Esiste un’azione detta “della scintilla e del sasso”. Analogamente a quanto detto prima, non appena si colpisce il sasso, appare la scintilla. Non vi è intervallo o spazio. Manca, quindi, lo spazio che potrebbe fermare la mente.
Sarebbe un errore considerare questo fatto solo come una questione di velocità. Anzi, è la riprova che la mente non deve essere distolta da oggetti, e che anche la velocità può costituire distrazione per la mente.
Quando la mente si ferma, viene catturata dall’avversario. In altre parole, se la mente si concentra sul fatto di essere veloce e agisce con rapidità, sarà fermata dalla sua stessa considerazione.

Takuan Sōhō, Fudōchishinmyōroku II, in W. S. Wilson (a cura di), Takuan Sōhō. Lo Zen e l’arte della spada, traduzione italiana a cura di P. Gonnella, Mondadori, Milano 2001, p. 31. [ed. or: The Unfettered Mind, Kodansha International Ltd., Tokyo 1986.]

Anche se per molti di noi “scintilla” e “sasso” non sono due concetti che siamo abituati ad accostare, nei tempi antichi, e non solo in Giappone, era uso comune quello di accendere un fuoco grazie alle scintille sprigionate dallo scontro tra due sassi. Ora, l’azione dello sfregamento appropriato tra due pietre genera immediatamente una scintilla. Quando l’autore dice: “non vi è intervallo o spazio”, si riferisce al fatto che l’azione dello sfregamento è immediatamente efficace, un po’ come per noi moderni potrebbe essere l’azione di accendere una lampada con un interruttore: schiaccio l’interruttore, e la luce si accende.

Questa considerazione apparentemente banale è utile a descrivere l’azione nel contesto marziale. Il fatto che la pietra sprigioni scintille immediatamente o che l’interruttore accenda la lampada non dipende affatto dalla mia velocità di esecuzione. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che se non imprimo abbastanza energia alle pietre queste non produrranno alcuna scintilla. Vero. Però il punto non è qui la produzione della scintilla in sé, ma il lasso di tempo che intercorre tra lo sfregamento delle pietre e la generazione della scintilla. Posso essere veloce quanto voglio, ma non influirò in nessun modo sull’immediatezza del processo fisico e chimico alla base di quell’evento.

L’azione efficace, anche nel contesto marziale, non è causata da una velocità superiore di esecuzione, bensì dalla spontanea coincidenza di causa ed effetto. Se si pensa di essere veloci, si sarà inevitabilmente bloccati, rigidi, frettolosi e, in ultima analisi, lenti.

È curioso che a scriverne sia proprio io, perché questo è forse il più grande ostacolo nella progressione del mio iaido. Però anche questo ci insegna qualcosa.

La conoscenza che si esercita e si apprende nell’arte marziale non è di tipo analitico-descrittivo. E anche se un certo grado di analisi è probabilmente necessario alla didattica, e forse anche di più per noi occidentali, in realtà il processo di apprendimento è fondato in primo luogo su un rapporto di copia e approssimazione verso un modello presentato come corretto nel corso di un tempo lungo. A costo di dire un’ovvietà, la pratica non è teorica.

E per questo è possibile il paradosso: si può capire un errore intellettualmente, e persino scriverne a vantaggio di altri praticanti, mentre correggerlo non è altrettanto automatico. La trappola cognitiva in cui spesso ci troviamo ad essere nasce in primo luogo dal fatto che non è possibile dilatare lo spazio che intercorre tra lo sfregamento delle pietre e la produzione della scintilla, così come sarebbe fuori luogo pensare che il modo in cui schiaccio l’interruttore influenzi il tempo di accensione della luce. Quell’azione, se deve accadere, può accadere solo per via immediata. Se in uno scontro reale io cominciassi a pensare alla successiva azione da intraprendere per sconfiggere il mio avversario, lui ne approfitterebbe immediatamente, colpendomi. La perfetta maestria della spada non si acquisisce nello stesso modo in cui si studia il contenuto di un libro di filosofia, ma somiglia molto di più al processo di apprendimento di una lingua straniera: finché avrò in mente un modello grammaticale in cui inserire delle parole tradotte dalla mia lingua di partenza, non sarà mai efficace. Occorre ascoltare molto, parlare ad alta voce e presentarsi all’altro sapendo di essere esposti all’incomprensione e persino al ludibrio. Ci vuole tempo, e di qualità.

Tuttavia quando questo tempo lungo sarà passato, mi accorgerò di non avere più bisogno di tradurre nulla, ma la conoscenza della lingua sarà perfetta e intuitiva, al punto da poter fare spontaneamente di quelle parole una poesia. Lo iaido non ha tanto a che fare con la concentrazione, ma con la presenza.

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