Mi sono casualmente imbattuto in un articolo che parla di un colloquio tra Carlo Ancellotti e Ruud Gullit alla vigilia di Milan – Real Madrid quando, credo, il Milan vinse una coppa dei campioni (i sapienti del calcio mi perdonino, ma a me del calcio non importa nulla e pochissimo ne so). Quello che m’interessa trasmettervi è il senso di ciò che Gullit risponde al suo amico. Leggete, poi ne parliamo:

<<Una mattina Ruud si svegliò e si ritrovò Carlo (Ancellotti – nda), suo compagno di stanza, a un passo dal letto con le mani sui fianchi e l’espressione severa: «Vorrei proprio sapere come fai… Guarda che ti ho osservato tutta la notte. Hai dormito come un bambino!»

Gullit si stropicciava gli occhi e faticava a mettere a fuoco la situazione: «Ehi, Carlo, cosa ti prende? Cosa è successo?»

«È successo che stasera giochiamo contro il Real Madrid! Al Bernabeu, nel loro stadio!» ha esclamato Ancelotti «e tu dormi tranquillo, come se niente fosse…»

«Certo che dormo tranquillo! Ma cosa te ne frega del Real Madrid? Noi siamo molto più forti di loro», ha risposto Ruud. «Io quando gioco nel Milan mi sento invincibile e non mi interessa se ho davanti l’Avellino, l’Atalanta o il Real Madrid. Io mi diverto, il gioco mi dà gioia e sento di poter vincere sempre. Anzi, io vinco prima ancora che inizi la partita, perché loro ci guardano e capiscono già lì che siamo più forti di loro.»

(tratto da: Arrigo Sacchi da “La coppa degli immortali”)>>

Il pensiero espresso da Gullit, a parer mio, non è quello di una normale persona che pratica uno sport, ma è quello di una persona che pratica una disciplina, che segue una Via. Un pensiero nel quale, ritengo, debba riconoscersi ogni praticante che segue la Via della Spada. Cambia solo il concetto di vittoria: dal dominare un altro sconfiggendolo, al dominare se stessi dando il meglio di sé.

Lo so, non è poco, ma è molto più scontato di quanto sembri, soprattutto se siamo dei praticanti a cui piace più “essere” che “apparire”. Se rientrate in questa categoria e ragionate sul vostro concetto di vittoria, al contrario di uno sportivo, non penserete mai agli avversari in termini di sconfitta. Proverete gioia per quanto avrete fatto, mai per aver sconfitto qualcuno … se non voi stessi.

Starete pensando che con un buon trascorso da agonista io mi riferisca alle competizioni. Non è così, mi riferisco ad un qualunque tipo di embu: gara, esame, manifestazione, pratica in dojo differenti dal nostro, pratica nel proprio dojo, ecc. Mi riferisco a tutte quelle circostanze nelle quali mostriamo ad altri la nostra pratica, senza timori o reticenze.

Se ci riconosciamo in questo, siamo in grado di ben comprendere ed apprezzare quell’approccio al “fare” così ben espresso da Gullit, senza mai dimenticare che l’unico vero avversario lo dobbiamo cercare in noi stessi.

Abbiamo fatto tutto quanto era ragionevolmente possibile fare? Sì? Allora abbiamo vinto a prescindere e se è una gara o un esame, abbiamo vinto ancora prima di andare a fermarci davanti al kaishi-sen.

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