Eugen Herrigel, Lo Zen e il tiro con l’arco, Adelphi, Milano 1987 (ed. or. E. Herrigel, Zen in der Kunst des Bogenschiessens, Weller, Konstanz 1948.) 

Lo zen e il tiro con l'arco - recensione
Eugen Herrigel, Lo Zen e il tiro con l’arco, Adelphi, Milano 1987

Nel 1924 Eugen Herrigel, un giovane docente tedesco di filosofia, ottenne una cattedra presso l’Università Imperiale del Tohoku, presso la città di Sendai, e nel tentativo di comprendere i principi di quella che considerava la “filosofia” orientale, scelse di avvicinarsi al kyudo, ovvero la pratica del tiro con l’arco giapponese che intraprese sotto la guida del maestro Awa Kenzo (1880-1939), per cinque anni. Il nostro libro nasce come frutto maturo di quella particolare esperienza spirituale e antropologica. 

L’agile libretto scritto ormai più di settant’anni fa dal professor Herrigel credo rivesta un particolare interesse per i praticanti di iaido

Del resto è legittimo chiedersi: perché consigliare un libro che parla di tiro con l’arco a persone verosimilmente interessate alla spada? 

A parte la scorrevolezza dovuta alla buona penna del prof. Herrigel, il testo è in primo luogo uno dei primi resoconti scritti da un occidentale, e per occidentali, sugli aspetti spirituali legati ad un’arte marziale praticata dall’autore stesso. 

Il punto più significativo mi sembra essere però legato alla descrizione della decostruzione delle convinzioni del praticante: apparentemente sorretto da una delle discipline più solidamente occidentali in assoluto, cioè la filosofia, il professore se ne accorge intralciato ed irrigidito, incapace di trovare la consapevolezza necessaria a scagliare con semplicità la propria freccia contro il bersaglio. 

Questo discorso ha a che vedere con lo iaido più di quanto pensiamo. Il cammino di apprendimento passa, anche nel caso della spada, attraverso l’esecuzione di forme semplici, il che ancora non equivale a “facili”, ma attraverso le quali si scopre di non essere in grado di compiere movimenti che si immaginava di poter eseguire senza alcuna difficoltà. In effetti, la pratica del budo, poco importa se per mezzo di arco e frecce o una spada, si basa sulla decostruzione di bias cognitivi più o meno radicati in noi stessi. Per questo, ritengo che la lettura di questo libro abbia già di per sé più di una valida motivazione. 

Del resto, occorre anche fare attenzione ed avere in mente alcune premesse prima di affrontare la lettura di questo classico. Il libro ha infatti ricevuto negli ultimi anni diverse critiche fondate, specialmente da ambienti legati all’antropologia culturale. Non si dovrebbe dimenticare che Herrigel non aveva una sufficiente conoscenza della lingua giapponese, e che, in generale, cinque anni di pratica non sono oggettivamente molti nel campo del budo. Non è da escludere, poi, che molte delle esperienze che pure al lettore possono sembrare così autentiche e “di prima mano” siano in realtà filtrate dal genio letterario dell’autore, il quale comunque non aveva a disposizione le metodologie della moderna antropologia culturale, e dunque in più punti potrebbe aver proiettato sulla realtà giapponese la propria percezione occidentale della stessa. 

Libro controverso, certo. Ma anche bello, e tutto sommato utile. Per questo penso che in ogni caso, e con tutte le precauzioni che possono essere avanzate, resti uno dei grandi titoli indispensabili a qualunque praticante occidentale di arti marziali giapponesi. 

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