Un dojo è composto da tutte le persone che vi praticano, e tutte le persone interagiscono fra loro creando legami e generando, con le loro azioni, conseguenze.
Le dinamiche del gruppo sono sempre delicate e difficili.
Anche se pratichiamo Iaido e lo scopo finale della nostra pratica è “la ricerca della perfezione come esseri umani” (Kendô-no Rinen), non possiamo che notare quanto questo sia un ideale splendido ma di difficile raggiungimento. Col tempo, nei gruppi, si nota che affiorano i comportamenti sociali abituali, anche se siamo dentro ad un dojo e pratichiamo una disciplina come lo iaido che spinge all’osservazione.
Se si guarda con attenzione si nota che si può – inconsapevolmente o consapevolmente – agire in due modi. Uno di essi è la maniera esclusiva, che non tiene in considerazione le conseguenze, magari a lungo termine, di quello che stiamo dicendo o dell’esempio che stiamo fornendo e che rischia di creare delle retro-azioni con effetti controproducenti. Alcuni esempi di pensiero esclusivo si sentono esprimere con una certa frequenza: “il problema sono gli altri”; “lui/lei è speciale, è come noi”; “il nostro Maestro/scuola sono diversi/migliori”; “non ascoltare quello che ti dicono loro, noi facciamo cose diverse”, “questo insegnante si ma questo no”; “ il nostro iaido è diverso”. A me è capitato molte volte di sentire affermazioni simili. Tendenzialmente sono più semplici, apparentemente più gratificanti e ci tolgono dalla responsabilità personale.
In alternativa, possiamo usare un atteggiamento inclusivo, che prevede una visione più sistemica e complessa del mondo che ci circonda e uno sforzo maggiore da parte nostra. Vuol dire saper cogliere le diversità e saperle valorizzare con pensieri del tipo: “è diverso da me ma questo può produrre ricchezza ed essere interessante”; “un confronto fra diverse interpretazioni è sempre interessante” .
Se pensiamo ad un dojo è chiaro che gli insegnanti sono i primi a dover scegliere se agire in un modo o in un altro. Ma poiché il sistema di relazioni, se si superano le 5/6 persone, diventa complesso, anche le azioni di tutti i componenti del dojo possono influire sul clima, sulla volontà di progredire, sulle motivazioni, sull’atmosfera generale che si respira in un dojo. I senpai, per esempio, sono parte integrante di questi aspetti.
Nella pianificazione strategica aziendale si parla sempre di più di analisi dell’inclusione e di capacità di creare obiettivi di tipo inclusivo. Per questo si cerca di studiare le capacità di intelligenza relazionale delle persone ponendo il focus sulle relazioni fra gruppi e persone.
Anche all’interno di un dojo bisognerebbe chiedersi quali sono i nostri obiettivi e se i nostri atteggiamenti ci aiutano a raggiungerli, se stiamo creando un sistema di relazioni che ci aiuterà a progredire, se pensiamo che anche la crescita altrui sia un vantaggio complessivo oppure no.
Non è semplice, prevalgono spesso gli atteggiamenti abituali di tipo egoico ma, poiché ci alleniamo a cercare la perfezione del gesto e dell’essere umano, potrebbe valere la pena di allenare contemporaneamente la nostra mente dirigendola verso intelligenze ed azioni di tipo inclusivo.
Come sempre, possiamo capire dai risultati dell’insieme delle persone che compongono il gruppo se la cosa sta funzionando oppure no.
Danielle Borra, 7 dan kyoshi