Ghost Of Tsushima
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Sono cresciuto a videogames, dai primi portatili nei quali solo una fervida immaginazione adolescenziale poteva rimpiazzare una grafica totalmente assente, ai primi con l’allora rivoluzionario schermo LCD, alle prime console domestiche, al pc, alle console odierne, passando per interminabili (non è vero, passavano in un baleno) pomeriggi nelle sale giochi degli anni ’80/’90, o a caccia di bar nascosti al grande passaggio ma che ospitavano coin-op di ultima generazione senza dover battagliare anche solo per poter introdurre la monetina.

Ghost Of Tsushima

Un ricordo particolare va ai titoli ispirati alla arti marziali, fin da piccolo una passione di famiglia, anche se allora era judo: Karate Champ, Kung-fu Master, Shinobi, Yie Ar Kung-fu, e altri mille giochi pixellosi che hanno aperto la strada a picchiaduro come Sengoku e saghe durate decenni, come Mortal Kombat e Tekken, per arrivare a produzioni che niente hanno da invidiare al cinema di animazione come Nioh, Sekiro o il più recente eccellente, pluripremiato, super acclamato, e chi più ne ha più ne metta, Ghost of Tsushima.

Ghost Of Tsushima
Ghost Of Tsushima

Si trovano fin troppe recensioni in rete da volerne scriverne un’altra, anche perché addentrarsi in un lavoro di questo tipo è un compito assai complesso, né è questa la sede adatta. Vorrei limitarmi a descrivere a grandi linee la storia, perché immagino ogni marzialista ne avrà già sentito parlare, avrà già visto qualche foto o qualche presentazione, e ogni appassionato di videogiochi l’avrà giocato o più semplicemente lo conoscerà per essere forse l’ultima grande produzione tripla A per PS4.

Questa splendida avventura ambientata in un Giappone feudale, più esattamente nel 1274, vede il giocatore nei panni di Sakai Jin, rampollo di nobile famiglia samurai, tra i pochi superstiti dell’invasione mongola in Giappone nell’isola di Tsushima, determinato a liberare la propria terra e il proprio popolo dall’invasore straniero. Attraverso un classico sistema di accumulo di punti esperienza il giocatore potrà crescere nelle arti di combattimento sviluppando tecniche classiche, come varie forme di combattimento con la spada, o con tecniche più simili a quelle ninja, coltivando quindi una sorta di lato oscuro. Oltre alla superlativa animazione dei combattimenti, che lascia davvero stupiti per la ricchezza e la profondità dei dettagli, agli stupendi paesaggi in cui si sviluppa l’avventura, alla praticamente assente interfaccia grafica che proietta il giocatore in un’esperienza quasi televisiva interattiva, ad un filtro che permette di ricreare esposizione, contrasto, grana e imperfezioni della pellicola dei classici film di Kurosawa (e giocarlo in lingua giapponese, anche se con sottotitoli, diventa veramente un’esperienza unica), oltre ad una storia che incolla veramente al pad, oltre all’essere sviluppato come open world, con la possibilità quindi di girare in lungo e in largo senza restrizioni di sorta, questo gioco dell’americana Sucker Punch Productions è riuscita a stregare anche la critica giapponese che si è spinta ad elogiarne la realizzazione rammaricandosi che non fosse autoctona.

Ghost Of Tsushima

Il percorso di Jin lo vede ancora ragazzino alle prese dei rudimenti del combattimento, ovvero l’immancabile tutorial, sotto la guida dello zio, e all’educazione dell’etica samurai. Onore, considerazione, spirito, cuore, tutto l’insieme dei valori con i quali cerchiamo di crescere lungo il nostro cammino dentro e fuori dal dojo, e che verranno messi a dura prova durante lo svolgimento del gioco, che si sviluppa in tre grandi aree di gioco, attraverso campi, fattorie, forti, guidati dal vento, da petali e da foglie che indicano la direzione, seguendo storie principali e secondarie, in un crescendo di adrenalina e immedesimazione, con un alternarsi di azione marziale, etica, artistica, come l’ottima soluzione per ottenere ricompense anche attraverso la realizzazione di haiku o con la preghiera in piccoli santuari shinto per ottenere una doni utili dai mille kami che caratterizzano il pantheon giapponese o la venerazione di Inari e delle sue volpi con le quali intrattenersi per qualche piccola carezza.

Ghost Of Tsushima
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Trovare armature e spade, poterle potenziare o personalizzare con le tinture, trattare con i mercanti per acquistare o scambiare oggetti, godere dei mille infiniti dettagli che possono catturare l’attenzione più del praticante della spada che non del giocatore casuale come il semplice ma essenzialmente realistico rumore nell’estrazione della spada da una saya di legno, ben lontano da quello “t-zinnng” metallico caratteristico della quasi totalità dei film nella quale un personaggio usa una katana, alle variazioni di guardie e tenouchi, posture, chiburi e noto, ad animazioni di combattimento che sembrano uscire direttamente dal manuale di iaido ZNKR, dagli insegnamenti che vengono impartiti nell’ottica della formazione marziale e culturale del samurai, alle applicazioni di quelli che ci ha invece lasciato Sun Tzu, il gioco si sviluppa in un compendio di Giappone feudale ottimamente realizzato sotto tutti gli aspetti: nelle vesti Jin ci si dovrà impegnare, e non poco, per mantenere fede a quanto appreso e per raggiungere l’obiettivo principale, la liberazione di Tsushima dal nemico mongolo in questa rivisitazione particolare di fatti storici realmente accaduti.

Ghost Of Tsushima

Nel tornare con la memoria ai primi giochi elettronici a tema arti marziali, è cambiato molto, forse tutto: allora c’era la gioia di superare un avversario, uno schema, un livello, un “boss” di fine livello, ma non avevo coscienza del significato di arte marziale che ho cominciato a comprendere con la pratica della spada. In effetti non c’era differenza tra vincere una partita a Karate Champ, a Space Invader, a Hyper Olympics o Pole Position, c’era solo la soddisfazione di vedere il proprio nome, usando solo tre lettere, nell’elenco finale dei migliori giocatori, o la sorpresa di vedere nuovi giochi e come la tecnologia videoludica stesse facendo passi da gigante. Ma neanche in giochi di generazioni successive c’è stato un qualche cambiamento, passando a più sofisticati e iconici titoli presenti ancora oggi sul mercato, come i già citati Tekken o Mortal Kombat: il succo del gioco rimaneva, e rimane,  quello di avanzare il più possibile con i livelli, vedere aumentare il punteggio come unico premio tangibile per l’impegno, ma senza la crescita “umana” del personaggio. E neanche ci pensavo a questa possibilità: ma con Ghost of Tsushima, complice forse anche una maturazione personale, ho trovato il piacere nuovo di vedere come le azioni di gioco permettessero al protagonista di cambiare. O meglio, al giocatore di poter attuare strategie diverse a seconda dell’esperienza maturata durante il gioco, cambiare comportamento di fronte alle azioni da intraprendere, ingaggiare in combattimento con tecniche sempre più distanti da quelle che hanno caratterizzato la formazione iniziale del personaggio.

Ho citato precedentemente la coltivazione di un lato oscuro del protagonista, e senza fare alcuno spoiler in quanto tutto è chiaramente descritto nelle varie presentazioni e recensioni del gioco, più si avanza nel gioco, più si accumula esperienza nell’occultamento, nelle azioni più tipiche della guerriglia, nell’uso di bombe e veleni, che tanto più allontanano dall’idea di combattimento caratteristica del budo tanto più tornano utili per uscire vivi dalle mille situazioni e avventure in cui ci si ritrova, soprattutto giocando a livelli di difficoltà più elevati. Perché ovviamente il gioco lo si ricomincia subito dopo averlo finito per provare l’emozione, la difficoltà crescente e la preparazione anche mentale di uno scontro sempre più assimilabile ad uno shinken shobu, dove basta un fendente di un avversario per morire.

Ghost Of Tsushima

Ho provato a ribellarmi a questa naturale evoluzione, cercando una videoludica interpretazione ed esperienza dei principi della spada e ne sono uscito sconfitto. Non c’è niente da fare, il lato oscuro è più seducente: per quanto ci si voglia attenere ai principi etici del combattimento tipico dei samurai, e chiaramente all’interno di un videogioco è possibile, ci si muove sempre più verso modalità di gioco che alla fine riportano all’obiettivo originale, quello di arrivare in fondo comunque, costi quello che costi. La battaglia ideologica tra mongoli, Jin e lo zio diventa sempre più evidente, e come una droga sottile pervade il modo di giocare e ci fa cambiare inesorabilmente.

Non è un lato oscuro alla Guerre Stellari, ma una versione particolare, o forse personale, che tende far scivolare nella facilitazione per ottenere un risultato, a discapito dei precetti che vengono offerti sulla via. Le scorciatoie e il successo veloce hanno sempre un certo fascino perché ci fanno sembrare migliori, soprattutto agli occhi degli altri, ma è proprio questo il problema. Da principiante molto inesperto effettuare la serie completa dei kata ZNKR è stata una cosa che mi sono sforzato di apprendere nel minor tempo possibile, senza avere la possibilità di comprendere cosa stessi facendo. Con il passare del tempo e degli insegnamenti ricevuti ho cominciato a comprendere che non dovevo fare vedere niente a nessuno, che lo iaido che volevo praticare era il mio iaido, inteso come il risultato della mia pratica e del mio impegno seguendo gli insegnamenti dei maestri seppur con tutti i miei limiti, dovendo necessariamente tornare indietro per ricostruire quelle fondamenta che non esistevano. E’ diventato ancora più difficile e doloroso, soprattutto quando è cominciato il confronto, quando ho visto altri fare cose che magari non ero neanche stato in grado di sapere che avrei dovuto fare. Una lotta contro le abitudini e contro la sistematica volontà di vincere contro gli altri piuttosto che contro me stesso: è chiaro che la competizione esiste, e si combatte per vincere, ma la vittoria ricercata per “far vedere” è cosa ben diversa dalla soddisfazione di aver ottenuto un risultato, per quanto grande o piccolo possa essere, grazie all’impegno e alla dedizione, al mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti e all’aver lavorato per se stessi. Non ci sono scorciatoie nel budo, e il budo non è solo mettere anima e corpo in una lezione, ma riuscire ad applicare gli insegnamenti nelle azioni semplici della vita quotidiana, attraverso quel complesso insieme di vie interconnesse che dovrebbe portare ognuno di noi a realizzarsi pacificamente.

Ghost Of Tsushima

Ghost of Tsushima è solo un gioco, ma ci offre una possibilità per pensare al cambiamento, a cosa sacrifichiamo, anche a scapito di un risultato più nobile, nello scorrere della nostra vita perseguendo gli obiettivi più disparati, creando, modellando e perfino distruggendo rapporti personali per poterci meglio adattare ad una situazione, con la consapevolezza di quanto si stia facendo e quindi con l’ulteriore sforzo dato dalla lotta interiore nell’accettare l’evoluzione e la migliore comprensione e applicazione dei principi più profondi delle arti marziali e dalla spada.

Senza andare a toccare tasti filosofici o morali, anche solo per godere di una realizzazione grafica appagante al punto da voler semplicemente galoppare per l’isola rapiti dalla bellezza della natura: credo possano esserci molti modi di giocare a Ghost of Tsushima, ed ognuno vale sicuramente il tempo speso in un divertimento che non è chiaramente solo per ragazzini.

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lele bo

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