono sottomesse ai loro padri, le donne sposate sono sottomesse ai loro mariti e le donne anziane sono sottomesse ai loro figli. Sembra uno scenario d’altri tempi, e in effetti corrisponde all’immagine storica della donna giapponese, la quale fino a non troppo tempo fa, ovvero fino al 1908, poteva rimanere vittima di omicidio da parte del marito, il quale non veniva ritenuto colpevole in quanto era azione legalmente riconosciuta.
Sembra veramente una barbarie da passato remoto, ma mi preme ricordare essere triste storia italiana l’ancora più recente analoga abolizione del delitto d’onore, avvenuto solo nel 1981, settant’anni dopo l’abolizione in Giappone!
Nei due testi fondamentali dell’arte della spada come Hagakure (v. la serie di articoli Hagakure: citazione e commenti di Vittorio Secco) e Il libro dei Cinque Anelli, vengono presentati i canoni e i principi della cultura marziale giapponese centrata sui valori del Bushido e dello Zen secondo la visione dell’impermanenza dell’esistenza, ma appaiono testi tradizionalmente scritti da uomini che parlano di uomini e indirizzati ad una platea maschile.
Il Genji Monogatari, romanzo del XI secolo considerato uno dei capolavori della letteratura giapponese e di tutti i tempi, fu scritto invece da una donna, Murasaki Shikibu, per andare incontro al gusto delle dame di corte del periodo. Ne emerge un quadro diverso sia dell’uomo che della donna, delle loro forze e debolezze, della loro istruzione in ogni campo e nei rapporti sociali, rendendo quindi un’immagine ben diversa da quella che tradizionalmente viene associata alla donna giapponese, la cui condizione non è stata ovviamente sempre la stessa nelle diverse epoche storiche.
Lasciando da parte le numerose divinità femminili, prime fra tutte forse Izanami, la dea che insieme al fratello Izanagi ha portato l’ordine nel caos primordiale e creato la prima isola giapponese, e Amaterasu, la dea del sole nascente, ci sono state figure di rilevante importanza nella storia nipponica, in quanto assurte al ruolo di imperatrici, a partire dalla metà del primo millennio.
Otto sono le donne che hanno ricoperto questa carica, anche se in due periodi molto limitati di tempo:
- Nukatabe, l’imperatrice Suiko, 33a in ordine di successione, dal 593 al 628
- Takara, l’imperatirce Kogyoku, 35a dal 642 al 645, e 37a dal 655 al 661 con il nome di imperatrice Saimei
- Unonosasara, l’imperatrice Jito, 41a dal 686 al 687
- Ahe, l’imperatrice Genmei, 43a dal 707 al 715
- Hitaka, l’imperatrice Gensho, 44a dal 715 al 724
- Abe, l’imperatrice Kohen, 46a dal 749 al 758 e 48a dal 764 al 700 con il nome di imperatrice Shotoku
- Okiko, l’imperatrice Meisho, 109a dal 1629 al 1643
- Toshiko, l’imperatrice Go-Sakuramachi, 117a dal 1762 al 1771.
A un certo punto, però, il potere escluse le donne dal trono, si dice a causa dell’illecita relazione che l’imperatrice Sotoku, nel VII secolo, allacciò con un monaco e che le attirò un profondissimo biasimo. Anche il confucianesimo, peraltro filosofia di importazione, condizionò negativamente la posizione della donna giapponese, in quanto le prescriveva cieca obbedienza nei confronti dell’uomo. Ma l’antica religione autoctona giapponese, lo Shinto, non conosceva chiusure di questo genere e infatti molti kami, o divinità della natura, sono associati alla fertilità e alla procreazione.
Nonostante questi pochi esempi di donne particolarmente influenti, la tradizionale società patriarcale giapponese e il relegamento storico a ruoli non certamente centrali per la società e per la nazione, e nonostante il fatto che comunque il genere femminile avesse le qualità per gestire effettivamente ed efficacemente patrimoni, terre e famiglie, esistono però due categorie ben definite grazie alle quali le donne hanno assunto la fama legata alla forza, alla disciplina, alla forza combattente e all’etica samurai più tipici del mondo maschile: le donne spia, kunoichi, e le donne guerriero, onna bugeisha.
Può risultare difficile pensare alla forza e alle capacità in combattimento delle donne giapponesi quando le immagini più tipiche che ci tramanda la tradizione nipponica sono quelle della donna di casa, della contadina o della geisha, ma ritengo altrettanto valido ricordare come in Giappone il maschile e il femminile siano comunque due aspetti dell’uno, e come ci ricorda Taisen Deshimaru gli stessi samurai apprendevano lo yawara, la tecnica della dolcezza, e si formavano tanto alle arti della guerra quanto a quelle della vita civile.
Le Kunoichi fanno la loro prima comparsa nei testi scritti grazie al Bansenshukai, otto volumi compilati nel tardo XVII secolo nei quali viene descritta l’arte del Kunoichi no jutsu, il ninjutsu delle donne ninja, secondo il quale la funzione principale delle Kunoichi era lo spionaggio. L’accezione donne ninja pare invece essere decisamente più moderna, facendo la sua prima comparsa in un romanzo del 1964, Ninpo Hakkenden di Futaro Yamada. Alcune di queste figure hanno assunto connotazioni leggendarie, grazie alle loro vite avventurose che, come da migliore tradizione ninja, si perdono infine tra i fumi della storia.
Hatsume no Tsubone
Donna leggendaria dell’era Sengoku, una Kunoichi al servizio di Tokugawa Ieyasu per spiare il nemico Ishida Mitsunari prima della battaglia di Sekigahara.
Nata a Iga, il famoso villaggio dei ninja, apparteneva ad una famiglia vicina al clan Takeda. Dopo la morte del padre si mise a servizio del clan Mogami, e si dice che innamoratasi infine di Ishida Mitsunari e lavorò nel suo esercito, forte dei servizi resi ai Tokugawa e che le garantivano libero accesso a Edo, in modo da poter informare l’amante riguardo ai piani del nemico. Dopo aver tradito Ieyasu e aver tentato di ucciderlo, fu condannata a morte, ma riuscì a rifugiarsi nel castello di Sawayama nella provincia di Omi e diventarne signora come appartenente al clan Mistunari. Dopo la morte di Ishida Mitsunari nella battaglia di Sekigahara, scomparve completamente al punto che la sua stessa esistenza è messa in discussione.
Mochizuki Chiyome
Poetessa e nobile del XVI secolo, è rimasta nella storia per aver creato un gruppo di Kunoichi al servizio del clal Takeda.
Discendente del ninja del XV secolo Mochizuki Izumo-no-Kami del Koga-ryu e moglie del signore samurai Mochizuki Moritoki, dopo la morte del marito nella quarta battaglia di Kawanajima, fu lasciata alle cure del daimyo Takeda Shingen, il quale la incaricò di creare una rete di Kunoichi da utilizzare contro i suoi nemici. Data la sue origini legate ad una lunga stirpe di ninja, Takeda la considerò il miglior candidato per gestire un gruppo di spie ed agenti per il recupero di informazioni e trasmissioni codificate. Mochizuki cominciò a reclutare donne tra intrattenitrici, vittime della guerre civili del periodo Sengoku e orfane di guerra per addestrarle a diventare informatrici, seduttrici, messaggere, assassine, addestrandole anche come miko, le sacerdotesse dei templi Shinto, in modo da permettere loro di poter viaggiare indisturbate. Riuscì a creare una rete composta da centinaia di agenti che permisero a Takeda Shingen di essere smpre un passo avanti rispetto ai suoi avversari, fino alla sua morte nel 1573, data dopo la quale, come Hatusme, Mochizuki scomparve dalla storia.
Umemura Sawano
Ancora una volta una Kunoichi al servizio del clan Takeda, o almeno è quello che si ritiene, Sawano viene citata in un rotolo ninjutsu tramandato nel dominio di Matsushiro, il Denshu segreto, nel quale viene presentata come la fondatrice di questa scuola. Sawano lavorava per il clan Sanada, il cui capo era il daimyo di Matsushiro, clan già al servizio del clan Takeda.
Qualcosa di più certo esiste invece riguardo alle Onna Bugeisha, le donne guerriere, o Onna Musha, le donne samurai, entrambi termini con i quali ci si riferisce alle donne guerriere nel Giappone pre-moderno. Combatterono in battaglia al fianco dei colleghi maschi, erano membrei effettivi della classe dei bushi, i samurai, e erano ovviamente addestrate all’uso delle armi per proteggere dominio, famiglia e onore in tempo di guerra. Note anche con l’appellativo di Besshikime, furono anche utlizzate a guardia delle residenze delle mogli e delle concubine dei daimyo.
A rigor di termini è errato, ed è quasi un paradosso, parlare di donne samurai, in quanto il titolo samurai veniva attribuito esclusivamente agli uomini. Ma non essendo infrequente, nel periodo feudale più remoto, che le donne delle famiglie samurai dovessero trascorrere periodi anche lunghi senza i loro uomini, impegnati nelle campagne militari, iniziarono quindi a ricoprire un ruolo cruciale per la gestione e, a volte, addirittura per la sopravvivenza della casa e della famiglia, prendendo decisioni importanti in ambito economico, oltre al fatto che a loro era anche in parte demandata l’educazione dei figli, ai quali si sforzavano di trasmettere i principi dell’etica guerriera come coraggio, senso dell’onore e fedeltà.
Queste donne erano istruite nell’uso della lancia dritta, yari, e soprattutto di quella curva, naginata, arma simbolo delle donne guerriere, oltreché della daga corta, kaiken, che solitamente portavano addosso, nella manica o nella fusciacca e che veniva impiegata per il suicidio rituale o per il suicidio di protesta contro un’ingiustizia perpetrata da un superiore.
La naginata ha sicuramente una nicchia tra la katana e lo yari, risultando piuttosto efficace nella mischia ravvicinata quando l’avversario debba tenuto a bada, ed è anche relativamente efficiente contro la cavalleria. Grazie al suo uso da parte di molte leggendarie donne samurai , la naginata è stata spinta come l’immagine iconica della donna guerriera e durante il periodo Edo furono create molte scuole incentrate sull’uso di questa arma inastata che perpetuarono la sua associazione con le donne.
Molte Onna Bugeisha svilupparono inoltre una notevole perizia nell’arte dell’arco, spesso particolarmente potente, mentre un accento particolare è stato posto anche sulla armi a distanza, in quanto utilizzate di preferenza per il presidio delle struture difensive, incluse le loro case spesso prese di mira da predoni consapevoli dell’assenza degli uomini impegnati nelle guerre.
Esistono non poche prove della partecipazione, della forza anche carismatica e del coraggio in battaglia dello donne guerriere, nei periodi Kamakura (1185-1333), Sengoku (1467-1603), Edo (1603-1868) e perfino successivi, e l’elenco di queste donne, a differenza delle Kunoichi, e decisamente più corposo. Ecco alcune delle Onna Bugeisha che hanno maggiormente contribuito a divulgare la loro di questa importante categoria.
Imperatrice Jingu
Forse la prima figura di donna guerriera, leggendaria imperatrice giapponese dal 201 al 269 le cui gesta sono riportate dal Kojiki e dal Nihon Soki, guidò l’esercito di invasione in Corea, dalla quale ne ritornò vincitrice dopo tre anni di campagna, ragione per cui fu infine proclamata imperatrice. Sempre la leggenda narra che la guerra di invasione fu preceduta dalla ricerca di vendetta su chi aveva ucciso il marito, altra tipica attività caratterizzante la figura storica della donna giapponese.
Nel 1881 Jingu divenne la prima donna ad essere rappresentata su una banconota giapponese, ma dal momento che non esitevano immagini dell’imperatrice, la rappresentazione fu elaborata artisticamente dall’italiano Edoardo Chiossone, ma fu del tutto congetturale, in quanto utilizzò come modello una dipendente dell’Ufficio stampa del governo: quella stessa immagine fu poi utilizzata anche per i francobolli del periodo 1908-1914, i primi in Giappone a raffigurare una donna.
Tomoe Gozen
Militante tra le file del generale Minamoto no Yoshinaka, è l’unica donna guerriera descritta nella letteratura epica della tradizione samurai, sempre tesa ad eroicizzare gli uomimi. Non si sa molto della sua vita, e le poche informazioni sembrano non essere neache troppo attendibili, ma viene descritta come una dei protagonisti della guerra Genpei che portò alla formazione dello shogunato di Kamakura.
Nota per aver ucciso Uchida Ieyoshi ed essere sfuggita alla cattura da parte di Hatakeyama Shigetada, si racconta che, durante la battaglia di Awazu del 1184, avesse decapitato Honda no Morishige di Musashi e, dopo averne presentata la testa al capo Yoshinaka, la sua reputazione divenne così alta che fu considerata la prima donna generale del Giappone.
Hangaku Gozen
Altra figura mitica tra le poche riconosciute nella letteratura classica giapponese, ebbe un ruolo importante durante la ribellione Kennin contro lo shogunato di Kamakura nel 1201. Vissuta a cavallo tra le epoche Heian e Kamakura, fu un membro del clan Taira e insieme alla sua famiglia diventò parte integrante delle forze di difesa del castello Torisaka, facedosi notare per le sue qualità di guida e di coraggio durante i tre mesi della battaglia, nella quale guidò tremila soldati contro i diecimila del clan Hojo. Purtroppo schierata dalla parte dei perdenti, dopo la feroce battaglia fu catturata, ferita, dalle forze nemiche, e presentata allo shogun Minamoto Yoriiye, colpito dalla sua bellezza e reputazione, come “senza paura come un uomo e bella come un fiore”. Le fu impedito di fare seppuku e le fu ordinato di sposare uno dei suoi samurai, a cui si riporta diede un figlio, ma non ci sono particolari dettagli della sua vita successiva.
Hojo Masako
Monaca buddista giapponese e politica, esercitò un potere significativo nei primi anni del periodo Kamakura, che si riflesse nel suo soprannome contemporaneo di “monaca shogun”, moglie di Minamoto no Yoritomo e madre di Minamoto no Yoriie e Minamoto no Sanetomo, il primo, secondo e terzo shogun del periodo Kamakura.
Masako nacque nel 1156, in un Giappone dominato da guerre e conflitti, e diversamente dalle donne della sua casa, fu educata alla pesca e alla caccia, ad andare a cavallo, ed era abituata a mangiare con gli uomini: nella guerra Genpei, dal 1182 al 1199, insieme alla sua famiglia accompagnò in battaglia Yoritomo, senza subire alcuna sconfitta. Quando al termine della guerra Yoritomo fu nominato shogun dall’imperatore Go-Shirakawa, ottenne un prestigio e un potere che fu infine passato a Masako e al clan Hojo, ma alla morte del marito si fece monaca: nonostante ciò fu in grado di mantenere i rapporti di potere che la videro regista di diverse azioni a protezione del suo casato, tanto da arrivare ad agire come vero e proprio shogun quando nel 1219 fu insediato l’infante Fujiwara no Yoritsune, strettamente legato al clan Hojo.
Yodo-dono
Concubina e seconda moglie di Toyotomi Hideyoshi, fu una figura prominente del tardo periodo Sengoku. In un periodo caratterizzato da continui tumulti, interessata di amministrazione e politica, fu parte attiva nella guerra contro i Tokugawa guidando la difesa del castello di Osaka. A causa della sua condotta Yodo-dono è stata spesso ritratta come un donna “malvagia e sfrenata” che progettò la fine dei Toyotomi stessi. Conosciuta anche come Lady Chacha, dopo la morte di Hideyoshi prese la tonsura, diventando una monaca buddista e prendendo il nome di Daikoin, diventando la fondatrice del tempio Yogen-in. Morì suicida tra le fiamme dell’ormai capitolato castello di Osaka mettendo fine alla dinastia dei Toyotomi.
Ohori Tsuruhime
Guerriera del periodo Sengoku combattè numerose battaglie e a causa delle sue pretese ispirazioni divine unite alle abilità di combattimento la portarono ad essere paragonata a Giovanna d’Arco: la sua eredità l’ha resa una delle guerriere più riconoscibili nella storia giapponese.
Figlia del sommo sacerdote shintoista Ohori Yasumochi del tempio di Oyamazumi dedicato ad Amaterasu, ereditò lo status del padre alla sua morte, a soli quindici anni: addestrata alle arti marziali sin dall’infanzia, fu a capo delle forze di difesa della sua isola contro gli attacchi di truppe di samurai, guidando alla vittoria la sua fazione, pare arrivando perfino a sfidare a duello il generale nemico, Takakoto, le cui parole sprezzanti contro Tsuruhime non risultarono così affilate come la lama con cui venne colpito dalla nostra eroina.
Si dice che morì suicida in giovanissima età dopo aver appreso della morte del fidanzato in una delle diverse azioni di guerra.
Yamakawa Futaba
Futaba fu una guerriera molto più vicina i giorni nostri, essendo vissuta a cavallo tra il 19° e il 20° secolo. Fu un’educatrice giapponese della prima era Meiji e prese parte alla difesa del castello di Tsuruga nella guerra Boshin (1868-1869) e fu anche brevemente sposata con Kajiwara Heima, un Aizu karo, termine ereditato dal Giappone feudale per indicare gli ufficiali samurai di alto livello, al tempo consiglieri e servitori diretti dei Daimyo.
Nell’era Meiji, Futaba lavorò presso la Scuola Normale Femminile di Tokyo, antesignana dell’Università di Ochanomizu, e per il suo lavoro nel campo dell’istruzione fu premiata con il 5° grado di corte, uno dei gradi ereditari della nobiltà di corte.
Niijima Yae
Considerata una delle ultime donne samurai, fu alla guida del Joshitai, l’esercito delle ragazze, e combattè nella guerra Boshin alla testa di numerose azioni contro le forze imperiali. Conosciuta anche come Yamamoto Yae, abile tiratrice con armi da fuoco, si guadagnò in battaglia il soprannome di Giovanna d’Arco del Bakumatsu, il periodo finale dell’era del Bakufu.
Figlia di un samurai istruttore d’artiglieria del dominio di Aizu, difese il castello di Aizuwakamatsu contro le forze governative. Dopo la caduta del castello, la fuga e il divorzio dal marito, lavorò in una scuola femminile e si specializzò nel sado, l’arte del te, ottenenendo la massima qualifica, e assumendo il nome di Niijima Sochiku, Ebbe inoltre un ruolo essenziale nella fondazione della Scuola Inglese Doshisha, che diventò una università privata di Kyoto nota con il nome Dodai, oggi una delle più prestigiose scuole giapponesi. Nell’ultima parte della sua vita divenne membro attivo della Croce Rossa, come infermiera e come istruttrice, durante le guerre russo-giapponese e sino-giapponese a cavallo tra l’800 e il ‘900, e divenne la prima donna al di fuori della casa imperiale dopo la restaurazione Meiji del 1870 a venire decorata per i servizi resi alla nazione.
Seppure generalmente non rappresentino l’immagine tradizionale della donna giapponese timida e remissiva, queste donne continuano ad avere un forte impatto nelle arti marziali, così come nella letteratura e nella cultura popolare, influenzando le scuole di naginata e le loro tecniche ma anche diventando i simboli della lotta per i diritti delle donne giapponesi, come Yamakawa Futaba and Niijima Yae.
In ritardo rispetto alla data storica per la celebrazione dell’8 marzo, a causa del calendario editoriale del blog, questo post vorrebbe avere la pretesa di essere solo un umile contributo per celebrare la passione e la forza di tutte le Onna Bugeisha nel senso più lato possibile, di tutte le epoche e in ogni parte del mondo, quelle donne le cui azioni e i cui valori hanno mostrato come non esista differenza di genere, con una menzione particolare a quelle a noi più vicine e che ci sostengono con la loro estrema forza, pazienza e benevolenza permettendoci di alimentare le nostre passioni nell’arte della spada.
lele bo
FONTI
– https://en.wikipedia.org/wiki/Women_in_Japan
– https://en.wikipedia.org/wiki/Kunoichi
– https://en.wikipedia.org/wiki/Hatsume_no_Tsubone
– https://en.wikipedia.org/wiki/Mochizuki_Chiyome
– https://en.wikipedia.org/wiki/Umemura_Sawano
– https://en.wikipedia.org/wiki/Onna-musha
– https://en.wikipedia.org/wiki/Empress_Jing%C5%AB
– https://it.wikipedia.org/wiki/Tomoe_Gozen
– https://en.wikipedia.org/wiki/Hangaku_Gozen
– https://en.wikipedia.org/wiki/H%C5%8Dj%C5%8D_Masako
– https://en.wikipedia.org/wiki/Yamakawa_Futaba
– https://en.wikipedia.org/wiki/Niijima_Yae
– https://en.wikipedia.org/wiki/Yodo-dono
– https://en.wikipedia.org/wiki/%C5%8Ch%C5%8Dri_Tsuruhime
– Bushido per donne guerriere, a cura di Marina Panatero e Tea Pecunia, Feltrinelli