CCII2024
Fotografie © PierVittorio Pozzo
di Andrea Cauda

Nuovo anno, nuovo appuntamento coi Campionati italiani, in quel di Modena.

in questo articolo non mi concentrerò sulle prestazioni o sui risultati, che in un modo o nell’altro fanno sempre da contorno a qualcosa di più importante e significativo.

C’è chi riesce ad esprimersi al meglio e chi invece soffre di più la pressione della gara; in questo blog si è cercato di dare numerosi consigli e strategie per provare ad affrontare queste situazioni, spero che ognuno riesca a recepirne anche solo un pezzettino per far crescere la propria pratica.

Quello di cui sono personalmente più contento sono i numeri. Esatto, la quantità più che la qualità.

Finalmente, dopo diversi anni in cui i partecipanti erano più o meno sempre gli stessi e i numeri non particolarmente entusiasmanti, quest’anno gli iscritti sono tornati ad esser numerosi con tanti ritorni e tanti volti nuovi. Peccato per alcune defezioni, alcune dell’ultim’ora, ma ciò che conta è stata la volontà di iscriversi e mettersi in gioco, sappiamo che poi la vita è fatta di imprevisti.

Non so se sia un segnale di qualcosa, anche se coincide anche col più alto (credo) numero di iscritti alla Selezione della Nazionale da sempre, circa 73 praticanti.

Questo non può che farci gioire e sentire soddisfatti, sperando che non sia un evento unico e raro, ma l’inizio di una nuova fase del movimento italiano.

Più iscritti ci sono, maggiori sono le possibilità di crescita. Ma dobbiamo partire dalla quantità appunto, per costruire anche la qualità. In Italia siamo fortunati, abbiamo tanti gradi alti, diversi incontri e seminari annuali, sia federali che privati, anche con Maestri stranieri e giapponesi e una Federazione che supporta il movimento.

Quindi la qualità e le basi per costruire e portare avanti qualcosa di buono c’è e sono convinto ci sarà anche in futuro.

Quello che mancava un po’ ultimamente erano i numeri, ossia persone nuove che si affacciano alla scena nazionale e alle competizioni, mettendosi in gioco, perdendo e imparando (si spera) anche dalle sconfitte o dalla mancata selezione per i Campionati Europei che io e Andrea dovremo fare, perché solo in questo modo si può crescere tutti insieme.

Perché darsi nuovamente una possibilità o crearne una nuova, che sia abbiamo 16 anni o 70 è fondamentale anche per coinvolgere altre persone e i propri compagni di dojo. I gruppi, come sappiamo, funzionano così.

Non posso sapere se nei singoli dojo ci sia stata maggiore spinta o attenzione da parte degli Istruttori o se ci sia un generale rinnovato interesse, ma invito tutti a non sottovalutare questa parte. Troppo spesso, infatti, negli anni abbiamo visto fazioni, dissidi, contrasti spesso basati sul nulla o su scelte non condivise. Nel momento in cui lasciamo che un modo di fare troppo “politico” (?), rigido e conservativo prenda il sopravvento, non possiamo pensare di costruire un futuro piacevole e sereno, perchè non siamo su un luogo di lavoro, ma stiamo tutti cercando (con errori e incertezze) di fare al meglio ciò che ci piace e appassiona, e per questo dovremmo quantomeno esser tutti focalizzati sullo stesso obiettivo, con ovviamente modi di fare, insegnare e imparare differenti, proprio per l’intrinseca natura umana.

Quindi partecipiamo, coinvolgiamo e attiriamo sempre più persone a questi eventi. Non solo ai seminari per mantenere una qualche qualifica federale, che perde completamente di senso proprio per questo motivo.

D’altronde, come possiamo vedere tutti i colori del mondo se rimaniamo chiusi nella nostra stanza?

Andrea Cauda


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Fotografie © PierVittorio Pozzo

Gara a squadre – Il coraggio di alzare la bandierina

di Andrea Setti

Anche quest’anno i Campionati Italiani di Iaido sono terminati offrendo, come al solito, un’occasione unica per confrontarsi, osservare e crescere. Normalmente quando parlo di iaido mi metto sempre dalla parte del competitore, dopo quasi vent’anni di gare e nazionale penso sia del tutto normale ragionare un po’ a senso unico.

La verità è che quest’anno, per la prima volta, ho affrontato il campionato con una consapevolezza diversa, molto più sbilanciata verso l’arbitraggio che verso la competizione. Questo è il sesto anno che mi trovo a essere sia competitor che arbitro durante questo evento, con tutto il trambusto che provoca questa cosa. 

Potete infatti immaginare quanto sia impegnativo dedicarsi al 100% all’arbitraggio quando si è molto concentrati anche sulla gara. Chi come me ha provato quest’esperienza sa che non è semplice partire subito con gli shihai senza un minimo di riscaldamento, per poi cambiarsi al volo e correre dall’altra parte e arbitrare. Senza contare poi che chi riesce ad arrivare in finale deve poi correre nuovamente a cambiarsi a fine giornata tornando a vestire gli abiti del competitor. Non è semplice rimanere concentrati e dimostrare il 100% delle proprie iaido skills in un contesto di questo tipo.

Quest’anno però sono riuscito a dedicarmi all’arbitraggio al massimo e con un occhio molto critico, considerato anche che questa attività risulta davvero utile per poter valutare il livello degli atleti ai fini di una corretta selezione della nazionale. 

Nella gara individuale è stato bellissimo vedere parecchie new entry nelle categorie KYU e 1° DAN, nuova linfa fondamentale per alimentare la diffusione dello iaido in Italia. La cosa però che mi è piaciuta di più è stata arbitrare la categoria dei 3° DAN, che quest’anno mi hanno davvero stupito mettendomi in seria difficoltà in alcuni incontri specifici.

Vengo però al punto oggetto del titolo di questo breve articolo: il coraggio di alzare la bandierina. Quest’anno durante la gara a squadre ho avuto un dubbio durante un incontro (non cito i nomi dei competitor per questioni di privacy) che, nello specifico, vedeva un 4° impegnato contro un 2°. I due competitor hanno fatto complessivamente un buono shihai però…

Il 4° DAN è stato un po’ più impreciso del 2° ma ha dimostrato decisamente uno spirito maggiore. Sono stato seriamente indeciso sul da farsi e, alla fine, non ho avuto il coraggio di premiare il competitor di grado inferiore e il 4° DAN ha vinto 2 a 1, quindi il mio voto avrebbe potuto fare la differenza.

Quello che voglio cercare di trasmettere non deve portare la vostra attenzione sul giudizio che, giusto o sbagliato che sia, resta sempre un giudizio sincero e che si basa sulla riflessione individuale da arbitro di quel preciso momento. Voglio però invece farvi riflettere sull’importanza della gara a squadre, unica occasione che abbiamo in Italia in cui è possibile vedere incontri con competitor di gradi diversi.

Quello che succede in maniera del tutto naturale è che il competitor di grado più basso spesso riesce a tirare fuori un livello più alto del suo normale standard, perché si sente libero di esprimersi nel massimo dello spirito visto che è portato a pensare di aver già perso in partenza con un grado più alto del suo. Allo stesso modo anche il competitor di grado più alto cerca di tirare al massimo delle sue possibilità perché, diciamocelo, a nessuno fa piacere perdere con una persona che ha meno anni di pratica sulle spalle.

Questa situazione specifica scatena un meccanismo di crescita eccezionale per i due competitor ma anche per chi è chiamato ad arbitrare questo tipo di incontri. Avere il coraggio di lasciarsi andare impegnandosi a vincere un incontro con un avversario tecnicamente più preparato è qualcosa di prezioso e che ci aiuta tantissimo a crescere nella nostra pratica. Così come avere il coraggio di alzare quella bandierina per premiare chi ha elevato il proprio livello competendo alla pari, se non meglio, di un atleta di grado superiore costituisce un’esperienza incredibile e preziosa anche per un arbitro.

Auguro a tutti di trovare quel coraggio, sia ai competitor che agli arbitri. Perché è una componente fondamentale e meravigliosa della nostra crescita personale e di pratica.

Andrea Setti

CCII2024
Fotografie © PierVittorio Pozzo

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