Il Tengu che è in te (1° parte)
Un uomo, la sua rinascita
Avevamo lasciato il nostro Gonnosuke in preda a brutti pensieri.
Scartata, come abbiamo visto, l’opzione del suicidio, egli decise di ritirarsi sul Monte Hōman, situato nella provincia di Chikuzen, l’attuale Prefettura di Fukuoka.
In questo luogo impervio, aspro come la sua sconfitta, Gonnosuke avrebbe trascorso 37 giorni in perfetta solitudine, dedicandosi con parossismo alla pratica marziale, alla meditazione e alla purificazione secondo i canoni animisti dello Shintoismo.
Una sera, al termine di un allenamento forse più estenuante degli altri, Gonnosuke cadde in una sorta di deliquio, nel corso del quale ebbe una visione mistica. Una entità soprannaturale, nelle forme di un bambino, gli indicò la via da percorrere con queste parole: «maruki wo motte, suigetsu wo shire», generalmente resa con la frase: «con un bastone tondo, conosci il suigetsu».
Questo racconto è interessante e sicuramente meritevole di analisi nelle sue componenti principali.
1) La dimensione spaziale
Lo Shintoismo, la religione autoctona giapponese, come tutte le credenze politeistiche e animiste, è basato sul concetto di divinità dell’elemento naturale: in questo contesto, la montagna, con il suo elevarsi verso il cielo, assume la valenza di tramite tra l’umano e il divino.
Anche per il Buddhismo, altra dottrina di grande rilievo in Giappone, la montagna costituisce un luogo altro, ove si può aspirare ad esperienze mistiche di illuminazione.
Per queste ragioni, fin dal periodo Heian (VIII – XII secolo), aveva preso forma in Giappone il nyūbu shugyō (letteralmente “entrare nella montagna”), una via di ascesi caratterizzata da pellegrinaggi verso luoghi impervi e, nei casi più estremi, da ritiri prolungati con disagi e privazioni, soprattutto nella stagione invernale.
È interessante notare come gli adepti di queste pratiche esoteriche prendessero anche il nome di Yamabushi, o “guerrieri delle montagne”, in base all’assunto che esse consentissero il raggiungimento di abilità marziali straordinarie.
2) La dimensione temporale
Il numero di giorni trascorsi da Gonnosuke sul Monte Hōman, difficilmente casuale, potrebbe essere un riferimento ai Bodhipakkhika Dhamma, ossia i 37 fattori che, se correttamente seguiti, consentono di ottenere la vera realizzazione spirituale buddhista: alcuni di questi, quali la presenza mentale estesa al corpo, lo zelo, la risolutezza interiore, rientrano a pieno titolo tra le qualità necessarie al raggiungimento della pienezza anche dal punto di vista marziale.
3) La dimensione soprannaturale
Nel racconto, Gonnosuke ha una visione mistica, nel corso della quale riceve una rivelazione da parte di un essere soprannaturale: trattasi di un Tengu, creatura mitica della tradizione popolare giapponese, via di mezzo tra entità benigna (Kami) e malefica (Yōkai).
Tipici abitanti delle solitudini delle montagne, i Tengu erano ritenuti capace, a seconda dei casi, di infliggere tormenti ai colpevoli o prestare aiuto divino alle anime pure.
Tra le varie qualità possedute dai Tengu, veniva ad essi anche riconosciuta una prodigiosa conoscenza delle arti marziali che, di tanto in tanto, mettevano a disposizione degli esseri umani in base a disegni imperscrutabili.
Il caso più eclatante in questo senso è sicuramente quello di Minamoto-no-Yoshitsune (fratellastro del primo Shogun Minamoto-no-Yoritomo) divenuto un grande guerriero grazie agli insegnamenti sull’uso della spada impartiti, sul Monte Kurama, da nientemeno che Sōjōbō, il re dei Tengu.
Secondo la tradizione, i Tengu avevano un aspetto mostruoso – mezzo uccello e mezzo uomo, con un naso enorme e prominente – che, in qualche modo, li avvicinava ai garuḍa della mitologia indiana; a volte, tuttavia, essi potevano anche assumere, specialmente nei casi di intervento benigno, sembianze puramente umane.
Nel nostro racconto, il fanciullo apparso a Gonnosuke potrebbe anche essere simbolo ulteriore di rinnovamento.
4) La rivelazione
Le parole del Tengu sono di difficile interpretazione.
Il particolare del “bastone tondo” potrebbe implicare l’esclusione di armi lunghe dotate di lama o di punta affilata, cioè naginata e yari, entrambe facenti parte del bagaglio tecnico del Tenshin Shōden Katori Shintō Ryū, scuola ben conosciuta da Gonnosuke.
Il richiamo al suigetsu, il plesso solare, è d’altra parte un chiaro riferimento ad uno degli elementi strategici fondamentali del Jōdō, vale a dire la ricerca del centro; tuttavia, da un punto di vita più esoterico, l’espressione suigetsu – combinazione delle parole acqua (sui) e luna (getsu) – rappresenta anche l’immagine, tipicamente zen, della luna che si riflette nelle tranquille acque del lago con tutta la sua forma e luminosità e potrebbe quindi essere interpretata come un richiamo al concetto della imperturbabilità della mente, da perseguire sempre e comunque, anche nel clamore della battaglia.
Certo, tutto vero, anche se pensare di potere arrivare a costruire una disciplina organica come il Jō Jutsu basandosi su queste vaghe indicazioni non è certo realistico.
Molto più probabile, invece, che Gonnosuke abbia sì innovato, ma inserendosi in uno schema già esistente, perché, come dicevano gli antichi, ex nihilo nihil fit, nulla si fa dal nulla.
Anche se è pure vero che, quando le cose umane falliscono, ecco che entrano in gioco quelle del cielo.