Il Tengu che è in te (1° parte)
Il Tengu che è in te (2° parte)

Una storia, perché dovrebbe interessarci

Come dicevamo, è quasi impossibile che Gonnosuke – sempre che un uomo con tale nome sia effettivamente esistito – abbia potuto, da solo, elaborare e consegnare ai posteri una disciplina di tale complessità.

Questo spiegherebbe, allora, la necessità di ricorrere ad un provvidenziale intervento divino: come nel teatro classico, un “deus ex machina” che, comparso inaspettatamente sulla scena, risolve felicemente una situazione ormai senza via d’uscita.

Ma la cosa veramente interessante è che questa storia, per quanto assurda e strampalata, è arrivata in qualche modo fino a noi sopravvivendo nei secoli: nessuno ci crede ma intanto, per non sbagliare, tutti la raccontano, come a dire che i Tengu non esistono, ma non si sa mai.

Ora, se è sicuramente vero che quegli strani esseri, un po’ buoni un po’ cattivi, nessuno li ha mai incontrati, nè sulle montagne nè altrove, è altrettanto vero che, come dicevamo all’inizio, le storie che rendono possibile l’impossibile sembrano avere sempre esercitato una particolare attrattiva sulla mente umana.

A questo proposito, mi torna alla memoria quando, ai tempi del liceo, affrontai la cosiddetta “questione omerica”, ovvero la disputa sulla effettiva paternità dei due massimi poemi della letteratura occidentale, l’Iliade e l’Odissea.

Ad un certo punto, la tradizione iniziò ad immaginare per essi l’esistenza di un singolo autore chiamato Omero (letteralmente “colui che non vede”) anche se, già in tempi assai antichi, tale teoria veniva considerata priva di fondamento alcuno.

Ma, al di là delle questioni filologiche, che qui non ci interessano, proviamo ora ad immaginare una guerra senza precedenti, una moltitudine di uomini e navi, una città conquistata e data alle fiamme….

E poi un viaggio di ritorno interminabile, mostri, divinità avverse, naufragi….

Non è forse meraviglioso che a raccontare tutto questo venga chiamato un cieco, quasi a dire che, per essere in grado di vedere cose mai viste prima, sia necessario non potere vedere le cose di tutti i giorni?

Pensiamo ora al nostro Gonnosuke e all’allenamento di una vita intera superato dal sogno di una sola notte: occorre, forse, essere ciechi verso l’esterno per potere cercare e trovare cose grandi dentro di sé?

Quante volte, nelle nostre piccole vite quotidiane, vorremmo trovare fuori di noi, negli altri, le risposte ai nostri quesiti non risolti.

Quante volte, da allievi, ci aspettiamo che qualcuno si dedichi a noi, che ci dica quando è il momento giusto per un esame, che ci spieghi i motivi di una bocciatura.

Ci sentiamo drammaticamente trascurati senza qualcuno che ci incoraggi, ci guidi, ci consoli; qualcuno che sappia colmare le nostre notti vuote di sogni da trasformare, come il nostro Gonnosuke, in grandi realtà.

Ecco, quindi, perché questa strana storia potrebbe, anzi dovrebbe interessarci: semplicemente perché nulla di quanto esiste là fuori non esiste già dentro di noi, basta volerlo cercare.

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