di Danielle Borra – 7° Dan Iaido Renshi
4 dicembre 2016

Sulla rivista Ki è stato pubblicato l’articolo di Rigolio che riguarda il corso istruttori iaido tenutosi a settembre. (Leggi l’articolo qui)

Prendo spunto per alcune considerazioni del tutto personali.

In quella sede per la prima volta ho realizzato le difficoltà che ci sono nell’insegnare Iaido. Per la prima volta in modo lucido e consapevole. So da sempre che non è facile insegnare iaido e vedo o ho visto alcune lezioni che mancavano assolutamente di logica. Il pensiero però è sempre rimasto latente e non l’ho mai approfondito. In quelle poche ore invece ho focalizzato la mia attenzione sul tema e sono rimasta colpita da quanto ho percepito.

Tornando molto indietro nel tempo mi sono ricordata di alcune affermazioni fatte da Zanoni le prime volte che ha fatto lezione con me. Lui era abbastanza colpito da una cosa che io ritenevo molto ovvia: le lezioni erano chiare, si capiva cosa volevo ottenere ed erano sviluppate secondo una sequenza logica. A me, che insegno da molti anni in diversi ambiti, pare il minimo ovviamente, ma non sempre è così. Insegnare è difficile e la formazione degli insegnanti di Iaido è fondamentalmente una formazione da autodidatta, con tutti i pregi e i difetti del caso.

Dirò alcune banalità.

Per insegnare è importante conoscere bene l’argomento, se insegniamo una cosa che non abbiamo approfondito abbastanza risulteremo inevitabilmente incerti o approssimativi. Possiamo compensare con il carisma personale ma se abbiamo un pubblico intelligente davanti a noi non dura a lungo. L’incertezza si vede e si trasmette. Non è possibile insegnare una cosa che non sappiamo fare a meno che la premessa sia “sperimentiamo insieme”.

Non si possono insegnare troppe cose insieme bisogna scegliere le cose che si ritengono più importanti in quel momento e sviluppare quelle. Inutile riempire di dettagli persone che non sanno muoversi. In questo senso programmarsi degli obiettivi per la lezione e pianificarne lo svolgimento è importante. Se invece ci mettiamo lì e cominciamo a guardare e correggere le cose che man mano vediamo nei nostri allievi potremmo perdere la logica sequenziale dell’insegnamento.

L’insegnamento dipende dal target, non posso insegnare a tutti nello stesso modo. Se ho dei gradi bassi è importante insegnare le cose relative al movimento, se ho gradi più alti posso approfondire. La profondità di pratica determina il livello dell’insegnamento. Non può essere sempre uguale. Se lo è le mie capacità di insegnamento sono limitate.

Bisogna trasmettere certezze e queste si hanno solo con la profondità della propria pratica. Nuovamente non si possono insegnare cose contraddittorie o cambiare spesso interpretazione dei movimenti. Bisogna dare certezze. Le certezze devono però basarsi su una reale pratica e conoscenza, se non è così nuovamente la credibilità dura poco.  La propria profondità di pratica però permette di sapere che esistono interpretazioni diverse e quindi di evitare gli assolutismi specie se il pubblico a cui è diretta la lezione non è un pubblico di nostri allievi. Gli assolutismi evidenziano una conoscenza limitata.

Bisogna avere un reale interesse rispetto alla crescita dei praticanti. Insegnare non è mettersi in mostra su un palcoscenico ed esibirsi è trovare il modo di incanalare l’interesse delle persone secondo un percorso corretto che potrà svilupparsi e progredire nel tempo.

Tutto ovvio e banale.

Sulla formazione insegnanti siamo però molto indietro rispetto ad altre nazioni o altri settori ed è sicuramente una cosa sulla quale sarebbe importante investire. Abbiamo veramente lasciato troppo spazio ai singoli con risultati a volte eccellenti a volte no.

 

 

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