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ando tatdao
immagine da https://www.gettyimages.it/immagine/tadao-ando

Nella musica il silenzio è altrettanto potente rispetto ad una nota suonata, nel sumi-e il vuoto è altrettanto evocativo rispetto alla pennellata di inchiostro nero. Il vuoto, nella cultura giapponese, è spesso un elemento fondamentale grazie allo Zen, ed elementi di questo pensiero sono stati mediati anche nell’arte della spada, basti pensare alle parole di Takuan Soho relative alla condizione di mushin, stato di una persona quando la sua mente abbandoni ogni pensiero e giudizio durante il combattimento, o nella vita quotidiana, diventando libera di agire e di reagire, senza esitazioni, nei confronti di un avversario. Questo vuoto non è la semplice mancanza di qualcosa, ma è frutto di allenamento e disciplina, è il risultato di studio e applicazione. Come quello che caratterizza le opere di Ando Tadao, architetto giapponese contemporaneo dalla fama ormai planetaria.

ando tatdao
immagine da https://kiryoku.it/recensione-takuan-soho/, di Vittorio Secco

Ando è nato a Osaka, in Giappone, il 13 settembre 1941, e dalla città natale si è presto spostato a Kyoto e a Nara, per studiare in prima persona i grandi monumenti dell’architettura tradizionale giapponese.

Non è facile reperire informazioni sulla sua vita: visse i primi anni della sua vita con i nonni materni in campagna, separato dal fratello gemello Takao Kitayama, che diventerà un apprezzato developer nel settore di avanguardistici centri commerciali e che collaborerà spesso con Tadao, e lontano dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Dopo il conflitto si trasferì con la sua famiglia nel quartiere di Asahi, ricco di botteghe vetraie e di falegnamerie. Qui il giovane Tadao ebbe modo di conoscere molti materiali da costruzione e visionare direttamente i carpentieri in azione. Iniziava così a nascere dentro di lui un piccolo interesse per il mondo dell’edilizia e dell’architettura, e fu particolarmente colpito dal duro impegno che questi artigiani applicavano al lavoro. La maggior parte delle fonti indicano un passato lavorativo piuttosto variegato: a diciassette anni infatti interruppe gli studi e intraprese la carriera di pugile professionista e successivamente lavorò come camionista. Tutte però concordano sulla sua formazione autodidatta, fortemente influenzata dall’architettura tradizionale giapponese, con una forte matrice artigianale, da cui proviene un’accurata conoscenza diretta delle caratteristiche di molti materiali da costruzione che gli deriva dalla frequentazione, fin dagli anni dell’adolescenza, delle botteghe di Asahi, dove è cresciuto.

Il primo incarico arrivò quando era solo ventenne, e per il quale si dedicò in veste di artigiano al progetto d’interni per un night club. Entrò in seguito a far parte della Gutai Bijutsu Kyokai, l’Associazione Artistica Gutai, grazie alla quale maturò l’interesse per l’arte sperimentale a scapito della pittura tradizionale.

Tra il 1960 e il 1969 intraprese numerosi viaggi di formazione in giro per il Giappone, sulle tracce dei templi e delle case da tè, per lasciare poi la sua nazione alla volta di Mosca, delle più importanti capitali europee, degli Stati Uniti e dell’Africa, per apprenderne l’architettura e la storia, così come le diverse tecniche occidentali.

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Casa Tomishima, immagine da https://www.area-arch.it/itinerario/tomishima-house

Tornato in patria, alla fine degli anni Sessanta, fondò infine il proprio studio ad Osaka, il Tadao Ando Architect and Associates, trasformandolo prima in un luogo d’incontro per giovani architetti e, molti anni dopo, in una fondazione per la promozione dell’esperienza didattica all’estero.

Gli anni Settanta lo videro impegnato nella progettazione di numerose abitazioni unifamiliari, tra cui si ricordano la casa Tomishima a Osaka (1973), poi divenuta sede del suo studio di architettura, la casa Sumiyoshi (1976), una piccola residenza a schiera che esprime il desiderio di Tadao Ando di riformare la società attraverso l’architettura, maturata sulla scorta dei disagi legati all’inadeguatezza dell’abitazione della sua infanzia, o le case Azuma (1979) e Koshino (1980) a Osaka. Sono tutte esperienze da cui iniziano a emergere i tratti comuni all’intera produzione di Ando: l’importanza assegnata al muro, pienamente manifestata con successivi progetti a carattere religioso, e il ruolo cruciale del cielo.

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Casa Azuma, immagine da https://www.metalocus.es/en/news/row-house-sumiyoshi-azuma-house-tadao-ando

Nel decennio successivo l’architetto giapponese firmò una serie di complessi che lo portarono alla ribalta della scena internazionale: dopo cinque anni di lavoro, nel 1983 concluse la costruzione dell’insediamento residenziale “Rokko I”, abbarbicato su un terreno scosceso lungo il fianco del monte Rokko da cui si gode il panorama della baia di Osaka, in direzione di Kobe. Per lo stesso luogo disegnerà nei successivi trenta anni non solo gli ampliamenti del complesso, che oggi ricopre quasi interamente il fianco dell’altura, ma anche, nel 1986, la Cappella dei Venti, a cui fanno seguito quella sull’Acqua realizzata a Hokkaido nel 1988 e la Chiesa della Luce di Osaka. L’intero progetto del complesso si sviluppò proprio dalle esperienze di Ando acquisite durante i suoi viaggi attraverso l’Europa e basate sulle unità abitative, le quali cominciarono a denotare quelle caratteristiche tipiche della sua arte, realizzate con elementi semplici, che interagiscono con la natura e con gli elementi, spesso chiave di lettura di molti suoi progetti, come l’acqua per il centro commerciale “Time’s” realizzato a Kyoto nel 1984, ancorato lungo le banchine del fiume Takase e sagomato a ricordare il profilo di un’imbarcazione.

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Rokko, immagine da http://www.tadao-ando.com

La fama di Ando è in crescita, quando negli anni Novanta cominciarono ad arrivare incarichi prestigiosi quali la progettazione del Museo d’Arte Contemporanea di Naoshima (1988-1992), il tempio sull’acqua di Hompuku-ji a Hyogo (1989-1991), il Padiglione Giapponese all’Expo di Siviglia (1989-1992), che reinterpreta l’architettura tradizionale in legno attraverso le tecnologie contemporanee, la sede della Pulitzer Foundation for Arts a Saint Louis, nel Missouri, USA (1991-2001), il Centro Ricerche sulla Comunicazione Benetton denominato “Fabrica” (1992-2000), costruito a Treviso intorno a una villa palladiana del XVI secolo che, restaurata e sottoposta a interventi per la conservazione, diventò il fulcro di tutto il nuovo insediamento, interrato per non turbare il bucolico ambiente in cui è inserito, il Modern Art Museum a Forth Worth, in Texas, USA (1997-2002), che ripropone ancora il tema dell’acqua grazie ad un lago artificiale su cui si specchiano ampie superfici vetrate.

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Padiglione Giapponese Expo Siviglia, immagine da https://architectboy.com/japan-pavilion-tadao-ando/

Gli anni Duemila costituirono invece quasi un ritorno alle origini, durante il quale ritornò il tema mai abbandonato della casa unifamiliare giapponese, grazie interventi come la casa 4×4 a Hyogo (2001-2003), costituita da una piccola torre in cemento armato affacciata sul Mare Interno e che affronta il tema della riduzione al minimo degli spazi vitali, limitazione imposta in realtà dalla scarsità di terreno disponibile.

I suoi studi sull’architettura tradizionale giapponese e moderna hanno avuto una profonda influenza sul suo lavoro e hanno portato a una miscela unica di queste ricche tradizioni. Le sue opere gli sono valse le cariche onorarie delle Accademie di Architettura di sei Paesi, oltre ad essere stato visiting professor presso le università di Yale, Columbia e Harvard, e ricevendo infine la nomina come Professore di Architettura all’Università di Tokyo nel 1997.

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Casa 4×4, composizione immagini da https://atelier-ygrec.com/4×4-house-tadao-ando e https://archestudy.com/4×4-house-by-tadao-ando/

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Casa Benesse, immagine da http://www.tadao-ando.com

Ando ha realizzato opere architettoniche in tutto il mondo, ricevendo numerosi premi tra i quali la medaglia intitolata ad Alvar Aalto che gli venne conferita dall’Associazione Nazionale degli Architetti Finlandesi nel 1985, il prestigioso Pritzker Architecture Prize nel 1995, la Medaglia d’Oro dell’American Institute of Architects nel 2002, e il Premio Kyoto alla Carriera nelle Arti e nella Filosofia, così come onorificenze internazionali come il Premio Imperiale per l’Architettura a Tokyo nel 1996, e insignito Commendatore degli Ordini delle Arti e delle Lettere e della Legion d’Onore in Francia, e Grande Ufficiale dell’Ordine della Stella d’Italia nel 2013, la nostra seconda onorificenza civile dello Stato conferita a coloro che che hanno acquisito particolari benemerenze nella promozione dei rapporti di amicizia e collaborazione tra l’Italia e gli altri Paesi e nella promozione dei legami con il nostro Paese.

Mi ha sempre affascinato la sua architettura, basata su elementi semplici realizzati con cemento a vista, espressione di quel minimalismo tipico, ma così d’impatto, dell’arte giapponese e diventato caratteristico del grande architetto, fortemente influenzata dal modernismo di Le Corbusier, anche lui autodidatta e per il quale Ando ebbe una vera e propria folgorazione, ma in armonia con l’ambiente naturale e con profonde radici ancorate nella spiritualità degli spazi dell’architettura nipponica.

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Casa Kidozaki, immagine da http://www.tadao-ando.com

E sicuramente queste peculiarità hanno fatto che si che la sua arte diventasse presto conosciuta e apprezzata anche fuori dai territori nazionali, condizione che permise a Ando di continuare ad esprimere la sua estetica anche in spazi più pubblici, a mano a mano che la sua reputazione si diffondeva. Instancabile progettista, a partire dagli anni Novanta e negli anni Duemila le sue opere trovano dimora in tutto il mondo, come a Parigi dove realizza lo Spazio di Meditazione dell’UNESCO e successivamente rinnova l’edificio della Bourse de Commerce, a Milano il Teatro Giorgio Armani, la ristrutturazione di Palazzo Grassi e Punta della Dogana a Venezia, la Scuola d’Arte, Design e Architettura presso l’Università di Monterey in Messico, il Poly Grand Theater a Shangai e l’ He Art Museum a Shunde, ancora in Cina, oltre a diverse altre sedi istituzionali in patria.

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Poly Grand Theater, immagine da https://www.villegiardini.it/tadao-ando-larchitetto-del-cemento

Ma la semplicità e il minimalismo di Ando non sono semplici operazioni di cancellazione degli eccessi, riflettono invece quelle caratteristiche che rendono estremamente godibili le opere di qualsiasi arte attraverso sensazioni che non esprimono direttamente, attraverso emozioni suscitate dai silenzi, dai vuoti, mai sterili ma rappresentazione di quelle espressioni che “veicolano una chiara immagine critica della proposta attraverso forme semplici, favorite dalla geometricità degli spazi. (La sua opera) contiene sempre un’audace proposta di vita o un elemento di critica sociale. […] Ma l’architettura di Ando non è minimalista: è vero che si basa su scatole prive di ornamenti, ma i muri spogli accrescono l’immaginazione e sollecitano l’empatia dell’osservatore proprio perché nudi” (Masao Furuyama, autore della retrospettiva Ando dedicata all’architetto).

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Sakura Square, immagine da http://www.tadao-ando.com

Molto umilmente mi tornano in mente tutti gli insegnamenti ricevuti sul tema della “ripulitura”, una volta imparata la sostanza di qualcosa, sull’eliminazione delle ridondanze per mantenere l’essenzialità efficace, tema che ritorna ogni volta che guardo da completo neofita opere di arti di cui non so nulla ma che presentano alla mia mente questo tratto particolare del vuoto, senza il quale non si potrebbe apprezzare la sostanza.

Gli studi di Ando relativi alla tradizione giapponese uniti alla sua spinta innovativa lo hanno portato a ripensare tecniche e soluzioni classiche rivisitate secondo la sua estetica, che conferisce alle sue opere un carattere quasi “artigianale” nella definizione dei dettagli. Ne sono un esempio l’uso e la forma dei materiali: Ando utilizza quasi esclusivamente il cemento a vista, con casseforme che si basano su moduli dalla dimensione del tatami giapponese, 6×3 shaku (180×90 cm circa), e lo associa spesso al legno e alla pietra. È noto per uno stile esemplare che evoca in modo tipicamente giapponese la materialità, il collegamento e la lettura degli spazi, e i suoi edifici sono spesso caratterizzati da volumi stereometrici attraversati da complessi percorsi tridimensionali, che si incrociano tra spazi interni ed esterni, con un elemento fondamentale sempre presente, la luce, che contribuisce a definire il carattere degli spazi.

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Casa Koshino, immagine da https://evermotion.org/vbulletin/showthread.php?123178-The-Koshino-House

La semplicità, il rigore, il sentimento interiore, sembrano tutte caratteristiche derivanti dalla filosofia Zen, e si mostrano come segno distintivo nelle opere dell’architetto giapponese, che sottolinea sempre l’associazione tra natura e architettura, con l’obiettivo di permettere alle persone di sperimentare facilmente questo connubio: ritiene infatti che l’architettura sia responsabile dell’esecuzione dell’atteggiamento del sito e lo renda visibile. Ciò non solo rappresenta la sua teoria del ruolo dell’architettura nella società, ma mostra anche perché trascorre così tanto tempo a studiare l’architettura dall’esperienza fisica.

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Testa del Grande Budda, Makomanai Takino Cemetery, immagine da http://www.tadao-ando.com

Alla fine, per chi esiste l’architettura? Dato che è usata dalle persone, ha stretti legami con il corpo. (…) I nostri corpi percepiscono tutti gli elementi, come l’aria e i materiali. L’ho imparato osservando incessantemente l’architettura. Ad esempio, la Villa Katsura è una rinomata residenza aristocratica, e abbiamo anche bisogno di questo tipo di edificio, ma non è l’unico tipo. In piccoli spazi, come le case machiya, si trova uno tsubo-niwa (un piccolo cortile), dove entra luce e ombra e cade la pioggia. Tutte le esperienze che abbiamo in questo spazio sono qualcosa di importante per me. L’architettura dovrebbe fornire un luogo al senso di gioia dell’umanità. Altrimenti, i nostri corpi non ne sono attratti.

(Tadao Ando, tratto da una conversazione con Frédéric Migayrou, traduzione di Inexhibit)
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Tsubo-niwa, immagine da https://www.kyotojournal.org/gardens/tsubo-niwa-japanese-courtyard-gardens

lele bo

FONTI

– http://www.tadao-ando.com

– https://www.clarkart.edu/microsites/tadao-ando-architect/biography

– https://www.domusweb.it/it/progettisti/tadao-ando.html

– https://www.inexhibit.com/it/architects-artists/tadao-ando/

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