di Cristina Gioanetti – 3° dan Iaido
15 maggio 2017
JAPAN MEMORIES
Riflessioni post-viaggio in Giappone 2017.
Iniziare questo pezzo mi è particolarmente complicato. Piacevole, ma arduo.
Piacevole perché il fatto di andare in Giappone era da molti anni un mio progetto/sogno; arduo perché sono così tante le sfaccettature di questa esperienza, che mi risulta difficile dare un ordine ai pensieri, ai ricordi e alle sensazioni.
La mia è stata, forse, la prima generazione a crescere con i manga ed in qualche modo lungo gli anni gli anime delle nostre merende hanno forgiato un immaginario sul Giappone ben radicato nella mente.
Così un bel giorno arrivi lì, nel Paese del Sol Levante e ti rendi conto che sei dentro ad una realtà che avevi immaginato e visto riprodotta così tante volte e in così tante diverse maniere che un po’ fa già parte di te. I sentimenti sono contrastanti: puoi dire che quel mondo in parte lo conosci, e al tempo stesso che se non vai e non vedi con i tuoi occhi non puoi capire.
E’ tutto esattamente come l’hai immaginato e come lo hai visto nei film, ma è anche molto molto di più.
Ognuno di noi ha un qualche rapporto con alcuni aspetti del Giappone, grazie alle arti marziali o a qualche passione personale; il mio Giappo-rama è variopinto e contiene molteplici oggetti che è stato divertente ritrovare sul posto, finalmente nella loro collocazione originale.
Tuttavia, nemmeno nelle mie fantasie più sfrenate sarei riuscita a figurarmi i seguenti episodi (in ordine di incredulità ed effetto WOW):
- che un giorno avrei mangiato il sushi migliore della mia vita in una bettola davanti ad una fermata del bus a Kawasaki (e glisso sull’elemento surreale di trovarsi nella città che dà il nome a moto fighissime) trascinata lì con Tiziana Piantato da un settimo dan – Chris Mansfield – che la prima volta che l’ho visto ad uno stage ero tentata di darmi alla fuga, ed ora è qui che mi ospita nel suo kaitenzushi preferito e ordina per le due ciampornie piemontesi dei nigiri strepitosi parlando in giapponese direttamente al cuoco.
- che un altro giorno, passeggiando in una via gremita di negozi uno più bello dell’altro a Kamakura, curiosando con alcuni miei compagni di viaggio in una specie di paradiso di specialità al matcha, “qualcuno” mi avrebbe offerto un delizioso dolcetto al té verde avvolto in una foglia di fico che era la quintessenza del concetto di wagashi, pura morbidezza setosa di riso glutinoso dal gusto di erba appena tagliata. Ah, il “qualcuno” che mi porge il pasticcino è – OMG – l’unico ottavo dan europeo, così, tanto per dire… l’ineffabile René Van Amersfoort. WOW.
- che un giorno imprecisato della mia vita, molto dopo aver letto il trattato sul cha-no-yu di Okakura Kakuzo e dopo innumerevoli litri di bancha ingurgitati, avrei messo piede in un autentico dojo giapponese, con le pareti di legno che profumano di té e di incenso, e un Maestro ottavo dan Hanshi, discendente di un vero samurai, avrebbe preparato anche per me il tavolino con té, tazzine e dolci per ristorarsi durante l’allenamento. Cioè, questo è da svenimento. AMEN.
Ecco, questo piccolo resoconto sull’esperienza in Giappone potrebbe dilungarsi e citare ancora moltissimi momenti; ma il culmine è stata sicuramente la pratica nel dojo di Ishido Sensei per quanto riguarda l’intensità delle emozioni provate, e poi la giornata del Kyoto Enbu Taikai per il senso di appartenenza a questo mondo del budo.
Ovviamente di tutto questo sono estremamente grata a Danielle e a Claudio, che sono stati maestri, compagni di viaggio e di pratica – insieme a Tiziana ed Alessio; mi hanno permesso di condividere con loro questi momenti e grazie a loro ho avuto l’onore di conoscere la sorgente, fatta di persone e di luoghi, di ciò che tanto ci unisce e ci appassiona.
Questa è davvero una strada bellissima su cui essere perennemente in cammino.