L’estate passata ho avuto il grande onore ed onere di esser selezionato per la squadra nazionale di Jodo, il cui campionato si è tenuto a fine settembre, e di Iaido, il quale campionato si è appena concluso, accettando le proposte con grande piacere.
Credo siano in qualche modo di due discipline sorelle: nonostante la dinamica differente, il più grande avversario da battere è e sarà sempre sé stesso; perciò avevo compreso -fin dal principio di questa esperienza- che la differenza, oltre la tecnica, l’avrebbe fatto il mio mood nel momento della competizione.
Ho affrontato il primo, in ordine cronologico, di questi due eventi internazionali cercando di seguire quello che i compagni di pratica da sempre mi consigliano: “La tecnica è molto buona, ora ti serve Fighting Spirit: arriva carico, vedi l’avversario, surclassalo e sconfiggilo con tutto te stesso.” Per farla breve, il risultato personale è stato 2 incontri in pool, 8 minuti sullo shiaijo, 6 bandierine contro e svariate imprecazioni contro me stesso e gli errori banali che avevo commesso per meritare due sconfitte schiaccianti contro avversari che tecnicamente erano alla mia portata.
Delusione, sconforto e preoccupazione per l’evento che mi aspettava da lì a un mese: campionato europeo di Iaido 2018.
Avevo subito compreso come l’errore più grande commesso sia stato l’essere sceso sullo shiaijo troppo carico, quasi arrabbiato, poiché avevo erroneamente unificato l’ira con il surclassare l’avversario, sia esso immaginario o reale.
Il mio sensei alla prima occasione in dojo mi conferma quanto pensato in solitaria: “Devi cambiare atteggiamento, è troppo immatura la presenza che trasmetti”.

Arriva fine ottobre: si parte. Quasi nessuno, compreso me, dava fiducia alla possibilità di raggiungere un qualsiasi tipo di risultato per me. Ci sistemiamo in camera, mi godo comunque la possibilità di conoscere altri praticanti all’infuori dei confini nazionali, seguo con molta attenzione il seminario tenuto dai maestri giapponesi il giorno prima della gara. Sottolineano più volte l’importanza del Fighting Spirit in ogni grado ed anzianità di pratica, e come esso debba essere intrinseco alla pratica fin dai gradi più bassi: non muovi l’aria con il corpo e le armi ma sconfiggi l’avversario con questi movimenti.
Giunge il giorno delle gare individuali. Ci danno i kata. Tre su cinque sono tecnicamente le mie bestie nere di questa disciplina. Maledico la dea bendata. In pochi mi danno fiducia nel poter arrivare in zona medaglia. Una cosa però è cambiata in questo mese: ho deciso di seguire un altro modo di intendere lo Iaido al fine di sconfiggere l’avversario, una via che è più vicina alla mia personalità. Non ho ira a caricarmi. Sono tranquillo e scendo in campo conscio solo del fatto che non me ne sarei andato da perdente finché avessi seguito la “mia via” per sconfiggere l’avversario.
Supero per primo le pool, la prima eliminatoria, la seconda, arrivo in semifinale. È il terzo incontro di fila: le gambe cedono, gli occhi sono stanchi e le spalle mi danno fastidio (maledetto vizio di bloccare il taglio usando le spalle). Ma sto bene, come da tempo non mi capitava nella pratica poiché ricoperto dai troppi pensieri. Do tutto quello che ho e stranamente il mio corpo segue meglio del solito i miei pensieri, estraggo più velocemente, chiudo i kata più stabile e con movimenti puliti: arrivo in finale. Sorprendo tutti, compreso me.
Avevo spesso sentito dire come la stanchezza in finale la fa da padrona, ma non avevo compreso quanto questo fosse vero: le gambe sono solo un vago ricordo, gli occhi sono stanchi dopo 12 ore di luce al neon, le braccia sono indolenzite, ma ancora è la testa ad aver la meglio e mi dice solo di dare tutto quello che mi rimane per l’ultima entrata nello shaijo. Non tiro al meglio, che penso essere lo Iaido espresso durante la fase eliminatoria, ma tiro connesso al tempo presente, mi distraggo un paio di volte e gli arbitri lo notano. Il mio avversario si esprime meglio, è più rilassato ed ha una tecnica migliore. Perdo la finale. Esco da vincitore.

Da questo mese sicuramente impegnativo e stancante, ma altrettanto divertente e remunerativo, ho imparato come meglio comprendere che queste arti marziali non siano altro che l’espressione del nostro essere; non combatti con altri che con te stesso, e con te stesso devi fare i conti, devi accettare chi e come sei, e allora puoi trovare un tuo cammino, che al di là dei risultati -per i quali credo sia fondamentale una buona dose di fortuna- ti fa stare bene, sia durante la pratica che all’infuori di essa. E di questo ne sono sommessamente fiero: aver ritrovato il mio percorso nelle arti marziali, aver provato a seguirlo, ed aver portato dei risultati nella pratica e in me stesso.
In conclusione del racconto del mio ultimo mese in cammino tra i campionati europei di Jodo e Iaido tenutisi quest’anno non posso che ringraziare di cuore tutti i compagni di pratica in dojo e delle delegazioni nazionali -che al di là dei risultati mi han sempre fatto sentire bene e parte di un bel gruppo-, ovvero di tutti quelli che anche solo per un attimo si sono presi un momento per consigliarmi e guidarmi. Vi ho ascoltati tutti e tutti siete stati più che utili per migliorare, sperando di riuscire a mettere in pratica tutte le esortazioni. Un ringraziamento particolare lo voglio fare ai commissari tecnici ed ai sensei che hanno riposto fiducia in me selezionandomi e consigliandomi: oltre i risultati sono davvero felice di aver avuto la possibilità di partecipare a questi eventi internazionali e conoscere praticanti da ogni parte d’Europa, ed oltre, con cui si condivide una passione comune. Grazie.

Loris Barison, mudan

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© La fotografia che ritrae Loris è proprietà di MacGregor Photography. Altre foto dell’evento sono disponibili a *questo* link.

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