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Siamo ormai quasi prossimi al 29 settembre, data alla quale si festeggia la giornata mondiale del Maneki Neko, il gatto giapponese portafortuna. Questa data specifica è stata scelta perché pare che in giapponese i numeri 9/29 si possano leggere anche ku-fu-ku, ovvero “arriva la fortuna”: ogni anno, a Ise, nella strada tradizionale di Okage Yokocho appena fuori dal santuario di Ise Jingu, si celebra il festival dei maneki neko e tutti i negozi di artigianato della zona per una settimana si convertono in meravigliose botteghe di gatti portafortuna.
Con la sua tipica zampetta alzata, il maneki neko vanta molte leggende che hanno contribuito a far crescere l’amore dei giapponesi per i felini, non ultima quella secondo la quale un commerciante, raccolto un gatto randagio di cui si prese cura, fu ripagato in segno di riconoscenza attirando i clienti all’interno del negozio: non a caso il significato di maneki neko è proprio “gatto che invita”. L’uso invece di posizionare queste simpatiche statuette è decisamente più recente, intorno al IXX secolo, quando un’anziana povera signora di Asakusa fu costretta ad abbandonare il proprio gatto non potendo più nutrirlo. Il gatto le apparve però in sogno, dicendole che se avesse creato una statuetta a sua immagine le avrebbe portato fortuna.
Una diversa leggenda racconta invece che il primo maneki neko fosse stato creato da qualcuno che volle riportare il sorriso sul viso di una cortigiana, dopo che al suo amato gatto venne tagliata la testa dal proprietario per cercare di esorcizzarlo, ritenedolo posseduto, nell’esatto momento in cui un serpente stava per mordere la cortigiana. La testa decapitata atterrò sul serpente, uccidendolo e salvando la fanciulla, che finì vittima della disperazione.
Ma la storia del maneki neko e degli spiriti saggi, i kami neko, affonda le sue radici folkloristiche nelle leggende che vedono protagonisti illustri della storia giapponese, come imperatori, Oda Nobunaga e altri samurai, che, attratti da felini che agitando una zampa destarono la loro attenzione, portandoli a deviare il loro percorso evitando così fatali incidenti o imboscate tese dai loro nemici.
Anche se ad uno sguardo distratto sembrano tutti uguali, i maneki neko hanno una carattristica fondamentale che spesso sfugge, ovvero quale zampa abbiano alzato: sempre nell’ambito folkloristico giapponese si ritiene infatti che quelli con la zampa destra alzata portino denaro, quelli con la sinistra clienti. Alcune statuette mostrano il maneki neko con entrambe le zampe alzate, in segno di doppia fortuna, ma in questo caso devono essere ad altezza diversa, altrimenti il significato sarebbe di resa.
Ma non è questa l’unica differenza: se tutti hanno orecchie tese e occhi spalancati (sono vigili per non lasciarsi sfuggire le occasioni), abitualmentesi si differenziano anche per il colore, attirando quindi sorti diverse. A partire da quello più tipico bianco, ritenuto un portafortuna generico, i più diffusi maneki neko possono essere
– neri: per scacciare le influenze negative fuori dalla casa in cui viene posizionato
– rossi: per tenere lontano malattie e incidenti, assicurando quindi una lunga vita
– dorati o gialli: per attirare denaro e ricchezza
– verdi: per portare successo nello studio e nell’ambito accademico
– viola: per realizza i sogni nel cassetto
– rosa: per aiutare a coronare sogni d’amore
– azzurri: per aiutare la crescita personale e spirituale ed evitare gli incidenti stradali
La maggior parte di queste statuette inoltre indossano un collare con una campanella e un bavaglino, accessori tipici dei gatti durante il periodo Edo e tengono un koban sotto l’altra zampa (una moneta d’oro dell’era Edo dal valore di circa 550€): sul koban spesso si può leggere l’iscrizione 千万両 (senman ryo), che indica una somma di denaro equivalente ad un milione di koban.
Ma nonostante il carattere portafortuna di queste statuette bisogna fare attenzione al loro posizionamento. Secondo la tradizione giapponese, il maneki neko deve essere infatti posizionato nell’ingresso di casa o della propria attività commerciale per fare effetto, poiché si crede che più sia vicino alla porta più il maneki neko inviterà la fortuna e i clienti che si trovino per strada ad entrare. Ma mai e poi mai dovrà essere posizionato negli armadi chiusi, sulle mensole troppo alte o troppo basse o nelle stanze in cui nessuno entra spesso. Bisogna inoltre anche assicurarsi di non metterli mai con il muso rivolto contro un muro.
Dalle note della tradizione si può quindi cominciare a comprendere l’affetto dei giapponesi verso i gatti, che risale fino alla loro importazione dalla Cina tra i VI e il X secolo. Si narra che il primo gatto adottato da un imperatore per il suo aspetto e portamento regali avesse un’intera schiera di cortigiane a lui assegnate per la sua cura nella dimora imperiale. Note più storiche vogliono invece la diffusione del gatto ovviamente per ragioni utilitaristiche, quali naturalmente come cacciatore di topi con il compito di tenerli lontani dai rotoli di pergamena dalle sacre scritture e dai bachi da seta, all’epoca fonte economica non indifferente. I gatti si diffusero quindi rapidamente tra la popolazione in tutto l’arcipelago, onorati e ricercati non solo per la loro utilità ma come propiziatori di fortuna e per la bellezza e l’eleganza del loro aspetto, creature nobili ricche di bellezza e di spiritualità.
In Giappone i gatti sono ovunque amati, rispettati, perfino temuti come creature soprannaturali quali i mutaforma (bakaneko) o gli orribili demoniaci divoratori di cadaveri (kasha) e i divoratori di uomini (nekomata) dalla caratteristica doppia coda (vedi anche Mostri Giapponesi: orrore e paura con un pizzico di educazione). Attraverso il timore o la reverenza, il gatto ha comunque acquisito un rispetto particolare: le leggende sui demoniaci nekomata cominciarono a spegnersi verso la fine del XII secolo, e dopo quale secolo di silenzio l’eplosione delle arti dell’epoca Edo (1600) fece rifiorire il mito del gatto. Con la comparsa di nuove specie di gatti soprannaturali come il già citato bakaneko, i felini cominciarono a proliferare ovunque, insieme a nuove leggende, come quella che voleva alcune delle cortigiane dei distretti del piacere della capitale Edo non essere di natura umana, ma piuttosto bakaneko trasformati: l’idea che passare attraverso le porte dello Yoshiwara significasse poter godere di una relazione con il soprannaturale suscitava un delizioso brivido. Alla fine, queste storie si espansero ben oltre le sole cortigiane, arrivando ad includere un intero mondo nascosto di gatti, inclusi attori kabuki, artisti e comici. Nel nuovo immaginario popolare quando questi gatti lasciavano le loro case di notte, indossavano kimono, tiravano fuori sakè e shamisen e praticamente organizzavano feste sfrenate prima di tornare a casa all’alba. D’altro canto altre creature come i kasha e i loro necromantici poteri alimentavano il timore verso i felini demoniaci, mentre i neko musume si riteneva fossero ibridi tra i gatti gli umani, nati dalla maledizione lanciata dai gatti verso gli artigiani che realizzavano gli shamisen, dato che questi venivano spesso ricoperti con la pelliccia di gatti, in alternativa alla pelle di serpente (vedi anche Note Giapponesi: breve viaggio nella musica del Sol Levante).
In contrapposizione con le storie fantastiche e terrifiche, in Giappone si sviluppò comunque una cultura felina particolare, grazie anche ad alcune abitudini e comportamenti caratteristici di questi animali. Ad esempio i marinai giapponesi ancora oggi usano portano gatti tricolori sulle loro imbarcazioni perché ritengono che siano capaci di prevedere l’avvicinarsi delle tempeste e arrampicandosi sugli alberi maestri sono in grado di vedere e mettere in fuga le anime vaganti dei naufraghi che, trasformate in spiriti cattivi, tenterebbero di affondare le navi.
In alcuni luoghi la popolazione felina sorpassa addirittura quella umana, come sull’isola di Tashirojima, nella prefettura di Miyagi, conosciuta attraverso i media come l’Isola dei gatti, e sulla quale non è permesso l’arrivo di cani per proteggere gli amati felini, la cui presenza è ricordata anche attraverso costruzioni a forma di micio, dove tra l’altro sono esposti lavori di mangaka come Ishinomori Shotaro, Chiba Tetsuya e Naomi Kimura Naomi e perfino un piccolo tempio dedicato ai felini, da loro protetti e curati in quanto procuratori di buona sorte, eretto dai pescatori in seguito alla morte accidentale di un gatto isolano.
Parlando di templi, è doversoso citare il Gotoku-ji, il tempio buddista dei maneki neko, vero e proprio paradiso per gli amanti di queste statuette, nel quale si trovano centinaia di migliaia di maneki neko lasciate dai fedeli in segno di ringraziamento: usanza vuole che si acquisti un maneki neko direttamente nel tempio e che lo si restituisca una volta che il proprio desiderio venga realizzato. Tra l’altro, è anche il luogo dove si trova ancora oggi la tomba del gatto che, secondo la leggenda, salvò la vita al samurai Naotaka.
Tajiroshima è solo una della dozzina di isole dedicate ai gatti. Aoshima, ad esempio, è ormai diventata meta obbligatoria per gli ailurofili e per un certo turismo fotografico. I pochi abitanti rimasti su quest’isola, la maggioranza dei quali ormai pensionati, si dividono tra chi allontana i felini e chi li nutre, in un tipico equilibrio nipponico tra opposti, placido e distante dal resto del mondo. Il mondo, tuttavia, va a trovare questa piccola isola due volte al giorno, con un battello che trasporta i turisti dalla terraferma.
Tanto è profondo l’amore dei giapponese per i felini che, grazie alla loro tipica intraprendenza e per poter trarre l’indubitabile vantaggio di rilassarsi coccolandone una anche quando non lo si possa ospitare a casa propria, hanno realizzato i nekocafe, locali nei quali ci si può rilassare tutti accomunati dall’interesse verso il benessere e la salute dell’animale e dalla particolare atmosfera di pace e serenità che vi si respira all’interno.
Ma se si volesse respirare un’aria ancora più felina, con il dovuto rispetto per i piccoli animali è possibile visitare un intero, e reale, villaggio di gatti, alla periferia di Tokyo, in cui sono stati appositamente progettati edifici fiabeschi in puro stile Studio Ghibli (vedi anche Buon Anno e Buon Compleanno Miyazaki san): è il Kichijoji Petit Mura, nel quale i visitatori sono invitati a non disturbare gli “abitanti” pur potendo educatamente interagire con loro. I giapponesi sono comunque abituati a usare rispettosamente i piccoli felini (ma non solo!), tanto da istituire campagne di sensibilizzazione per l’adozione dei gatti randagi con treni le cui corse prevedono gatti a bordo, sulla falsariga dei neko cafe, arrivando fino all’insignire una gatta del ruolo di capostazione, presso la stazione di Kishi sulla linea Kishigawa.
Tama, questo il nome della celebre e celebrata felina, fu adottata da Koyama Toshiko, che all’epoca gestiva in maniera informale la stazione ferroviaria, e veniva regolarmente nutrita dai passeggeri: dopo la decisione del gestore della ferrovia di tagliare il personale, venne assunta con il ruolo di capostazione nel 2007 con il compito di accogliere i passeggeri in stazione, con l’unico compenso in cibo. Tale è la passione dei giapponesi per i gatti che la decisione aumentò la popolarità della stazione, allora sull’orlo della chiusura, contribuendo ad un aumento del traffico sulla linea fino al 10% solo nel primo anno di servizio della gatta, tanto che nel 2008 fu promossa a “super-capostazione”, con tanto di ufficio personale ricavato da un box biglietteria. Tra l’altro, divenne così la prima impiegata di sesso femminile ad avere una posizione manageriale nella compagnia: negli anni Tama è stata affiancata da altri felini come “assistenti”, tra i quali Nitama, prescelta infine per il ruolo di suo successore. Dopo la sua morte, nel 2015, venne celebrato un funerale shintoista e Tama fu dichiarata “Onorevole Capostazione per l’Eternità”, onorata in un tempio vicino come divinità (kami neko).
Seppure sia una veloce rassegna sui gatti e sull’amore che i giapponesi nutrono verso i felini, è inoltre doveroso renderne un’ulteriore testimonianza attraverso un’opera ben più seria. Probabilmente nella libreria di ogni amante dei gatti e del Giappone non mancherà sicuramente una copia de Io sono un gatto, di Natsume Soseki, nel quale lo scrittore affida l’intera narrazione ad un gatto adottato da una famiglia non particolarmente affettuosa nei sui confronti, e il cui passatempo preferito è quello di ascoltare i discorsi del suo padrone, diventando un gatto tuttologo, esprimendo la sua filosofia “felina” e arricchendo i suoi discorsi con vere o presunte massime zen.
E non posso chiudere senza citare una curiosità sulle razze feline: tanto è caro il crisantemo ai giapponesi, emblema imperiale con i suoi mille petali che simboleggia vita e prosperità in quanto riesce a sbocciare nelle stagioni più fredde dell’anno, che perfino il Bobtail Giapponese è l’antica razza locale dalla caratteristica coda a crisantemo, appunto, il cui pelo cresce in tutte le direzioni più lungo e folto che nel resto del corpo creando un curioso effetto a pon pon. È un gatto di taglia media, svelto e muscoloso, con gli occhi a mandorla e il mantello corto con tessitura morbida e serica, e può avere vari colori ma i più ricercati sono i bicolori e la cosiddetta “mi-ke”, la calico. In Giappone il Bobtail veniva spesso ritratto nei disegni sacri, infatti molte rappresentazioni si trovano tuttora nei dintorni di Tokyo, come nel già citato tempio Gotokuji. In Giappone viene tuttora lui stesso considerato un portafortuna, spesso disegnato sulle cartoline e rappresentato, neanche a farlo apposta, proprio dalle statuette dei maneki neko.
lele bo
Fonti
– https://www.smithsonianmag.com/arts-culture/japans-love-hate-relationship-with-cats-180975764/
– https://it.wikipedia.org/wiki/Tashirojima
– https://www.sognandoilgiappone.com/aoshima-lisola-dei-gatti/
– https://www.watabi.it/blog/cultura-giapponese/maneki-neko/
– https://it.wikipedia.org/wiki/Bobtail_giapponese