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KINTSUGI
[immagine da https://journal.musubikiln.com/kintsugi-an-artform-and-a-way-of-life/]

Siamo bombardati da messaggi e immagini che propongono la bellezza e la perfezione come stile o come obiettivo, cosa che spesso genera invidia verso i cosiddetti successi del prossimo creando una catena senza fine di atteggiamenti volti al sorpasso e all’eccesso.

Anche se nell’arte esistono dei canoni per descriverla, la bellezza oltre che ad essere un attributo legato decisamente al gusto personale, è anche effimera, sotto diversi punti di vista. Il concetto di effimero è letteralmente legato al tempo, oggetti considerati belli in epoche passate non necessariamente lo sono ancora in epoche successive: il tempo si porta dietro l’esperienza e l’evoluzione personale, e mentre le mode cambiano velocemente senza una ragione profonda portandoci ad un falso approccio alla bellezza, e a titolo esclusivamente personale, con l’aggravante dell’effetto di massa non pensante, l’esperienza porta invece a vedere e a considerare le cose in maniera completamente diversa, ad apprezzare dettagli che magari in precedenza neanche ci si accorge di avere sempre avuto davanti agli occhi. La tendenza è quella a non soffermarsi su quanto non sia bello o perlomeno gradevole, e se qualcosa urta una qualche sensibilità, estetica o meno, si cade nel giudizio affrettato e nel veloce spostamento dell’attenzione altrove, dove spesso la massa è volutamente indirizzata.

KINTSUGI
[immagine di Yves Lepoivre da https://www.facebook.com/yves.lepoivre.94]

Ma l’essenza della bellezza è ovunque, è ricercabile o ritrovabile serendipicamente, e spesso e volentieri lontano da quanto si possa pensare, ma molto più vicino a noi, in quanto unici forgiatori della capacità di vedere il bello, frutto di quanto abbiamo vissuto e di quanto siamo capaci di leggere o di evocare nelle cose.

Trascendendo la bellezza e l’estetica, il kintsugi è l’arte di aggiustare con l’oro, arte tipica giapponese applicata agli oggetti di ceramica che quando dovessero rompersi vengono riparati con una lacca, detta urushi, mista a polvere d’oro, d’argento o di platino. Il risultato è un oggetto simile a quello originale, del quale ha perso la bellezza e la perfezione e mostra vistosamente, e orgogliosamente, le cicatrici dell’avversa fortuna.

Mi piace pensare a quest’arte come ad una estensione pratica del concetto di sconfitta eroica, che in Giappone vanta esempi attraverso i secoli della sua storia con personaggi venerati ancora oggi nonostante passati nel mondo dei più tragicamente non dalla parte dei vincitori, ma che hanno saputo smuovere i sentimenti per le loro virtù come onore, lealtà, forza e determinazione. Sconfitta che in occidente è vista con una connotazione sempre negativa, ma che nasconde in realtà molto di più di quella superficiale visione delle cose e delle persone perchè tutti vogliono, o vorrebbero, essere come gli eroi della finzione cinetelevisiva o virtuale, e quindi incarnano fantasie di massa condivise tese a rappresentare ideali spesso privi sostanza.

KINTSUGI
[immagine da https://mai-ko.com/tour/kintsugi-experience-kyoto/]

All’opposto, il kintsugi è un’arte che esalta le imperfezioni, elogia la bellezza che si sprigiona dal vissuto e non dall’apparenza. Tecnicamente, è un’arte che si prefigge lo scopo di riparare, dando nuova vita, degli oggetti di ceramica rotti tramite l’applicazione di materiale dorato, o comunque prezioso, che permettendo di incollare nuovamente i pezzi, ne crea uno nuovo e unico, rendendo ulteriormente l’idea della trasformazione dell’ormai inutile all’oggetto unico. Metaforicamente, trasforma un problema non solo in una soluzione, ma in un’istanza di bellezza unica, e quindi è spesso associabile a concetti più profondi legati alla vita, alla psicologia, all’esperienza personale, attraverso la pratica della ricomposizione dei cocci, reali o meno, di qualcosa di rotto.

Il kintsugi è un’arte nota fin dal periodo Muromachi, nella metà del 1400, quando ceramisti giapponesi furono chiamati dallo shogun Ashikaga Yoshimasa a rimediare ad una tazza tenmoku rotta, i quali applicando l’estetica del wabi sabi incollarono i pezzi rotti con la lacca urushi e ricoprirono le linee di rottura con polvere d’oro: la tazza diventò un oggetto unico, particolarmente apprezzato dallo shogun, in quanto non solo era stata riparata ma aveva preso una nuova vita carica delle sue imperferzioni e proprio per questo ricca di bellezza.

Riguardo alla percezione della bellezza Shozo Kato sensei, Kendo 8-dan e Iaido 7-dan, ha espresso quanto segue:

“La bellezza occidentale è radiosità, maestà, grandezza e ampiezza. In confronto, la bellezza orientale è desolazione, umiltà, bellezza nascosta”

(vedi il suo video su https://hakushikan-kendo-nj.com/about-shozo-kato-sensei)

In realtà, anche se nei sottotitoli viene utilizzato il termine desolazione (desolateness), Kato sensei ha effettivamente usato il termine wabi sabi.

KINTSUGI
[immagine da https://www.kyoto-ryokan-sakura.com]

Quest’arte non è quindi solo un concetto artistico ma racchiude in sè le profonde radici della filosofia Zen e i concetti legati al wabi-sabi, esprimendo in maniera unica, e pratica concetti come

  • mushin, senza mente, che esprime la capacità di lasciare correre, dimenticando le preoccupazioni, liberando la mente dalla ricerca della perfezione;
  • mujo, traducibile con impermanenza, ovvero l’esistenza transitoria senza eccezioni, evanescente e inconstante: tutte le cose sono destinate ad un fine e accettare tale condizione è avere un approccio sereno e consapevole della vita;
  • mono no aware, l’empatia verso gli oggetti, una malinconia triste e profonda per le cose, per la quale apprezzandone la loro decadenza si arriva ad ammirarne la bellezza.

Un altro concetto fondamentale per comprendere al meglio il kintsugi è mottainai, una termine, caro ai giapponesi, dalle sfumature molto più sottili del semplice spreco, sottintendendo infatti quel sentimento di colpa e rammarico non solo per aver sprecato qualcosa, ma anche per non aver permesso a qualcosa o a qualcuno di raggiungere il suo massimo potenziale. Questo concetto deriva dallo shintoismo, per il quale ogni essere vivente ed ogni oggetto ha uno spirito, e quindi non trarre il meglio da qualcosa e non apprezzarlo sarebbe un mancanza di rispetto per l’essere o per l’oggetto stesso, indicando infine il rimpianto per la perdita di qualcosa di importante. Secondo un’altra interpretazione il termine si rifarebbe al concetto buddhista della non-sostanza, secondo cui nulla esiste e succede in modo autonomo, ma tutto esiste per il supporto dato da tutto il resto con cui si relaziona. Considerando entrambe le interpretazioni, il concetto di mottainai racchiude ed esprime quindi il significato più profondo e radicato nella lingua giapponese di umiltà, di gratitudine e del sentimento che nulla vada dato per scontato.

KINTSUGI
[immagine rielaborata da https://mymodernmet.com/kintsugi-kintsukuroi/]

Da un punto di vista prettamente tecnico, il kintsugi raggruppa tre categorie note come

  • hibi ovvero crepa, con la quale si riparano le semplici crepe;
  • kake no kintsugi rei ovvero esempio di riparazione dorata (del pezzo) mancante, con la quale si crea su misura il pezzo mancante, realizzato interamente in lacca e oro;
  • yobitsugi ovvero invito ad aggiustare/unirsi, con la quale si utilizza un pezzo proveniente da un’altra porcellana molto simile ma comunque non quello originale.

In generale i materiali usati sono la già citata lacca urushi, estratta dalla pianta autoctona Toxicodendron vernicifluum, farina di riso o di grano, tonoko, polvere d’oro e argento. Il processo di essiccazione della lacca, che viene usata come collante per la ceramica, come stucco e come adesivo per la polvere d’oro, avviene in un ambiente caldo a circa 25°C con umidità relativa intorno al 70-80% mentre il tempo di essiccazione varia da tre giorni a una settimana. Le linee di rottura vengono prima stuccate e carteggiate, e quindi rifinite con lacca urushi rossa a pennello su cui si lascia cadere la polvere d’oro. La lacca urushi, particolarmente difficile da reperire al di fuori del Giappone, ha aperto la strada ad una applicazione del kintsugi più moderna con la sostituzione di resine epossidiche, mentre le polveri preziosi sono state sostituite con semplici pigmenti colorati. Il kintsugi ha perso un po’ del suo fascino artistico e filosofico, restando una pratica quasi esclusivamente giapponese, ma in compenso ha potuto diffondersi come arte in tutto il mondo moderno, dando vita a numerose correnti ed artisti che danno vita ad vecchi oggetti rotti, con un significato forse meno profondo ma non troppo distante dall’originale.

KINTSUGI
[immagine rielaborata da https://mymodernmet.com/kintsugi-kintsukuroi/]

I valori più profondi che si celano dietro l’arte pratica richiedono un particolare stato d’animo e mentale, che dovrebbe portare il praticante ad analizzare senza giudizi perché qualcosa si sia rotta, e ad accettarne il destino, riuscendo a vedere le brillanti opportunità che possano esserci nel rigenerarlo: è quindi una metafora della cura e della trasformazione, che esalta l’esperienza invece di sprecarla, in quanto errori ed insuccessi possono essere la parte più importante ed efficace del percorso di crescita e della maturazione personale.

In una società che così spesso esalta e premia la perfezione e l’eccesso, abbracciare il vecchio e il malconcio può sembrare strano,  ma la pratica dell’arte secolare del kintsugi diventa quidi un promemoria per rimanere positivi quando le cose vanno in pezzi e per celebrare i difetti e i passi falsi della vita.

KINTSUGI
[immagine da https://www.onmanorama.com/lifestyle/news/2019/12/04/japanese-art-kintsugi-philosophy.html]

lele bo

Fonti

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