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sake
(immagine da https://www.gotokyo.org/it/story/guide/from-breweries-to-bars-a-guide-to-sake-in-tokyo/index.html)

Piuttosto che dir cose sagge,
è meglio bere sake
e spargere lacrime di ebbrezza

(Manyoshu, Raccolta di diecimila foglie)

La predilezione dei giapponesi per le bevande alcoliche è sicuramente nota, come anche rappresentata in numerose pellicole nelle quali abbiamo visto gruppi, tipicamente di lavoro, festeggiare in qualche locale con libagioni che vanno oltre l’abbondanza: è la nominication, neologismo creato da nomu, bere, e dal termine inglese communication, pratica considerata fondamentale per collegare i membri di un gruppo.

Primo fra tutti gli alcoolici consumati di preferenza dai giapponesi è forse la birra, seguita a ruota da alcuni prodotti della vinificazione e della distillazione, e il whisky, che ha raggiunto in Giappone delle eccellenze produttive a livello mondiale con i single malt locali.

Ma la bevenda alcolica che forse è più immediatamente legata a questo paese è il sake, o meglio il nihonshu, letteralmente liquore del Giappone, che può essere bevuto caldo o freddo, rispettivamente atsukan o hiyashi.

sake
(immagine da https://www.assosommelier.it/corsi-sommelier/corso-sul-sake/)

Non solo è legato come bevanda iconica, ma in Giappone affonda la sua fama fino ai tempi in cui gli dei dello Shinto scendevano sulla Terra per i più disparati motivi. Secondo uno di questi miti, Susanoo, figlio di Izanagi e fratello di Amaterasu, la dea del Sole da cui tradizione vuole discendano gli imperatori giapponesi, durante una di queste visite combattè contro un drago a otto teste e otto code, chiamato Orochi, e lo vinse con una sorta di stratagemma, ovvero facendo prepare otto vasche di sake con le quali lo ubriacò: tagliatolo infine a pezzi, in una delle code trovò Kusanagi no Tsurugi, la spada che insieme alla gemma Yasakani no Magatama e allo specchio Yata no Kagami, costituisce uno dei tre tesori sacri del Giappone che rappresentano rispettivamente le tre virtù valore, benevolenza e saggezza, diventati infine le insegne imperiali giapponesi fin dal VII secolo.

Il sake gioca quindi un ruolo decisamente importante nella cultura nipponica non solo per lo spirito che anima le grandi bevute quanto piuttosto per essere legato alle leggende degli dei.

Questa bevanda ha subito nella sua storia numerose evoluzioni produttive. Nell’intorno del 700 DC il sake era una bevanda dall’utilizzo soprattutto cerimoniale e veniva preparato in un modo particolarmente artigianale. L’antesignano del sake attuale, chiamato kuchikamizake, sake masticato in bocca, veniva infatti prodotto sfruttando gli enzimi naturalmente presenti nella saliva per convertire l’amido del riso in zucchero, in modo da favorirne la fermentazione. Una versione particolare, utilizzata per soli scopi cerimoniali con questa particolare tecnica produttiva è nota come bijinshu, l’alcol delle belle donne, in quanto la masticazione era effettuata solo da giovani vergini. Tale tecnica, per quanto possa risultare disgutosa al giorno d’oggi, si è protratta a lungo nelle zone rurali delle isole più remote del Giappone, come tra la popolazione degli Ainu, la popolazione indigena del nord del Giappone. Attualmente l’azione della saliva viene sostituita, fortuntamente, dall’azione di una muffa detta koji [1].

Attraverso le diverse ere della storia giapponese la produzione del sake è stata appannaggio prima della chiesa poi di privati, a tempi alterni, poi dello shogunato, fino ad arrivare al giorno d’oggi, quando la produzione è regolata per certi versi dalla Nihon Jozo Kyokai, la cosiddetta Brewing Society of Japan, semplicemente perché riferimento ufficiale per i molti ceppi di lievito che possono essere utilizzati: ne esistono ben sedici, le cui differenze si evidenziano a livello di prodotto finale (sentori fruttati piuttosto che terrosi, di cereali piuttosto che di pera o ancora di funghi secchi) ma anche in fase produttiva, in dipendenza del loro migliore funzionamento in base alla temperatura del luogo geografico di produzione.

sake
(immagine da https://www.jozo.or.jp/en/about)

Molti produttori utilizzano diversi lieviti, alcuni dei quali di proprietà del singolo produttore piuttosto che di una particolare gilda [1].

Il sake viene prodotto con l’utilizzo di elementi essenziali quali [1]

  • riso, sakamai, una varietà apposita per la produzione della bevanda
  • acqua, mizu, le cui caratteristiche organolettiche contribuiscono grandemente alla qualità del prodotto finito
  • muffa, kojikin, o più spesso chiamato solo koji, Aspergillus Oryzae, promotore della produzione del substrato zuccherino necessario alla proliferazione dei
  • lieviti, kobo, maggiormente responsabili dell’aroma e dei sentori del sake

Quello che cambia per poterne avere tipologie diverse è invece il metodo produttivo, che sebbene includa passaggi comuni e obbligatori, garantirà la produzione di quello filtrato o non fitrato, pastorizzato o non pastorizzato, diluito o non diluito, invecchiato o non invecchiato, e così via, anche grazie a particolari passaggi opzionali e caratteristici. Tra le operazioni non obbligatorie è consentita ad esempio l’aggiunta di alcol al prodotto ancora nelle vasche, dopo la filtrazione, al fine di stabilizzarlo e modificarne l’aspetto organolettico, in base allo stile di sake che si vuole ottenere e tali prodotti vengono chiamati aruten [1].

Dopo la fermentazione si separano un massa solida, costituita dagli scarti del riso, e una parte liquida, che è già considerabile sake, anche se grezzo e torbido: attraverso la pressatura si ottiene quindi il primo sake. Nota curiosa questa fase è nota con un termine a cavallo del mondo della spada (v. Il Glossario Kiryoku: Shibori, a cura di Anna Rosolini), della tintura (v. Shiboritsuki, curiosità lessicale tra spada e tintura) e del sake: è la fase dello shibori, caratteristico del metodo di pressatura alternativo al tradizionale metodo senza pressatura, detto fukurozuri, con i quali si produce in prima istanza il sake noto con il nome di shiboritate (v. Shiboritate, la prima produzione del sake).

Infine, dopo la pastorizzazione, si procede con la fase dell’invecchiamento, jukusei, che a causa della rapida ossidazione del sake, non deve essere troppo lunga, al massimo sei mesi, in modo che possa maturare dei sentori più caratteristici e marcati rispetto al sake novello. Il sake non diluito, detto genshu, raggiunge una gradazione del 20% volumetrico in alcol e quindi può essere diluito con acqua per un uso più commerciale.

sake
(immagine da http://www.nakano-group.co.jp/tour/sakagura/shibori/en)

Fino al 1989 il sake veniva classificato in tre categorie basate su quanto il produttore poteva permettersi di pagare in tasse per la classificazione,  detta kyubetsu seido:

  • Tokkyu, categoria speciale
  • Ikkyu,  prima categoria
  • Nikkyu, seconda categoria

Al giorno d’oggi invece la classificazione di questa bevanda è diventata alquanto complessa e variegata, come per abitudine nipponica, in quanto basata sulla misura della raffinazione del riso e costituisce una vera e propria piramide qualitativa del sake, mentre una classificazione più commerciale è basata sul metodo produttivo, il quale fornisce particolari caratteristiche derivate dai particolari processi:

  • Genshu: sake prodotto saltanto il processo di diluizione
  • Nigorizake: non filtrato, dall’aspetto lattiginoso
  • Kassei Nigori: fermentato in bottiglia, quindi senza pastorizzazione, un Nigori frizzante
  • Orizake o Origarami: simile al Nigorizake ma con particelle più fini, è un tipo di sake più raro
  • Namazake:sake che ha subito fino a due pastorizzazioni
  • Muroka Nama Genshu: letteralmente non pastorizzato, non filtrato, non diluito
  • Happoshu:simile a Kassi Nigori, sake frizzante più noto con il termine Sparkling sake, sake frizzante, spesso chiamato con il nome inglese non essendo un prodotto della tradizione nipponica, può essere prodotto per addizione di anidiride carbonica
  • Taruzake: affinato in botti, taru, di cedro giapponese
  • Sake Rossi: ottenuti da utilizzo di riso rosso, o per arricchimento con cenere rossa, o preparato con koji o con lieviti rossi
  • Jukuseishu e Koshi: sake invecchiati, rispettivamente fino a tre anni e oltre i tre anni, ma in genere non oltre i cinque
  • Kijoshu: sake da dessert (v. Itadakimasu – Nihon Riori for Dummies: I dolci a base di riso e soia, di Cristina Gioanetti), spesso invecchiato, più corposo, viscoso e dolce
  • Doburoku: antico sake non filtrato delle zone rurali, la cui produzione fu proibita in epoca Meiji (1868-1912). Dal 2004 la sola città di Tono ha ottenuto nuovamente la concessione governativa per la produzione di questo sake

Ci sono infine una buona serie di Sake Stagionali, la cui classificazione è basata sul tempo di maturazione e quindi di immissione sul mercato:

  • Akiagari: prodotto in inverno, maturato fino all’estate, commercializzato in autunno
  • Hiyaoroshi: simile all’Akiagari ma senza la seconda pastorizzazione
  • Shiboritate: sake ottenuto dalla prima pressatura, molto fresco e beverino
  • Shinshu: traducibile come nuovo sake, è prodotto nei primi due mesi dell’anno (l’anno di calendario del sake inizia a giugno e termina il maggio successivo)
  • Hatsushibori: il primo sake dell’anno
  • Kizake: traducibile con sake vivo, non viene pastorizzato quindi mantiene vivi gli enzimi presenti, molto delicato, da consumare interamente una volta aperto
  • Natsuzake: sake immesso sul mercato in estate, natsu.

Con tutte queste varietà e tipologie di produzione è chiaro che il sake ha perso gran parte dell’originale valore cerimoniale, anche se ancora presente per esempio nei matrimoni shintoisti. Oggi viene di rado servito durante i grandi pasti, ma resta comunque abbinato al cibo un po’ come il vino, e sono diventati popolari anche i cocktail a base di sake, come Sake Rickey, Sake-tini, Mojito di sakè, Svadka, e molti altri [3].

sake
(immagine da https://www.asakusajinja.jp/en/shinzen/yurai/)

Come tutte le arti e le produzioni giapponesi, l’estetica è importante anche per potersi solo gustare un bicchiere di buon sake. Tipicamente venduto in bottiglie, spesso molto grandi, viene abitualmente versato in piccoli recipienti di ceramica simili a piccoli vasi, detti generalmente tokkuri, o da contenitori piccoli e bassi più simili alle nostre salsiere, detti katakuchi, o da bottiglie modellate a forma di zucca, detti hisago. Da questi piccoli contenitori il sake viene quindi versato per la degustazionea in piccoli bicchieri detti choko, oppure guinomi se leggermente più grandi, o in bicchieri di legno a forma di scatola detti masu, o ancora in particolari piattini, sakazuki, utilizzati spesso nell cerimonie pù formali.

Il sake può essere servito freddo a circa 10°C, detto reishu, a temperatura ambiente o caldo a circa 50°C, detto atsukan, a seconda delle preferenze personali, del tipo di sake e della stagione. L’atsukan viene riscaldato dopo essere travasato in un tokkuri e posto a bagnomaria in un contenitore metallico apposito, detto chirori, a forma di caraffa con un manico appositamente realizzato per potersi comodamente agganciare alla pentola nel quale verrà riscaldato a bagnomaria.

sake
(lele bo)

Non solo tipico dell’arte della spada, le norme di etichetta ovvero il Reiho (v. Il Glossario Kiryoku: Reiho,  di Anna Rosolini) costituiscono un aspetto fondamentale della cultura giapponese, e non mancano quindi di caratterizzare anche la semplice convivialità di una piacevole bevuta in compagnia, che si tratti della già citata nominication, basata su usi e costumi un po’ più severi, o un semplice riguardo in occasioni meno formali ma non per questo meno dense di significato.

Ricordiamoci allora che è bene [2]

  • Non versarsi mai da bere da soli: in Giappone servirsi da bere da soli non è visto di buon occhio e può dare una brutta impressione ai presenti, quindi si lascia che sia un altro a versare da bere nel proprio bicchiere e poi si ricambierà il gesto, mentre nelle cene di lavoro è consuetudine che i subordinati lo facciano per i loro superiori
  • Non bere prima degli altri: è considerato maleducazione, in Giappone come nel resto del mondo
  • Al primo giro, ordinare tutti lo stesso drink: solitamente un bel boccale di birra, ma non è una regola ferrea, si è comunque liberi di ordinare qualcosa di diverso dagli altri
  • Kanpai: ogni bevuta che si rispetti inizia con un bel brindisi, al grido di kanpai, e per consuetudine è bene alzarsi in piedi  in modo da poter brindare anche con le persone più lontane
  • Non bere dalla bottiglia: in Giappone è una cosa abbastanza scortese. Se si beve direttamente dalla bottiglia si infrange la regola del servirsi reciprocamente e poi i drink sono fatti per essere condivisi, quindi bevendo dalla bottiglia si darebbe l’impressione che quello che si sta bevendo è solo per se stessi

Potersi gustare al meglio un buon sake prevederebbe di saper leggere le complicate etichette apposte su queste bottiglie e che forniscono tutti i dettagli della produzione, della classificazoine, del tipo di servizio, della temperatura, dell’acidità, del contenuto in alcol, della densità e altre mille valori per definire al meglio il prodotto. Per avvantaggiarci invece di etichette e descrizioni più comprensibili, tra evoluzione, sperimentazione e globalizzazione, potremmo avvicinarci alla produzione di sake nostrano: d’altronde siamo un Paese forte esportatore di riso, anche se non tradizionalmente destinato ai prodotti della fermentazione.

Aziende come Riso Sake hanno unito l’antica tradizione risicola pavese e quella nipponica del nihonshu, o come l’azienda Gli Aironi che partita con la produzione di birra di riso e passata successivamente alla produzione di sake italiano, frutto della sperimentazione con il riso nero vercellese per la creazione di un sake particolare, scuro, non trasparente, che al primo impatto lascia emergere i tipici sentori legati alla fermentazione birraia, con note fruttate e poi speziate.

E allora non resta che versarci reciprocamente un po’ di sake nel nostro choko, alzarci in piedi e… kanpai!

sake
(immagine da https://www.nippon.com/en/japan-data/h00393/sake-exports-sparkle-setting-new-record-in-2018.html)

lele bo

FONTI

[1] Sake – Storia, Produzione, Curiosità – Guido M.Poggia

[2] https://gogonihon.com/it/blog/cultura-del-bere-in-giappone/

[3] https://www.esquire.com/it/lifestyle/food-e-drink/a20950541/sake-come-bere/

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