«Presumibilmente, poiché sono un artista nelle arti marziali, non combatto per vincere o perdere, non mi preoccupo della forza o della debolezza, sono imperturbabile. Il nemico non si accorge di me, né io di lui.» 

Takuan Sōhō, Taiaki, in W. S. Wilson (a cura di), Takuan Sōhō. Lo Zen e l’arte della spada, traduzione italiana a cura di P. Gonnella, Mondadori, Milano 2001, p. 99-101. [ed. or: The Unfettered Mind, Kodansha International Ltd., Tokyo 1986.] 

Il Taiaki o “gli Annali della Spada Taia” è uno scritto composto da diverse massime per lo più di argomento psicologico e relazionale, scritte in cinese, seguite dalla loro esegesi, in lingua giapponese, ad opera dello stesso Takuan Sōhō. 

In questo primo passaggio, il maestro di Izushi riflette sulla condizione di chi si occupa di arti marziali in relazione al proprio avversario. Il “presumibilmente” in apertura, lascia intendere come il fatto di essere definiti come “artisti marziali” non lasci al riparo da errori a cui in realtà ogni essere umano è esposto. E tuttavia, c’è un legame tra l’essere un “artista”, cioè una persona che ha investito tempo, energie e volontà lungo il cammino marziale, e il fatto di non porsi come preoccupazione la vittoria o la sconfitta, la forza o la debolezza.  

Addirittura l’autore si spinge a dire che in questa condizione ideale “il nemico non si accorge di me, né io di lui”. Certo, possiamo forse facilmente comprendere il fatto che un buon combattente sia tanto abile da celare le proprie intenzioni al proprio avversario, tanto da non essere percepito e dunque ottenere facilmente la vittoria; ma che dire dell’ultima affermazione? Come posso non accorgermi di un avversario che devo affrontare? 

Qui l’argomentazione si fa più complessa. C’è infatti un fraintendimento nella stessa domanda “come faccio?” che pure siamo portati a porci in relazione alla situazione descritta. Takuan Sōhō non sta parlando semplicemente di tecnica, ma di relazione e di postura psichica nel combattimento. L’imperturbabilità infatti non riguarda solamente il fine ultimo dello scontro (la vittoria o la sconfitta), né tanto meno le sue premesse (la valutazione della forza o della debolezza); essa ha invece a che fare con il modo in cui si è giunti alla condizione di artista marziale. Perché se da un lato è naturale che i due contendenti percepiscano la reciproca presenza da un punto di vista spaziale, ciò che consente la liberazione dalla sfera percettiva dell’uno è anche ciò che gli consente di non essere notato dall’avversario. 

Questa dinamica credo sia particolarmente chiara a chiunque abbia praticato un jigeiko di kendo in vita sua: nel momento in cui la mia intenzione in relazione all’obbiettivo (vincere, fare ippon) si formula come pensiero nella mia mente, inevitabilmente essa viene letta dall’avversario che “si accorge” di me, e può servirsi della mia intenzione contro di me. Allo stesso modo, fintanto che il mio pensiero si preoccupa del movimento dell’avversario in termini di reazione ad una mossa che si vorrebbe prevedibile, io sono inevitabilmente in balia del suo pensiero. 

Ora, se da un lato questa è una dinamica comune a tutti coloro che non abbiano ancora raggiunto un alto livello di pratica (e sia in senso attivo che passivo), ciò che definisce l’artista marziale dovrebbe consistere esattamente in quello stato di imperturbabilità che si potrebbe rendere come uno “stato di mobile quiete”, o, in altre parole, “essere sempre al posto giusto e al momento giusto”.  

La mancanza di un avversario fisico nello iaido complica le cose da questo punto di vista. Fino ad un alto livello di pratica, difficilmente ci si rende pienamente conto della relazione tra pensiero, movimento e avversario, eppure gli errori comuni consistenti in tensioni che generano pause, la trascuratezza di metsuke o jo-ha-kyū sono tutti sintomi di questo stesso problema. Occorre molto tempo, e di qualità, per acquisire questa capacità, che in ultima analisi non soltanto costituisce la necessaria qualità dell’artista marziale, ma, secondo il maestro di Izushi, coincide con la stessa natura del Buddha.

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