L’ascesa
Sono nato sotto la neve, il 10 febbraio del primo anno dell’era Gem’ei (1118) nel palazzo di famiglia alla periferia di Kyoto.
Allevato da varie balie non ho mai conosciuto mia madre. Si mormora fosse la concubina dell’Imperatore Shirakawa, ma nessuno ha saputo essere più preciso con me, neppure quei vecchi servi che all’epoca della mia nascita gironzolavano per casa, sono riusciti a darmi un nome, nonostante li minacciassi di sottoporli alle più efferate torture.
Uno azzardò che mia made fosse una dama di corte, di cui Tadamori, che da me si è sempre fatto chiamare “padre”, si era invaghito, ma chissà …
Fatto è che la concubina dell’imperatore, Gion no Nyogo, mi adottò e si prese cura di me come una vera madre.
Il suo amore e le sue aspettative erano molte ed è grazie a lei che Tadamori mi adottò dichiarandomi suo figlio legittimo e ne divenni il primogenito. Mi fu imposto il nome di Kiyomori, Taira no Kiyomori … suonava bene: Kiyomori del potente Clan Taira di Ise.
Gli anni passarono tra l’affetto di Nyogo e le aspettative di Tadamori, tra le lezioni di istitutori vecchi e noiosi che dissertavano di letteratura e poesia, corse nei cortili con Ono, l’unico mio coetaneo che potevo frequentare, figlio del Capitano delle Guardie di Palazzo, e l’addestramento nelle arti della battaglia. Quest’ultime erano le ore che più mi piacevano, e dove, a detta dei miei istruttori, mostravo eccellenti doti, anche se ancora latenti.
Per ogni ora che trascorrevo nello studio dei classici e nell’esercizio della scrittura e del calcolo, ne passavo almeno tre a cavalcare e ad impegnarmi in allenamenti estenuanti con la spada, la lancia e l’arco nonché spesso a mani nude.
Quando mio padre Tadamori morì avevo 35 anni, quelle doti che erano state giudicate “latenti” si erano pienamente affermate assicurandomi una brillante carriera militare, prima a Palazzo e poi al comando dei guerrieri Taira con Ono sempre al mio fianco.
Fu così che alla dipartita di colui che chiamavo Padre, divenni il capo riconosciuto del Clan e fui proiettato nel gota della politica. Sapevo muovermi, ma non mi fidavo molto dei notabili di Corte, così sempre più mi appoggiavo ai consigli che raccoglievo dai maestri e dagli ufficiali coi quali quotidianamente praticavo le arti del combattimento.
Passarono pochi mesi e le mie doti vennero messe alla prova.
Nel secondo anno dell’era Kyuju (1155) il giovane imperatore morì improvvisamente, forse per cause naturali … Forse! Si scatenò una lotta per la successione. Inizialmente fatta d’intrighi e sotterfugi e manovre di palazzo si trasformò ben presto in guerra aperta.
Il clan Fujiwara che controllava il trono imperiale, si divise: Fujiwara no Tadamichi si schierò col nuovo imperatore Fujiwara no Masahito che prese il nome di Go-Shirakawa (lett. Successore di Shirakawa), di cui aveva favorito l’ascesa al trono, mentre Fujiwara no Yorinaga appoggiò le rivendicazioni dell’aspirante Imperatore Fujiwara no Sutoku.
Entrambe le fazioni dei Fujiwara chiesero aiuto ai due clan guerrieri dei Taira e dei Minamoto.
Anche questi clan si divisero al loro interno. Taira no Tadamasa e Minamoto no Tameyoshi si schierarono con la fazione di Yorinaga e Sutoku, mentre io, Taira no Kiyomori, e Minamoto no Yoshitomo appoggiavamo Tadamichi ed il neo imperatore Go-Shirakawa.
Le due armate furono costituite ed il comando delle truppe fedeli all’Imperatore regnante furono affidate al comando congiunto di Yoshitomo e mio.
Dopo poche schermaglie si arrivò alla battaglia finale a Kyoto. Le truppe del pretendente al trono occuparono e si asserragliarono nel vecchio palazzo dell’ex imperatore Shirakawa, dove Kiyomori era cresciuto, mentre i lealisti si apprestarono all’assedio.
Sia io che Yoshitomo avevamo l’idea che un attacco deciso e improvviso avrebbe spezzato la resistenza del nemico rapidamente, ed entrambi avremmo voluto guidare l’operazione.
Venimmo quasi alle mani, finché Ono non s’interpose tra noi offrendoci due paglie che stringeva in pugno, suggerendo di affidarci alla sorte. Questa mi favorì, m’infilai il kabuto che l’attendente mi porgeva mentre Yoshitomo se ne andava infuriato e senza dire una parola.
Decisi di attaccare il lato ovest del palazzo difeso dai Minamoto ribelli, non volevo scontrarmi direttamente coi soldati Taira. Spiegai ai miei ufficiali che ritenevo l’operazione molto rischiosa, ma di sicuro era un colpo di mano che il nemico non si sarebbe aspettato e potevamo avere fortuna.
Portai con me 600 guerrieri ma fummo fermati a cento passi dal palazzo, dal micidiale tiro degli arceri appostati alla palizzata perimetrale.
Vedevo i miei uomini cadere e prima di lasciarne troppi sul campo, li feci ritirare.
Tornai al quartier generale consapevole del fallimento, pronto a valutare differenti strategie, ma Yoshitomo, ancora furioso per l’esito del sorteggio, mi accusò di essere un incapace, di avere avuto paura, di essermi ritirato troppo presto. La sua arroganza lo portò a decidere per il giorno dopo la ripetizione dell’attacco che con la sua guida sarebbe riuscito. Arrivò ad ordinarmi di seguirlo con la retroguardia per essere testimone della sua vittoria.
All’alba attaccò e nuovamente le frecce cominciarono a decimare le nostre fila. Yoshitomo fuori di se, continuava a spingere avanti i guerrieri senza ottenere nulla.
Si stava compiendo una strage. Decisi d’intervenire, con un manipolo di fedelissimi. Raggiunsi la postazione di comando. Neutralizzate le sue guardie personali, feci allontanare da Ono uno Yoshitomo prossimo al collasso emotivo ed ordinai agli alfieri, sotto la minaccia delle spade dei miei guerrieri, di diramare l’ordine immediato di ritirata.
Alla sera Yoshitomo tornò sufficientemente lucido. “Ci vorrebbe il fuoco per stanarli!” disse con gli occhi persi nella ciotola del té.
“Con le frecce ci hanno respinti, con le frecce li annienteremo!” replicai.
“Cosa vuoi dire?”
“Useremo frecce incendiarie per appiccare il fuoco al palazzo poi attaccheremo.”
Così facemmo, quando il sole non era ancora tramontato del tutto, l’Ufficiale al comando degli arcieri riferì che le frecce incendiarie erano pronte a migliaia.
“Bene!” dissi “Ci muoveremo in piena notte.”
Quindi feci chiamare l’Abate del vicino tempio e nel dargli un sostanzioso obolo in monete d’oro gli ordinai di far intonare ai monaci e ad alta voce canti funebri per tutta la notte attorno alle pire dei nostri caduti.
“Il nemico sarà convinto della nostra disperazione per le perdite subite tra ieri ed oggi … e le pire sono il doppio dei nostri caduti effettivi.”
Nel pieno della notte una pioggia di fuoco si riversò sul palazzo dell’ex Imperatore. Inizialmente il nemico cercò di domare le fiamme, ma le frecce continuavano a cadere ovunque e a dare il via a nuovi focolai mentre la riserva d’acqua si stava esaurendo.
I nostri arceri avevano raggiunto ed occupato tratti della palizzata che cingeva il palazzo rimanendo nell’ombra e abbattendo sistematicamente i soldati nemici ben illuminati dalle fiamme.
Molti erano i Taira tra le file di Sutoku così ordinai di lasciare passare illesi i soldati che tentavano di sfuggire sia le fiamme che le frecce e di catturare solo gli ufficiali.
All’alba era tutto finito.
Minamoto no Tameyoshi e Taira no Tadamasa e tutti gli ufficiali ribelli furono giustiziati e le teste portate all’Imperatore.
Ci presentammo vittoriosi davanti a Go-Shirakawa ed i clan dei Taira e dei Minamoto divennero le due principali forze sia politiche che militari al servizio dell’Imperatore … e di se stessi.
In un prossimo futuro, Yoshitomo prenderà la guida dei Minamoto, ma nella nostra alleanza qualcosa si era rotto irreparabilmente e presto se ne sarebbero visti i risultati … ma questa è un’altra storia.

Il primo guerriero che si fece Imperatore
Anni trascorsero, il clan Taira divenne il più potente e ricco del paese.
A Corte la mia autorità non era mai messa in discussione e pochi avevano il coraggio di opporsi alle mie decisioni.
L’imperatore Go-Shirakawa aveva abdicato, continuando tuttavia ad esercitare il suo potere, e sul trono era salito il figlio Nijo.
Tra i due non scorreva troppo buon sangue e nelle piccole e grandi dispute che a volte alimentavo io stesso, riuscivo ad acquisire vantaggi per me e la mia famiglia, ottenento per essa incarichi e ruoli di prestigio a corte.
Posso dire che la mia fu una carriera brillante in cui il “fiuto” politico e il potere militare del clan Taira ebbero eguale forza tanto che nel secondo anno dell’era Nin’an (1167) Sua Altezza mi nominò Daijo Daijin, Primo Ministro del Governo Imperiale.
Ero il primo militare, il primo guerriero, il primo samurai che occupava una così alta carica, secondo solo dopo l’Imperatore.
I nobili di corte, non gradivano molto la mia ascesa, ma mai ai kuge avevo lasciato la possibilità di contrastarmi. Avevo dei nemici a corte, ma sapevo guardarmi le spalle.
Per fugare parte dei sospetti di voler usare la forza militare dei Taira per esautorare l’Imperatore, lasciai la guida del clan affidandola a mio fratello minore Shigemori. Di fatto continuavo a controllare le attività del clan.
Sul trono siede ora il Nobile Takakura, figlio di Go-Shirakawa ed una nobile Taira.
Un altro anello della catena va saldato. Sua Altezza Takakura sposerà mia figlia Tokuko il primo anno dell’era Joan (1171).
Il potere che detengo è forse troppo? Me lo chiedo spesso.
Terzo anno dell’era Jisho, mi vede di fatto come il protettore del trono. I più alti funzionari mi sono sempre più ostili. Le mie spie mi hanno comunicato che il Principe Mochihito, fratello di Takakura, ha contatti segreti con emissari di quei maledetti Minamoto. Stanno sicuramente tramando qualcosa.
Ero da poco rientrato a palazzo, assieme al fidato e inseparabile Ono, da una sessione di pratica con l’arco lungo, il bagno caldo era pronto, non vedevo l’ora d’immergermi nelle acque bollenti, capaci di sciogliere la tensione accumulata nelle spalle e nelle braccia.
“Ono, dovresti organizzare una battuta di caccia per la settimana prossima, sono stufo di tirare frecce ad un bersaglio immobile!”
“Ottimo, nelle foreste del monte Atago ci sono i più bei cervi dell’Impero! Domani faccio fare tutti i preparativi e mando dei cacciatori a fare una ricognizione. Quanto giorni di battuta volete fare?”
“Non più di due, tre con gli spostamenti, ho bisogno di essere presente, non posso lasciare il palazzo più a lungo.”
L’attacco fu fulmineo, i primi a cadere furono i servi che si occupavano del bagno. Se Ono non mi avesse spinto di lato il coltello a me indirizzato invece che la spalla mi avrebbe trafitto la gola.
Gli aggressori erano tre Ono ne abbattè due mentre il terzo fu bloccato dalle mie guardie accorse richiamate dal trambusto. Non fu possibile interrogarlo, riuscì a mordersi un’unghia e morì poco dopo, sicuramente per il veleno che vi aveva occultato.
Qualcuno a palazzo li aveva fatti entrare e nascondere negli sgabuzzini del bagno e non ci fosse stato Ono avrebbero avuto ciò che in molti cercavano ultimamente.
Non avrei mai scoperto i mandanti, ma poco importava, sapevo cosa fare, era tempo di agire.
Due notti dopo i miei soldati hanno arrestato tutti i funzionari di palazzo che non fossero Taira e le loro famiglie.
Ho costretto Takakura a dimettersi e ho messo sul trono suo figlio, nonché mio nipote il Principe Tokihito col nome di Antoku, ha 3 anni ed io sarò il suo reggente.
Ho confiscato i beni dei funzionari e li ho costretti all’esilio in terre lontane, pena la morte se fossero tornati nella capitale.
Avrei potuto far tagliare loro la testa, ma non voglio creare troppa tensione coi clan minori dai quali molti di loro provengono.
Al loro posto ho nominato tutta gente fidata del mio clan e adesso il palazzo è nostro! … se solo potessi riavere la salute di quando ero giovane!
Pare che il Principe Mochihito sia riuscito nel suo intento. I rapporti delle mie spie parlano del fermento che percorre i castelli dei Minamoto, sarà certamente guerra.
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Il quinto anno dell’era Jisho (1180) le armate dei Minamoto scesero in campo contro i Taira.
Kiyomori, il primo samurai che era riuscito ad assumere la guida dell’Impero, aveva dato inizio a quella che sarà la guerra Gempei senza avere le forze per condurla e lasciando al figlio Munenori la guida e la difesa del Clan.
La malattia lo porterà alla morte nell’ultimo giorno d’inverno dell’anno successivo.