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daruma
(immagine da https://www.visit-gunma.jp/en/spots/shorinzan-darumaji-temple/)

Hi ni! fu ni! Fundan Daruma ga akai zukin kaburi sunmaita!
Una volta! Due volte! Sempre il Daruma di rosso vestito incurante torna seduto!
(riportato in A Japanese Miscellany di Lafcadio Hearn)

Mi capita spesso di provare un infantile stupore a causa dell’improvvisa “scoperta” di piccole cose semplici, in seguito alle quali altre cose si mettono in fila in una visione più limpida, organizzata, rendendomi consapevole di come spesso tutto sia sotto i miei occhi in una stanza poco illuminata, e solo un particolare stato d’animo, a volte accidentale, è forse in grado di accendere quella fiammella che improvvisamente rischiara l’ambiente e mi permette di passare da uno stato di inconsapevole ignoranza a quello di una felice comprensione.

Niente illuminazione, niente alta filosofia, solo quello stato di serendipica serenità che lascia intendere come ritenessi qualcosa in qualche modo interessante ma senza poterne afferrare gli sfuocati contorni ed improvvisamente si definisca in tutta la sua semplice potenza.

La felicità delle cose semplici e intime, che non cambiano il mondo ma che fanno stare meglio: affermazione discutibile ma estremamente personale.

daruma
(immagine da https://it.wikipedia.org/wiki/Daruma)

Il Daruma è una di queste cose: un manufatto dalla vaga forma umana, che un po’ tutti conoscono, alla stregua del Maneki Neko, un’altra di quelle icone che ho sempre associato al folklore e alla tradizione giapponese ma senza mai comprenderne l’essenza. A partire dal nome, che ho sempre pronunciato sbagliato forse a causa dei quella sonorità tipica piemontese data dall’accento sulla u, e che ho recentente e casualmente scoperto dover cambiare spostandolo invece sulla prima sillaba. Una cosa da niente, insignificante di per sè, ma che improvvisamente mi ha fatto ricordare che la u in giapponese è praticamente muta, e il suono del nome di quel curioso bambolotto rosso si è trasformato in “dà-r-ma”.

Dharma. Il Bodhidarma. Il patriarca indiano del Buddhismo Chan, forse più noto nella versione giapponese Zen.

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(immagine da https://it.wikipedia.org/wiki/Bodhidharma)

Non sono un praticante Zen, anche se alcuni pensieri della parte più filosofica mi affascinano. Spero mi perdoneranno coloro che veramente credono, ma giocando un po’ con le parole, questa illuminazione mi ha chiarito istantaneamente alcune cose, come quando si guardano le cinquemila tessere di un puzzle ammucchiate sul tavolo e poi si sposta lo sguardo sulla confezione che riporta l’immagine finale da ricostituire.

Da buon occidentale ho sempre ritenuto il Daruma come un simpatico oggetto tradizionale, e non avendo una particolare cultura giapponese mi sono sempre fermato alla superficiale considerazione che lo lega ad un impegno preso e al lavoro necessario per arrivare all’obiettivo. A differenza del Maneki Neko non è però un portafortuna, ma il simbolo di uno sforzo personale per ottenere qualcosa, che mi piace vedere come una sorta di Gantt, essenziale e molto personale, senza tanti fronzoli e descrizioni, tipico di quell’aspetto minimalista che tanto caratterizza le arti giapponesi. Nella sua immediata semplicità, quando uno si pone un obiettivo, il Daruma ne indica l’impegno preso per raggiungerlo: il bambolotto ha gli occhi bianchi, e con la colorazione con inchiostro nero di un occhio, in genere il sinistro, ci si prende l’impegno di portare a termine l’obiettivo prefissato. Il Daruma è quindi la rappresentazione dell’impegno personale, attraverso il lavoro quotidiano, e quando si raggiunge l’obiettivo si colora infine l’altro occhio, terminando così la realizzazione della bambola.

Semplice ed efficace, anche se folkloristico.

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(immagine da https://en.wikipedia.org/wiki/Smallpox_demon)

Storicamente nel Giappone del periodo Edo (1600) i Daruma erano considerati dei talismani per proteggere i bambini da vaiolo e morbillo, malattie che si credevano fossero portate da un demone, Hososhin o Hosogami, il demone del vaiolo, appunto, uno spirito mitologico in grado di entrare nel mondo fisico alla ricerca di vendetta, terrorizzato dal colore rosso e motivo per cui il Daruma più tipico è ancora oggi di questo colore. Curiosamente, anche in occidente figure come il re francese Carlo V (XII secolo) o la regina inglese Elisabetta I (XVI secolo) e altri regnanti che si ammalarono di vaiolo subirono quello che è stato definito come il “trattamento rosso”, ovvero l’utilizzo di indumenti rossi come camicie, veli, calze o coperte, oltre a “sedute terapeutiche” che consistevano nello stare davanti ad un bel fuoco. Ma a prescindere dal motivo per il colore rosso delle origini, i Daruma hanno subito un’evoluzione popolare per l’augurio per un buon parto, di buoni raccolti o di buona fortuna in generale.

Si ritiente che verso il XVII-XVIII secolo gli agricoltori giapponesi avessero stabilito l’offerta e la domanda per la versione moderna del Daruma, considerato come portafortuna per un abbondante raccolto di riso: originariamente create dai monaci buddisti che lavoravano il legno, da questi i contadini appresero come creare le proprie bambole Daruma con l’usilio di stampi appositamente realizzati e durante le stagioni meno impegnative per l’agricoltura ne fecero un’attività secondaria su larga scala, mentre al giorno d’oggi sono spesso realizzate in cartapesta. Nota curiosa, a Takasaki, nella prefettura di Gunma non troppo distante da Tokyo, si concentra la quasi totalità della produzione dei Daruma, con oltre cinquanta famiglie artigiane che realizzano oltre un milione di bambole all’anno, coprendo l’80% della fornitura giapponese.

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(immagine da https://www.visit-gunma.jp/en/spots/takasaki-daruma)

L’evoluzione del significato del Daruma è passato con il tempo dalla protezione alla costanza nel perseguimento di un obiettivo personale.

Questo semplice approccio all’impegno e alla costanza mi fa venire in mente le parole di Shunryu Suzuki, monaco Zen contemporaneo che ha contribuito enormemente alla diffusione dello Zen in occidente, suo ad esempio il testo Mente Zen, mente di principiante: lo Zen è concentrazione nelle nostre abituali routine quotidiane.

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(immagine da https://en.wikipedia.org/wiki/Shunry%C5%AB_Suzuki)

Non è quindi un mero portafortuna, ma la rappresentazione di quello che i giapponesi considerano come lo spirito definito gambaru, l’abilità della perseveranza: il Daruma incarna quindi l’essenza del proverbio nanakorobi yaoki, cadi sette volte rialzati otto e spesso sono proprio realizzati con una forma e una distribuzione dei pesi tali per cui torna in posizione eretta quando lo si rovescia.

Con i Maneki Neko però condivide un sistema cromatico che indica il tipo di obiettivo che ci si pone:

  • Rosso : per obiettivi e fortuna generici, indicato per la buona sorte
  • Oro : per salute e successo finanziari, indicato per obiettivi legati al denaro
  • Bianco : per benessere mentale, fisico e spirituale, indicato per purezza e pace
  • Viola : per il miglioramente personale, indicato per la realizzazione di tratti particolari della personalità
  • Blu : per successi nella carriera, indicato per gli affari e i nuovi lavori
  • Rosa : per l’amore, indicato per le questioni affettive
  • Verde : per il miglioramento della condizione fisica, indicato per la salute e il benessere fisico
  • Arancio : per lo studio e l’apprendimento, indicato per la focalizzazione e la concentrazione
  • Giallo : per protezione e supporto, indicato per l’amicizia e l’onore nelle relazioni
  • Nero : per la prevenzione e la sicurezza personale, indicato per l’allontanamento delle cose negative
  • Argento : per lo stato sociale, indicato per la trasformazione personale
  • Senza Colore : una curiosa versione per la creazione di obiettivi personali permettendo di sviluppare la propria creatività liberando l’artista interiore.
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(immagine da https://www.domodaruma.com/blog/daruma-doll-history-of-japanese-wishing-dolls)

Se provo più simpatia per il Maneki Neko come oggetto in sè, pur non credendo alla sua funzione portafortuna, e pur restando il Daruma in una simile area di azione, lo ritengo invece più utile e funzionale del suo parente felino, soprattutto se lo si prenda in prima persona piuttosto che per regalarlo o riceverlo da qualcuno, ammesso che il ricevente non abbia lo stesso orientamento verso l’impegno per obiettivi. Una sorta di monito e promemoria verso un impegno preso, verso la costanza, verso quello che comunque ritengo debba essere il normale approccio alla vita quotidiana, ma al quale aggiunge un po’ di simpatico colore e solidità fisica nel ricordare l’impegno necessario. E proprio perché rappresenta qualcosa di più che non il semplice augurio per una buona sorte, il Daruma ha dei tratti caratteristici che rappresentano la perseveranza e la longevità. Dettagli che non saltano subito all’occhio e che ancora una volta necessitano di un’attenzione più profonda, proprio come l’intenzione di raggiungere il proprio obiettivo. Le sopracciglia infatti sono disegnate in modo da ricordare la gru, la cui simbologia è associata a mille anni, mentre barba e baffi ricordano la tartaruga, con il suo significato di diecimila anni. L’espressione arcigna del Daruma inoltre non dovrebbe essere interpretata come qualcosa di negativo, quanto piuttosto richiamare il ricordo della concentrazione, della determinazione, della ferma risoluzione a raggiungere l’obiettivo prefissato, nell’intenzione di visualizzare lo stato per il quale nulla è facile, ma anche che nessuna sfida è impossibile. Tornando a quanto detto poc’anzi, è vero che questa condizione è estremamente personale e per chi abbia tale forza non è certo il Daruma a permettere di raggiungere l’obiettivo, ma dato che è tipico dell’essere umano, soprattutto occidentale, possedere le cose, allora questo lo considero alla stregua di molti altri oggetti che personalizzano la propria casa, ma con un significato più profondo rispetto ad un qualunque complemento d’arredo. E forse, ad obiettivo raggiunto, a ricordo dell’impegno profuso e a futuro esempio per quanto possa attenderci in futuro. In fin dei conti, una manifestazione di responsabilità.

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(immagine da https://nippoland.wordpress.com/2015/10/01/la-bambola-daruma-%E9%81%94%E7%A3%A8/)

Per quanto riguarda la modalità di utilizzo del Daruma, la sua caratteristica tipica è la colorazione degli occhi: viene infatti venduto con gli occhi bianchi, ovvero senza occhi. La colorazione del primo occhio, in genere il sinistro, indica la volontà di prendersi un impegno e il successivo impegno per perseguire l’obiettico prefissato, mentre l’occhio destro verrà colorato quando si raggiunge tale l’obiettivo. Come occidentale posso considerare queste azioni come semplici indicazioni per l’uso, ma nella cultura giapponese il significato è più profondo, indicando l’offerta del proprio impegno personale al Daruma, il Bodhidarma, aprendogli l’occhio della mente. Il completamento della colorazione degli occhi del Daruma indica la sincerità nell’applicarsi per un impegno preso e quasi a voler riprendere l’adagio occidentale secondo il quale la fortuna aiuta gli audaci, uno dei significati più pratici è quello di ottenere i favori della sorte attraverso l’impegno, megaderu, i cui kanji sono traducibili letteralmente come “occhi aperti”, sottile riferimento all’illuminazione Zen. I Daruma hanno spesso anche dei kanji scritti con tecnica calligrafica sotto al volto, che oltre al colore aggiungono un’ulteriore classificazione verso l’obiettivo: se non specificamente realizzato, e quindi con kanji particolari, sul Daruma si trova più comunemnte scritto fuku, per un augurio di fortuna in generale, shiawase, per la felicità, o kanau, per la realizzazione, mentre altri kanji possono essere scritti sulle spalle per richiamare obiettivi specifici o per fornire ulteriori parole di incoraggiamento.

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(immagine da https://www.cieliparalleli.com/costume/daruma-kuyo.html)

In Giappone i Daruma sono anche oggetto di festival, in genere tenuti all’inizio dell’anno presso templi quali lo Shorinzan Darummaji, il Bishamonten e il Jindaji, il secondo più antico tempio buddista di Tokyo. Tradizione vuole che in simili ricorrenze tutti i Daruma vengano riportati dalle persone che durante l’anno si sono impegnate nei loro obiettivi al tempio da cui sono stati acquistati per partecipare ad una cerimonia del rogo, chiamata daruma kuyo: dopo aver espresso loro gratitudine, li consegnano ai monaci e ne comprano di nuovi per l’anno successivo, e tutti i vecchi Daruma vengono infine bruciati insieme nel tempio.

L’ulteriore evoluzione dei concetti propri del Daruma legati alla perseveranza e al successo verso un obiettivo è ravvisabile infine nella cultura giapponese contemporanea detta kaizen, ovvero il miglioramento (zen) continuo (kai), una filosofia più meramente commerciale legata alla pratica economica e riferita all’efficienza dei fattori produttivi, al costante miglioramento dei processi industriali, al rinnovamento a piccoli passi da farsi giorno dopo giorno con continuità, la cui base è l’incoraggiamento di ogni persona ad apportare ogni giorno piccoli cambiamenti il cui effetto complessivo diventi un processo di selezione e miglioramento dell’intera organizzazione.

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immagine da https://searcherp.techtarget.com/definition/kaizen-or-continuous-improvement

Ritengo ancora una volta particolarmente forte la connessione di questi principi con quelli espressi dal kendo no rinen  redatti da ZNKR. Anche se scritti per il Kendo, ho l’umile presunzione di ritenerli validi per ogni Via così come per qualsiasi cosa a cui ci si dedichi nella vita quotidiana, nell’idea di portare fuori dal dojo gli insegnamenti appresi: la via della spada è ricerca della perfezione come essere umano attraverso l’esercizio (…) per contribuire allo sviluppo della cultura e promuovere (…) la prosperità tra i popoli. Tutto parte da noi stessi, dal nostro esempio, dalla nostra determinazione, dalla nostra volontà, anche a beneficio degli altri.

Ma proprio per il significato del Daruma non è detto che l’obiettivo posto venga effettivamente raggiunto, o magari non nei tempi prefissati: anche avere un desiderio a tempo indeterminato viene spesso utilizzato per motivare una persona a continuare a migliorare, mentre per desideri specifici, il Daruma è utilizzato anche come promemoria del fallimento, visto come una delle fasi da cui passare per arrivare al successo. Per i giapponesi infatti, la sconfitta o l’insuccesso non sono necessariamente sinonimi di un risultato negativo, come dimostrato dai molti eroi della storia nipponica che nonostante una tragica fine hanno comunque saputo conquistarsi la fama perenne. È una caratteristica dettata appunto dalla volontà di cambiare e di migliorarsi: l’importante è l’impegno, costante, per tutta la vita, nell’affrontare qualsiasi prova e qualsiasi situazione.

Il simbolo di una Via, qualunque essa sia, di un modo di essere e di vivere sempre comunque positivo, volto perfino al benessere collettivo, perché qualsiasi cosa richiede impegno e costanza e passa necessariamente dal nostro esempio.

lele bo

Fonti

https://www.domodaruma.com/blog/daruma-doll-history-of-japanese-wishing-dolls

https://en.wikipedia.org/wiki/Smallpox_demon

https://en.wikipedia.org/wiki/Daruma_doll

https://it.wikipedia.org/wiki/Kaizen

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