E’ da molto tempo che queste parole girano nella mia testa ma non so perché non volevo scriverle, qualche cosa bloccava il flusso, poi una sollecitazione esterna mi ha dato il giusto impulso. 

I principi del kendo (Kendô‐no Rinen/The Concept of Kendo) recitano: il kendo (iaido/jodo/aikido e forse tutte le altre discipline marziali) è una via per la ricerca della perfezione come essere umano. Nella seconda parte viene aggiunto anche che attraverso la disciplina del Kendo si arriverà a migliorare la famiglia e la Società. (documento allegato allo statuto CIK, Principi del Kendo).

Non c’è alcun dubbio su questo tipo di affermazioni, praticare una disciplina con costanza e per lungo tempo non può che influenzare il nostro modo di essere e di conseguenza la nostra relazione con gli altri, Famiglia o Società più in generale.

Quindi si possiamo affermare che il Budo è una via per la formazione dell’essere umano ma come in tutte le vie ci sono molti ostacoli e spesso non sono così evidenti.

Mutuando il linguaggio da altre discipline con connotati più evidentemente spirituali possiamo dire che il nostro ego riesce spesso a tenderci delle trappole di cui siamo per lo più poco consapevoli e si insinua con i suoi meccanismi in ogni percorso ed in ogni relazione.

Come ho scritto moltissimi anni fa nell’articolo “il sé osservante” il nostro ego è sempre presente, dobbiamo fare pace con esso e semplicemente osservarlo con distacco. Se non lo facciamo, applicandoci con molta costanza, può giocarci degli scherzi piuttosto interessanti.

Nel mondo delle arti marziali gli esempi di lavoro dell’ego si sprecano come in tutti gli ambiti della Società umana e si possono declinare in una qualche manifestazione della “specialezza” (passatemi il termine). Nessuno di noi è avulso da questi giochi dell’ego e solo una costante attenzione e lavoro possono farci osservare le nostre dinamiche. Naturalmente quelle degli altri sono più evidenti ma quelle utili ed interessanti sono le nostre.

Proviamo a fare una sintesi non esaustiva delle dinamiche dell’ego. Premetto è abbastanza facile identificarle: ogni volta che marchiamo una differenza fra noi e gli altri, ogni volta che lavoriamo sulla separazione invece che sull’unione, sull’aver ragione invece che sulla pace possiamo essere certi che ci sia il nostro ego al lavoro. In teoria è facile ma in pratica ci vuole molta attenzione e osservazione per esserne veramente consapevoli perché l’ego si sa è subdolo e utilizza tutto quello che ha a disposizione anche il nostro percorso di Budo.

In base all’osservazione del mondo marziale le dinamiche dell’ego si presentano principalmente sotto una di queste tre forme.

1 ) Il culto di sé. E’ facile da identificare e l’odierno mondo dei social amplifica di molto il fenomeno. Il nostro ego ci fa sentire speciali, diversi, più bravi degli altri, gli unici che hanno capito, gli unici cultori della purezza del pensiero giapponese, dei Sensei che dispensano, con parsimonia, il proprio sapere. Dei gran fighi in sintesi. Ci fa dimenticare quanto poco sappiamo di arti marziali e di Giappone nonostante tutti gli anni trascorsi a studiare e praticare ma ci fa credere che siamo “bravi”. Il bravi può assumere molti connotati ed ognuno può facilmente trovare degli esempi attorno a sé o, se ha voglia di approfondire meglio, dentro di sé. Quello che succede è che il nostro ego trova forme diverse per alimentarsi e per farci perdere di vista l’obiettivo finale: migliorare come essere umano. Se ci sentiamo diversi, migliori, più bravi …..  non stiamo procedendo nella giusta direzione, è semplice ma come sempre può non esserlo affatto.

2) Un’altra forma che può assumere la dinamica dell’ego è il gruppo speciale. Anche qui gli esempi si sprecano e sono in buona parte ripetitivi. In questo caso la “specialezza” non si manifesta nel singolo ma nel gruppo: siamo più bravi, più uniti, pratichiamo meglio, abbiamo un maestro più bravo, ci vestiamo meglio, siamo più …….. siamo diversi in qualche modo. Questo atteggiamento ci isola dagli altri e determina nuovamente un senso di superiorità che ha alimentato e alimenta le separazioni così frequenti nel mondo marziale. Ci fa dimenticare che tutti stiamo percorrendo una via e che ognuno ha forme e tempi diversi ma si trova comunque su un percorso che ci accomuna pur nella manifestazione di forme apparentemente diverse.

3) Un terzo modo che assume la specialezza ma che è una conseguenza del punto due è cercare di entrare in guerra con qualcuno. In questo caso la dinamica di separazione è io/noi ho/abbiamo ragione, lui/loro torto e per difendere le mie ragioni debbo alimentare un conflitto. Qui possiamo provare a riprendere il discorso di migliorare la Società: veramente pensiamo che entrare in conflitto determini un miglioramento della Società o ambiente i cui viviamo? A volte questo percorso ci sembra obbligato perché riversiamo fuori di noi le responsabilità di presunti torti subiti e ci sembra più facile “entrare in guerra” piuttosto che approfondire con noi stessi. Alla fine è sempre un tentativo del nostro ego di farci sentire diversi, in questo caso delle vittime, e di creare uno scenario conflittuale. Nuovamente in teoria è facile: dove c’è divisione, conflitto, ostilità, paura, sofferenza è il nostro ego che parla. Dove c’è pace non c’è il nostro ego. Spesso però la ragione, la paura, l’orgoglio ci fanno pensare di non avere scelta e di dover sostenere in qualche modo una battaglia. Non capiamo che stiamo comunque perdendo indipendentemente da come andranno le cose dal punto di vista pratico.

Queste dinamiche ci fanno perdere tempo ed energie e non ci permettono di affrontare davvero la questione di base: il problema è risolvibile solo dentro di noi. 

Il microcosmo delle arti marziali è utile perché a volte mette in evidenza con maggiore crudezza le dinamiche dell’ego che negli altri ambiti possono essere più sfumate. Se le affrontiamo nel Kendo/Iaido/Aikido/Judo ecc. probabilmente possiamo sperare di diventare esseri migliori ma spesso non ci rendiamo proprio conto, purtroppo, di quali dinamiche entrano in gioco. 

Come possiamo fare per migliorare noi stessi e avvicinarci all’ideale descritto nel Kendô‐no Rinen. Nella mia esperienza personale spesso l’arte marziale da sola non è sufficiente ed è più proficuo abbinare al nostro percorso di Budo anche una disciplina di altro genere. Per esempio la meditazione in una qualsiasi delle sue molteplici forme è utile. E’ anche utile l’esercizio zen del sé osservante che ho descritto molti anni fa in un articolo pubblicato sul sito kiryoku. L’esercizio è semplice ed è declinato, con alcune varianti, in molti contesti diversi. Applicato con costanza e onestà da risultati sorprendenti. È difficile prendersi veramente sul serio e coltivare il culto di sé stessi, per esempio, se si pratica con costanza l’osservazione senza giudicare. 

Le strade possono essere molte e hanno tutte una loro validità ma il punto di partenza è la decisione di voler veramente cambiare e la consapevolezza degli scherzi che il nostro ego ci gioca costantemente. A che punto siamo del nostro percorso? Come possiamo migliorare?

Anjin-San

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