Occuparsi dell’ignorante e dell’immaturo fa parte degli scopi dell’uomo nobile. È naturale pensare a come incoraggiare con garbo le persone e rendersi utili allo stato. Se riesci a farlo, provi compassione per l’incapace; se vuoi affermare te stesso, rafforza gli altri. Tutto ciò è basato sulla sincerità.

Tomida Dairai (attivo ca 1800), in T. Cleary (ed), Training the Samurai Mind: a Bushido Sourcebook, Shambala, Boston (MA) 2008. [ed. italiana: La mente del Samurai, Mondadori, Milano 2009, pp. 206]

Il detto di Tomida Dairai, prolifico scrittore confuciano a cavallo tra XVIII e XIX secolo, si conclude con un’affermazione che credo vada valorizzata nell’interpretare le parole che la precedono: «tutto è basato sulla sincerità».

In cosa consista il “tutto” di cui l’autore parla, credo lo renda evidente il contesto: si tratta del processo educativo in ogni sua componente relazionale. L’uomo nobile, la cui categoria possiamo oggi tranquillamente estendere in senso inclusivo ad ogni persona, in primo luogo è dunque una persona sincera. Tale sincerità che lo caratterizza nasce necessariamente da un esercizio introspettivo: siamo nell’ambito di una riflessione circa i limiti delle competenze e dell’insegnamento, e questo conduce inevitabilmente il pensatore ad esaminare la propria storia, e dunque i propri limiti, con sincerità, per l’appunto. Senza tale premessa introspettiva, questo detto comunicherebbe soltanto un vago senso di arroganza e classismo, poco utili alla crescita di chiunque.

Invece l’introspezione e la sincerità vengono valorizzati sino a condurre ad una constatazione: è naturale per un tale tipo di persona muoversi nella direzione dell’altro, provare compassione per coloro che hanno avuto meno possibilità e vivono in un determinato ambito una condizione di ignoranza o immaturità.

Resta da chiedersi se per l’autore il primato spetti a questo movimento centrifugo, dall’analisi introspettiva verso la condizione dell’altro, o se egli ritenga la sincerità una qualità intrinseca alla nobiltà umana, data una volta per tutte.

Quel “se riesci a farlo” che collega le due proposizioni centrali nel detto, lascia intendere che il concetto di “naturale” non coincide con qualcosa di intrinseco e automaticamente realizzabile da chi rientri in una data categoria: richiede impegno e perseveranza, un lavoro sulla propria persona. In questo senso, “naturale” significa qualcosa di più simile a “conforme ai costumi”.

Questa è una buona notizia. Perché in effetti chi oggi si trovi in una dimensione di maggiore consapevolezza o conoscenza rispetto a qualcun altro ha avuto tempo e modo per lavorare su di sé abbastanza da superare una vecchia condizione, nella quale pure si è personalmente trovato ad essere. La sincerità conduce alla compassione, mentre l’arroganza è evidentemente ancora segno di immaturità e ignoranza. Del resto questa sincerità è dinamica, e va in due direzioni: da un lato deve nascere da un confronto onesto con la propria storia, ed essere radicato nella pratica personale; dall’altro lato si volge all’esterno per aiutare l’allievo nella realizzazione di una consapevolezza simile eppure sempre unica, rinnovata in ogni individuo. In altre parole, non si può diventare nobili se non a costo di prendere coscienza del proprio limite, e nel tentativo inesausto di mantenere una relazione sincera e propositiva nelle relazioni cui siamo spinti a vedere una parte della nostra stessa storia. In questo senso, sincerità e compassione sono due facce della stessa medaglia, incoraggiano il prossimo e, in definitiva, rendono migliore ogni gruppo umano.

Non è la prima volta che in questa rubrica ragioniamo sui processi educativi e sul modo in cui si trasmette la conoscenza nella relazione insegnante-allievo. Ho l’impressione che molte di queste affermazioni conservino una straordinaria rilevanza per chi anche oggi si occupa delle arti marziali e della loro divulgazione.

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