Jodō significa letteralmente “La via (道 dō) del bastone (杖 jo)” ed è un’arte marziale giapponese che utilizza appunto un bastone di legno (Jo) in opposizione ad una spada di legno (Tachi, Bokken).
Perché mai un semplice bastone di legno dovrebbe ispirarci ad intraprendere una via marziale?
La risposta va ricercata, forse, in quelle che sono le origini di questa arte marziale.
Sono pochi quelli che praticano il Jodo ma in tanti conoscono invece il più famoso samurai di tutti i tempi: il leggendario Miyamoto Musashi (1584–1645). Il suo libro dei cinque anelli risulta essere un must per chiunque voglia approcciarsi ad un’arte marziale giapponese, e in questo libro lo stesso Musashi dichiara di non aver mai perso un combattimento con la spada (katana).

Eppure la leggenda narra che ci fu, nel Giappone del XVII secolo, un guerriero che riuscì ad infrangere il record di imbattibilità di Musashi, sfidandolo e battendolo semplicemente con un bastone di legno.
Si tratta di un sacerdote shintoista, addestrato nell’arte del bastone bo (bojutsu) il cui nome è Musō Gonnosuke Katsuyoshi.
La tradizione vuole che Gonnosuke sfidò Musashi usando un bō (bastone lungo), un’arma che si diceva brandisse con grande abilità. Il duello fu vinto da Musashi che però, sorpreso dalla grande abilità posseduta da Gonnosuke e spinto da uno spirito di profondo rispetto, gli risparmiò la vita.
Gonnosuke poi si ritirò in un santuario shintoista, nell’odierna Prefettura di Fukuoka, per meditare. Dopo un periodo di purificazione, meditazione e addestramento, Gonnosuke affermò di aver ricevuto una visione divina. Accorciando la lunghezza del bastone bō da circa 185 cm a 128 cm, poteva aumentare la versatilità dell’arma, dandogli così la possibilità di utilizzare tutte le tecniche conosciute del bastone lungo, della katana e della naginata (alabarda).
Iniziò quindi ad allenarsi con questa nuova arma – il Jō – inventando un nuovo stile che chiamò Shintō Musō-ryū.
Decise che era giunto il momento di sfidare nuovamente Miyamoto Musashi utilizzando solo il suo fidato Jo, e incredibilmente, riuscì a sconfiggerlo.
Restituendo la cortesia ricevuta durante il loro duello precedente, Gonnosuke risparmiò la vita di Musashi.
Questa ovviamente è la versione dei fatti tramandata dalla scuola Shintō Musō-ryū. I resoconti dei testimoni della vita di Musashi, così come i suoi scritti, insistono sul fatto che si ritirò dal duello imbattuto.
Ciò che si sa, tuttavia, è che Gonnosuke alla fine divenne l’istruttore di arti marziali per il clan Kuroda del Kyushu settentrionale, dove il jōjutsu rimase un’arte esclusiva del clan.
Fu solo all’inizio del 1900, dopo 300 anni, che agli estranei fu permesso di apprendere le tecniche della scuola, e fu Shimizu Takaji (1897-1978), considerato uno dei migliori allievi del clan Kuroda, il responsabile della sua modernizzazione e divulgazione sotto il nome di “Jodo” (1940).

A Shimizu Takaji va anche il merito di aver sviluppato, dalle 64 forme di Koryu di Jodo (scuola antica), una nuova sequenza di 12 forme, con il nome di Zen Ken Renmei Seitei Jodo, o Seitei Jodo in breve, utilizzate e studiate fino ad oggi.
Dalla sua morte, il Jodo si è diffuso grazie al lavoro dei suoi studenti sia in Giappone che all’estero. Il Jo è stato anche adottato negli anni dalla Tokyo Metropolitan Police come arma di difesa.
Oggi il Jodo della Zen Nihon Kendō Renmei (All Japan Kendo Federation), si concentra sullo studio di questi 12 kata e di 12 tecniche di base denominate kihon.
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