Dal Regno Unito alla Slovacchia, dalla Finlandia a Malta, passando per la Germania: tutti riuniti qui a Bari che, per un weekend, è stata centro, baricentro, d’Europa.

Sì, perchè il tradizionale seminario di Jodo di primavera del maestro Vitalis ha registrato, quest’anno, un numero di partecipanti certamente esiguo – meno di 20 – ma, fatto davvero singolare, proveniente da ogni parte del vecchio continente.

Terra strana la Puglia, lembo estremo di questo ponte gettato nel Mediterraneo che è l’Italia, avamposto della cristianità in un mare periglioso e, per questo, luogo di passaggio di pellegrini, crociati, mercanti diretti verso Oriente.

Da sempre, questi luoghi sembrano avere esercitato una potente attrattiva sulla gente del nord.

Raccontano questa storia le cattedrali normanne e le fortezze degli Svevi sparse nel territorio assolato.

E ad Otranto, lo scrittore inglese Orace Walpole ambientò il suo celebre romanzo, considerato capostipite del genere gotico.

Non mi sorprende, quindi, la tradizionale predilezione dei praticanti nordici per questo stage che, giunto ormai alla sua diciottesima edizione, è sicuramente, tra i seminari privati di Jodo tuttora attivi, il più vecchio in Italia.

Ma il livello di internazionalità non è stato certo l’unico fattore che ha reso questo evento così eccezionale.

Infatti, la presenza di ben due settimi dan, due sesti e un nutrito numero di quinti ha determinato uno spostamento verso l’alto del livello tecnico della pratica, trasformando a tutti gli effetti il seminario in uno stage per avanzati.

A conferma di questo, il Maestro Vitalis ha deciso, durante la seconda giornata, di affrontare, per la prima volta in Italia, lo studio dei primi Kata della serie Chudan di Koryū.

La presenza, tra gli stranieri, di agonisti di consumata esperienza e dal palmares invidiabile ha reso veramente impietoso il confronto con i pari-grado italiani, confermando purtroppo lo stato di arretratezza del nostro Jodo, una condizione che dura da anni e alla quale sembra che non si riesca a porre rimedio.

In ogni caso, al di là dei dettagli tecnici, davvero tanti, sui quali non mi voglio soffermare, posso dire che da questo evento ho tratto tre importanti spunti di riflessione.

1) Come insegnare

La didattica del Maestro Vitalis è chiara, cristallina: l’arte di trasmettere in modo semplice concetti complessi.

Come dicevo, un seminario fortemente sbilanciato per la tipologia dei partecipanti, ma gestito con grande maestria, in modo che ognuno ricevesse qualcosa.

Per il Maestro, la correttezza della forma è un elemento sicuramente imprescindibile: tuttavia, nel corso di queste due giornate, non sono mancate indicazioni volte a trasformare l’esecuzione del kata in una espressione di combattimento estremamente avanzato.

2) Come imparare

La presenza di praticanti di livello europeo, superato lo sconforto iniziale, mi ha portato a pensare che a volte, forse, può essere quasi più utile vedere all’opera un buon allievo, cioè un esempio raggiungibile, che non un grande maestro: imparare da chi è riuscito a farlo meglio di noi.

3) Come praticare

Dicevo prima, due settimi dan: Andy Watson Sensei e Harry Jones Sensei.

Venuti a Bari come praticanti, non hanno mai fatto pesare il loro sapere: al contrario, lo hanno condiviso con grande generosità, sforzandosi di renderlo accessibile a tutti.

Anche questo un esempio della direzione verso cui andare.


Tuttavia, se possibile, questa è solo una parte della storia.

Perché proprio a Bari, già da tempo, si sta verificando un fenomeno, diciamo così, in controtendenza.

Poche persone, da ogni dove, si ritrovano periodicamente per praticare Jodo insieme: ancora baricentri, quindi, sia pure in scala minore.

Un’idea nata da qualcuno e accolta con entusiasmo da altri.

Nulla di speciale, incontri senza maestri e senza allievi, dove chi sa e ricorda di più mette a disposizione di chi sa o ricorda di meno, anche qui senza fare pesare il proprio sapere.

Perchè gli insegnamenti dei Maestri durante i seminari sono come messaggi in bottiglia, abbandonati tra i flutti nella speranza che qualcuno li faccia propri.

E questo può avvenire solo attraverso la pratica.

“Apri la mente a quel ch’io ti paleso
e fermalvi entro; chè non fa scïenza,
sanza lo ritenere, avere inteso”

(Paradiso, V, 40-42)

                            

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