Questa volta tocca a me esprimere alcune considerazioni, meramente personali, a seguito del seminario ufficiale CIK tenutosi a Modena il 24-25 novembre 2018.

Si tratta di pensieri strettamente legati al concetto di lentezza e precisione descritti dai miei Sensei nel post: Kangeiko 2018: l’importanza di costruire uno iaido corretto.

L’insegnamento

Due cose mi hanno particolarmente colpito rispetto ai tanti insegnamenti di Kusama Sensei rivolti ad una platea di quarti, quinti, sesti e settimi dan. Non riguardano dettagli tecnici ma metodi per crescere nella pratica dello Iaido:

  • praticare sempre come assoluti principianti e prestare attenzione ad ogni singolo movimento, scevri di una qualsiasi conoscenza;
  • partecipare attivamente non solo con il corpo ma anche con la mente, con metodo ed obiettivi a breve e lungo termine.

Il cambiamento (mentale)

Non so dire sinceramente perché questi aspetti mi abbiano colpito così tanto. Non sono argomenti nuovi per me. Claudio Sensei e Danielle Sensei ripetono spesso questi concetti in dojo, basterebbe rileggere gli articoli scritti dalla “Maestra” su questo blog (kiryoku.it) per ritrovare gli stessi suggerimenti.

Probabilmente sono stati detti e recepiti in un momento in cui la mia concentrazione e volontà di miglioramento è particolarmente attiva. Per fortuna direi, considerando un lungo periodo in cui la mia pratica è stata poco attenta e produttiva.
L’abitudine mi ha portato spesso a effettuare movimenti automatici rendendo la pratica noiosa e reiterando gli errori di sempre.

Avere due tra i migliori esponenti dello Iaido europeo come maestri è una fortuna – invidiata da molti – che molto spesso purtroppo dimentico.
Invece di approfittarne, mettendo subito in pratica le indicazioni ricevute, talvolta ho preferito adottare un atteggiamento deconcentrato, automatico, ripetendo all’infinito movimenti non corretti.

La mia mente era impegnata in altro e cercavo un metodo per uscirne.

Alice nel paese delle meraviglie

Alice disse al gatto: “Vorresti dirmi come si esce di qui?”

“Dipende soprattutto da dove vuoi andare” rispose il gatto.

“Non importa molto” disse Alice.

“Allora non importa la strada che prendi” rispose il gatto.

“…purché arrivi in qualche posto” aggiunse Alice come spiegazione.

“Ah, per questo stai pure tranquilla” disse il gatto, “basta che non ti fermi prima.”

Il budo prevede di percorrere una Via che abbia una meta ben precisa. Se non si sa dove si vuole arrivare non vale neanche la pena di iniziare il cammino.

L’importanza della pratica costante

Una cosa penso di averla capita: l’unico modo per eccellere in un’arte marziale è l’allenamento.
Allenamento non fine a se stesso ma di “pratica attiva”.

All’inizio, da veri principianti, si imparano le tecniche, i movimenti, le forme. Mente e corpo lavorano congiuntamente per imparare cose nuove.
Dopo 10 anni di pratica, le forme sono state memorizzate ed il corpo agisce in modo automatico alle variazioni tra un movimento e l’altro. L’unico obiettivo resta quello del miglioramento.

La mia esperienza mi ha già fatto capire molte volte che da solo non si va da nessuna parte. L’aiuto dei maestri, dei senpai e di tutto il dojo è fondamentale!
Ma è necessaria anche e soprattutto la propria volontà di “mettersi in gioco”.

Per cercare di fare ciò ho ripreso un vecchio scritto di Andy Watson Sensei che descriveva un suo metodo per crescere nella pratica: Allenamento Progressivo.
Era un articolo che, pur conoscendolo da anni, ho cominciato ad apprezzarlo solo adesso.

Il primo passo è prendere coscienza dei propri sbagli.
Quando pratico mi sembra di eseguire i movimenti nel migliore dei modi. La verità è che non ho percezione della realtà o meglio ho una percezione sbagliata di ciò che faccio.

Per fortuna ho la possibilità di insegnare a mia volta ad alcuni principianti e questo mi permette di capire come sia difficile spiegare e suddividere i concetti in micro movimenti, che invece ormai penso di aver acquisito e che faccio in automatico.

L’unico sistema che ho trovato per capire veramente i miei sbagli è stato effettuare delle riprese video (i moderni smartphone sono perfetti) e analizzarli alla moviola, magari confrontando i miei movimenti con quelli dei miei Sensei.

Negli anni di studio come prestigiatore ho scoperto infatti che allenarsi allo specchio non basta perché il nostro cervello ci fa vedere ciò che vogliamo vedere, nascondendo e tralasciando ciò che non vogliamo vedere. Meglio riprendersi tramite una telecamera e studiarsi in slow motion.

Dallo studio all’azione

Capire cosa cercare di correggere è solo il primo passo, la parte difficile è cercare di applicare la teoria alla pratica.

Dopo anni di allenamento, il cervello ha ben memorizzato ogni singolo movimento rendendolo automatico e pone la nostra attenzione sulla forza e velocità per cercare di imitare il più possibile i gradi più alti. Purtroppo la perfezione nella tecnica si raggiunge solo tramite calma, disciplina e costanza.

Quante volte i Sensei mi hanno suggerito di eseguire il movimento lentamente? Solo rallentando ogni singolo movimento si può capire come migliorare. Eppure, molto spesso mi lascio prendere dalla foga e/o dalla stanchezza e lascio che il mio corpo si muova in automatico.

Ho sperimentato anche che, correggere tutto in una sola volta, non sortisce alcun effetto su di me. Meglio focalizzarsi, in accordo con i Sensei, su un aspetto volta per volta.

Matrice del miglioramento

Per questo ho creato uno schema semplice per evidenziare le aree di miglioramento da perseguire nella pratica. Si basa sullo Iaido in quanto per il Jodo è ancora troppo presto un lavoro di questo tipo.

Ho inserito gli aspetti personali su cui lavorare in una tabella in cui ogni riga è rappresentata da un kata.

Kiryoku Blog

Osservando la tabella è facile capire:

  • quali siano i miei “punti nevralgici” (elementi in colonna). Nel mio caso sicuramente Postura, Equilibrio, Kiritsuke.
  • Quali siano i kata per me più problematici (elementi in riga).

Fondamentale anche in questo caso associare ogni azione ad una scadenza a breve termine ben precisa.

Kiryoku Blog

Conclusioni

Cosa c’è di nuovo in questo schema? Assolutamente nulla. E’ solo un metodo per tenere sotto controllo, con l’aiuto dei miei Sensei, le aree di miglioramento della mia pratica.

Funziona questo metodo? Non saprei, ho iniziato da pochissimo il test… ma vi terrò aggiornati 😉

Per il momento posso solo dirvi che il 2019, per quanto mi riguarda, prevede tanto allenamento, lento, attivo e concentrato! Pratica che risulta molto faticosa, mentalmente e fisicamente.

Del resto, chi ha mai detto che lo studio delle arti marziali è cosa semplice?!

Suggerimenti, commenti, confronti e considerazioni su quanto esposto saranno particolarmente apprezzate sul blog Kiryoku o tramite social.

Gambatte kudasai!

Alessio Rastrelli, Iaido 4° dan, Jodo 1° dan

Alessio Rastrelli Iaido Jodo
Foto di ©GiulioCianchini

La mia prima volta

Ho cominciato il mio percorso con lo Iaido nel 2015, affascinato dalla spada giapponese e dalla tradizione ad essa legata. E dal 2015 la mia vita è sensibilmente cambiata, soprattutto il modo in cui approccio le difficoltà e le sfide che mi vengono poste; l’atteggiamento riflessivo e paziente che mi ha insegnato quest’arte marziale mi ha permesso di affrontare molte situazioni da un punto di vista differente, a mente fredda e concentrata.
Il primo anno è stato molto intenso, molto più “studiato”, incentrato esclusivamente sull’apprendimento dei kata e di tutto il corollario di etichetta che ancora, ahimè, non ho imparato appieno. E poi sono arrivate le gare, la nazionale due anni consecutivi, un anno di soggettivo (e oggettivo, riferito da molti senpai) peggioramento forse fisiologico o forse per minor partecipazione a stage.
Mi sono posto quindi l’obiettivo di “tornare indietro”, sia dal punto di vista pratico, ossia dello studio formale dei kata, sull’esecuzione “da esame” e non “da gara”, sia dal punto di vista dello studio, imponendomi di frequentare più eventi possibile.
L’ultimo stage a cui ho partecipato è stato il kangeiko di Modena, il 24 e 25 novembre scorso, durante il quale sono anche riuscito a ottenere il 2°dan. Avevo già praticato altre volte con i Maestri giapponesi ma, forse per la mia ritrovata attenzione e voglia di imparare, forse per la particolare cura con cui i Maestri hanno insegnato, è stato per me il migliore stage da quando ho iniziato.

Su precise indicazioni del maestro Mikawa (Maestro assegnato al gruppo da Mudan a Sandan) abbiamo ripercorso i fondamentali dello Iaido. Solo i fondamentali. Niente abbellimenti, niente fighting, niente. Solo le basi della tecnica, gli angoli, le altezze della spada, le basi del taglio. Tutto questo è combaciato perfettamente con quello che sto tentando di raggiungere da alcuni mesi, ossia di “spogliare” e di destrutturare i kata, in modo da eliminare tutto quello che ho aggiunto volontariamente e involontariamente. Eliminato il fighting, il correre addosso all’avversario, il voler fare di fretta, ho avuto modo di concentrarmi solo sui movimenti, ed ecco rispuntare i vecchi amici: punta bassa durante il caricamento e dopo il taglio, metsuke non corretto e via discorrendo. Ma al contempo, proprio grazie a questo nuovo atteggiamento di fronte alla pratica, lavorando esclusivamente su questi difetti, piano piano sono scomparsi dando al kata una pulizia che prima non c’era. Bisogna vedere se riuscirò a mantenerli cosi senza ricadere negli stessi errori.
In definitiva è stata una esperienza molto particolare: è stato come ritornare all’inizio, alla prima volta, quando ancora tenevo il boken in mano al contrario.

Mattia Ravera, 2 dan

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