Andando avanti e indietro con il Presidente Navilli per le varie riunioni CIK abbiamo chiacchierato delle differenze che ci sono fra il mondo dello iaidō e del kendō. 

In effetti il mondo dello iaidō sente molto di più il legame con il Maestro scelto, che costituisce un punto di riferimento per lo studio di koryū e non solo. Questo aspetto il mondo del kendō lo ha in parte perso.

Molti dōjō di iaidō  inoltre sono affiliati in modo ufficiale e chiaro (diretto o indiretto)  ad un hombu dōjō ed hanno quindi un legame “tradizionale” e formale con uno shishō.

Questo rende il mondo dello iaidō un po’ diverso dal quello del kendō, dove la modernizzazione ha fatto perdere questo tipo di legami.

Il sistema di affiliazione (jikimon) è un sistema tradizionalmente in uso nelle arti marziali giapponesi ma poco capito dal mondo europeo, come spesso si dimostra anche all’interno del nostro gruppo e forse vale la pena di definirlo meglio. Peraltro ci ho messo molto tempo anch’io a capire come funziona e non sono sicura di averlo compreso appieno neppure oggi, ma so di aver fatto molti errori lungo il percorso proprio per mancanza di informazioni e di comprensione.

È normale nella pratica del budō tradizionale che esista un insegnante di riferimento (shishō) di alto livello a cui i praticanti si rivolgono e a cui  ispirano la propria pratica. Questo era evidente nei periodi storici passati ma lo è ancora oggi. Per la cultura giapponese l’ordine, l’importanza della gerarchia e l’appartenenza ad un gruppo sono concetti normali.

Il Giappone nonostante la modernizzazione rimane una società gerarchica legata alle antiche tradizioni che sono vive e condizionano il presente. La gerarchia del Giappone moderno ha una struttura secondo una stratificazione “verticale” in base alle istituzioni. L’identità di un soggetto è determinata dal ruolo che assume in una particolare istituzione  o gruppo piuttosto che dal suo status individuale. Per questo è più probabile che un giapponese nel presentarsi specifichi l’azienda la scuola il gruppo a cui appartiene. “La gerarchia stabilisce i compiti all’interno di un gruppo il cui scopo ultimo dovrebbe essere l’armonia”

– Nakane Chie, La società giapponese, Raffaello Cortina Editore

Nel budō si ritrovano questi concetti in modo molto evidente.  Per un giapponese che pratica in un dōjō, adeguarsi a queste norme è facile, non ha che da replicare le regole di comportamento, che già applica sotto altra forma nella sua vita sociale, ma per noi europei lo scontro con le regole di comportamento tradizionali può essere piuttosto difficile poiché la nostra cultura ci ha abituati in altro modo nei nostri rapporti quotidiani.

Entrare in un sistema Jikimon quindi vuol dire entrare a far parte di un sistema giapponese piuttosto complesso per i suoi modi tradizionali e le sue consuetudini che ci sono culturalmente estranee e quindi di difficile comprensione. Studiare con un Maestro giapponese comporta però comprendere questi legami e dovercisi adattare.

“Ji ri ichi”, ovvero “theory and practice as one” secondo la traduzione di Andy Watson sensei.

Incomincio dalle parole che spesso il Maestro Vitalis usa per spiegare il concetto: “The Jikimon system is not a system of “shopping”. You cannot start with one Jikimon and then change to another one, and then maybe again change.”

 Lo stesso concetto a maggior ragione si applica alla scelta del Sensei di riferimento. Scegliere di appartenere ad una linea di insegnamento è una cosa che i giapponesi ritengono definitiva e vincolante, per questo andrebbe fatto non con leggerezza ma sapendo a cosa si va incontro e quali sono le regole. Se si sceglie di entrare a far parte di una “famiglia di budō” questo legame deve essere portato avanti fino a quando eventi ineluttabili non lo rendano più possibile.

Non è possibile per esempio cambiare idea e affiliarsi a volte sì e a volte no. Se si esce dal gruppo (cosa che può verificarsi per mille motivi) lo si fa con la consapevolezza che la scelta è definitiva non c’è più modo di tornare indietro. Se smettiamo di studiare all’interno di una linea di insegnamento e cominciamo a seguire altre persone questo è definitivo, non ci sono spazi di ritorno se la nostra linea di insegnamento è di stampo tradizionale.

È evidente che i gradi bassi  inizialmente non scelgono in modo chiaro  una linea ma seguono le scelte del loro insegnante di riferimento. Arrivati a terzo dan (o attorno a questo grado) la scelta deve però essere più consapevole, bisogna conoscere direttamente il Sensei e i Senpai del gruppo di riferimento e decidere: rimango nella linea di insegnamento o ne scelgo una mia staccandomi da quella dei miei insegnanti? 

Bisogna essere consapevoli che la scelta è da lì in avanti vincolante e quindi pensarci bene.  L’anno scorso abbiamo avuto modo di entrare in contatto con questi concetti attraverso le difficoltà di un nostro compagno di pratica che manifestava il desiderio di uscire dalla lista e quindi  sentire direttamente quali sono le conseguenze che gli sono state indicate.

È vero che ci sono esempi di persone in Europa  che hanno cambiato Maestro di riferimento e anche esempi di persone che sono usciti da un sistema e ne sono semplicemente rimaste fuori,  quindi l’affermazione vincolante va presa non come una verità assoluta ma dipendente da quanto è tradizionale il sistema che si segue. Per esempio per la linea di riferimento che seguiamo noi l’affiliazione è considerata una scelta  vincolante.

Che vantaggi ci sono a far parte di un sistema formalizzato di questo tipo ( i vantaggi sono molto più ampi di quanto sintetizzo qui sotto):

  • si studia ovviamente koryū in modo approfondito secondo gli insegnamenti del Maestro.
  • si può andare in Giappone e studiare nel dōjō del Maestro con lui o con i suoi allievi (già questo, come dico spesso, giustifica qualsiasi vincolo poiché solo in questo modo ci si rende veramente conto di quante cose ci sono nel mondo dello iaidō e della scarsa profondità di pratica che abbiamo tutti noi. Per quanto ci possiamo applicare riusciremo ad approfondire solo una parte del mondo dello iaidō rispetto alle conoscenze del Sensei)
  • se noi o altri appartenenti alla lista andiamo in Giappone per un po’ di tempo, in altri luoghi rispetto a dove è collocato il dōjō centrale, possiamo essere presentati formalmente  dal Maestro ad altri insegnanti giapponesi se il Maestro lo ritiene opportuno
  • Si fa parte di un network in cui c’è spesso collaborazione reciproca e scambio di informazioni sul mondo dello iaidō/jodō e la sua cultura. Nel gruppo dovrebbero svilupparsi relazioni di amicizia e cooperazione.

Ci sono ovviamente delle regole da rispettare che sono formalizzate, per esempio (anche in questo caso ci sono questioni molto più profonde di quanto sintetizzato di seguito) :

  • comportarsi sempre in modo corretto sapendo che il proprio comportamento si riflette su tutta la “famiglia”
  • seguire le regole indicate (e ovviamente intendere la propria scelta come definitiva)
  • non studiare koryū con altre linee di insegnamento
  • seguire l’iter  corretto per andare in Giappone o fare richieste al Sensei
  • comunicare al Maestro le attività importanti fuori dal proprio dōjō in particolare se queste riguardano koryū o riguardano nuovi dōjō che manifestano l’interesse ad affiliarsi e verificare se questo è fattibile
  • contribuire con una quota di affiliazione annuale se richiesta o partecipare nel momento in cui si organizzano dei regali collettivi  per il Maestro su iniziativa del Jikimon a cui si fa riferimento (poiché questo è un aspetto delicato per noi europei devo precisare che ci possono essere  differenze sensibili a seconda della linea di appartenenza rispetto all’impegno economico richiesto. Nel nostro caso l’aspetto economico non è molto impegnativo e le quote richieste sono tendenti al  simbolico)

I vincoli possono essere diversi a seconda della linea di insegnamento che viene seguita ma sono normalmente esplicitati in modo chiaro.

Il modo del kendō è molto meno rigido di così e il riferimento al proprio Maestro è meno vincolante e spesso meno sentito.

È anche vero che fra un certo numero di anni anche nel mondo dello iaidō questo tipo di struttura potrebbe cambiare. Già oggi si vedono spesso persone che non hanno un vero e proprio riferimento e non sanno rispondere alla domanda “chi è il tuo Sensei?”, oppure dōjō che non praticano secondo il sistema di affiliazione che stiamo descrivendo.  È anche da notare che la Federazione giapponese sta spingendo verso una “modernizzazione” anche dello iaidō – per esempio tramite tutti gli accorgimenti che ha preso dopo le vicende legate al noto scandalo nel mondo giapponese dello iaidō. 

Ovviamente se lo iaidō andrà in quella direzione si perderanno alcune cose.  Per come la vedo io, si perderà in termini di profondità di pratica e di comprensione del mondo tradizionale giapponese delle arti marziali e non si riuscirà a capire il significato  e la ricchezza di conoscenze legate ad un Sensei. “Il sistema Jikimon è chiaramente  ispirato a norme che si reggono su fedeltà e gratitudine, alla devozione dell’allievo fa eco la dedizione del maestro, alla fedeltà al dōjō corrisponde un ambiente in cui l’eredità della disciplina può fiorire” (cit. anonimo).  Senza tutto questo si rischia di non arrivare a comprendere davvero quello che stiamo praticando.
Per ora però questi legami esistono e noi come dōjō facciamo parte di uno di essi, quindi bisogna avere consapevolezza di questo e porre una certa attenzione ai propri comportamenti e alle nostre scelte poiché, appunto, facciamo parte di un Jikimon  system con le sue regole e consuetudini.

Danielle Borra, kyoshi 7 dan

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© Le foto utilizzate in questo articolo sono di Alessandro Natali, Peter Röder sensei e Andy Watson sensei

1 COMMENT

  1. Thank you Sensei, these are notions that have moved away from the present West and that we have probably forgotten in the loss of respect for elders, the concept of lineage, elementary politeness and the race for individualism. That said, without nostalgia, what counts is the future and what we can bring to it precisely as an individual.

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