Le armi da fuoco erano state introdotte in Giappone dalla Cina nel corso del XIII secolo, a seguito dei vari tentativi di invasione mongola dell’arcipelago.
Queste armi, conosciute come Teppō, erano in realtà dispositivi piuttosto rudimentali, consistenti in un semplice tubo metallico privo di meccanismi di innesco e di mira.
L’oggettiva difficoltà di utilizzo, unita alla loro scarsa efficacia, ne avevano di fatto limitato l’impiego, rendendole per lungo tempo armi del tutto marginali.
Tuttavia, nel XVII secolo, questo scenario era destinato a cambiare rapidamente a seguito di un episodio fortuito che merita di essere raccontato.
Nel 1543, una giunca cinese, spinta fuori rotta da una tempesta, gettò l’ancora presso l’isola di Tanegashima, nel Giappone meridionale.
Il fatto in sé non aveva alcunché di straordinario in quanto simili episodi erano piuttosto frequenti in quelle zone.
Tuttavia, questa volta, a bordo dell’imbarcazione, non vi erano solo marinai cinesi, ma anche un gruppo di mercanti portoghesi in viaggio d’affari dal Siam alla Cina.
Le cronache locali, di molto successive a quegli avvenimenti, ci hanno restituito un paio di nomi, da prendere con tutte le cautele del caso considerando i probabili errori di traslitterazione: Francisco Zeimoto e Antonio da Mota.
Particolare, questo, non certo di poco conto considerando il fatto che, con ogni probabilità, essi furono i primi europei a mettere piede in Giappone.
Comunque sia, la giunca richiedeva riparazioni e non era quindi possibile riprendere immediatamente il viaggio.
Sembra che, per ingannare il tempo, i passeggeri portoghesi si fossero avventurati con i loro archibugi nell’interno dell’isola per una battuta di caccia.
Il fatto non passò certo inosservato, tanto che gli stranieri vennero subito condotti al cospetto di Tanegashima Tokitaka, signore dell’isola.
L’incontro con gli stranieri, trasandati nell’aspetto e rozzi nelle maniere, fu sicuramente deludente per il giovane daimyō, ma la sua attenzione fu ben presto catturata dai loro archibugi, così diversi dalle armi da fuoco tradizionalmente usate in quei luoghi.
Dopo varie domande e molte spiegazioni, i Portoghesi acconsentirono infine ad offrire una dimostrazione, stupendo tutti i presenti per la loro capacità di colpire, con grande precisione, un bersaglio posto a cento passi di distanza.
Resosi immediatamente conto delle potenzialità di queste armi, Tokitaka ne acquistò un paio di esemplari e chiese ai Portoghesi di essere personalmente istruito sul loro utilizzo.
Fu anche deciso di avviare una produzione locale di archibugi e il compito venne affidato ad un valente fabbro di nome Yaita Kinbee Kiyosada.
Tradizione vuole che il pover’uomo, messo a dura prova dall’arduo compito e pressato dalle aspettative del principe, fu costretto a concedere in moglie la sua giovane figlia ad uno degli stranieri al fine di ottenere le indicazioni necessarie a riprodurre le parti interne della canna.
Nonostante le varie difficoltà, sembra che Yoita sia riuscito, in pochi mesi, ad avviare la produzione di una versione accettabile di questa nuova arma tanto che, grazie al suo utilizzo, Tokitaka riuscì, l’anno successivo, a sottomettere la vicina isola di Yakushima.
Per la prima volta nella storia giapponese, l’impiego di armi da fuoco si rivelò decisivo per decidere le sorti di una battaglia.
La via era ormai aperta e l’arrivo di altri Portoghesi sull’isola consentì a Yoita di risolvere alcuni problemi tecnici residui, perfezionando così la sua nuova arma.
La notizia si sparse velocemente e la produzione dell’archibugio si diffuse altrettanto rapidamente in tutto il Giappone raggiungendo, dopo soli dieci anni dalla sua introduzione, il ragguardevole numero di 300.000 esemplari.
Ma, seguendo la migliore tradizione giapponese, la memoria della sua nascita non si perse, tanto che l’arma continuò ad essere identificata nei secoli a venire con il nome di Tanegashima-Teppō.
Laddove l’arco, per essere impiegato efficacemente, richiedeva lunghi anni di esercizio per apprenderne le tecniche di utilizzo, l’archibugio presentava sicuramente tempi di addestramento assai più contenuti.
In aggiunta, mentre l’utilizzo dell’arco era ristretto a persone dotate di una certa prestanza fisica, l’archibugio era praticamente accessibile a chiunque.
D’altro canto, l’archibugio, almeno nelle sue prime versioni, presentava anche alcuni notevoli difetti.
La sua gittata utile ed anche la cadenza di fuoco erano certamente inferiori a quelle dell’arco; inoltre, il meccanismo d’innesco a miccia era molto sensibile all’umidità e alla pioggia.
Infine, la produzione di un’arma da fuoco era sicuramente assai più complicata e costosa di quella di un arco.
Tuttavia, i proiettili di queste nuove armi erano in grado di perforare qualsiasi armatura procurando ferite più gravi di quelle causate dalle frecce e quest’ultima caratteristica valse, da sola, a decretare il successo e la prevalente adozione degli archibugi sul campo di battaglia.
Durante tutto il XVI secolo, per ovviare alle limitazioni intrinseche all’arma, gli archibugieri vennero impiegati con funzioni di supporto rispetto ai reparti tradizionali, anche se già nelle due importanti battaglie di Nagashino (1573) e di Sekigahara (1600) si ritiene che essi abbiano giocato un ruolo fondamentale nel determinare l’esito degli scontri.