Il 7 e 8 gennaio, a Lucca, si è tenuta la quinta edizione del seminario di Iaido organizzato da Akitsukai Iaido Lucca e condotto da Danielle Borra e Claudio Zanoni.

Recensioni e rifliessioni di Stefano Banti, Rosita Giovannetti, Valeria Tiralongo e Veronica Latino.

Seminario Lucca Gennaio 2023

Il senso delle cose

di Stefano Banti

Nelle nostre discipline, dove l’apprendimento avviene quasi esclusivamente tramite lo studio e la pratica di kata, è molto facile perdere la consapevolezza di quello che si sta facendo.

Questa problematica è stata il tema centrale dell’ultimo seminario di iaido tenuto recentemente a Lucca dai Maestri Danielle Borra e Claudio Zanoni.

Affrontando lo studio dei primi due kata – Mae e Ushiro – è chiaramente emerso come, durante la loro esecuzione, sia estremamente diffusa un’errata applicazione del Ki Ken Tai Ichi, uno dei principi fondamentali dello Iaido.

Così, per fare un esempio, il fatto di avanzare il piede durante il Kirioroshi implica un taglio del tutto inefficace, in quanto effettuato senza che il corpo sia effettivamente pronto per sostenere l’impatto.

Ancora, assimilando il gesto del Chiburi alla esecuzione di un vero e proprio taglio, diventa necessario chiedersi in quale momento preciso la gamba posteriore dovrebbe estendersi fino ad arrivare a sfiorare con il tallone il terreno: anche qui, infatti, un errato coordinamento priva l’azione di qualsiasi efficacia.

Analogamente, sempre in Mae, può accadere di immaginare, un avversario posto di fronte a noi ad una distanza maggiore di quella prevista dallo scenario del kata, con la conseguente tendenza ad eccedere nell’ampiezza dell’avanzamento, magari sovraestendendo l’apertura dell’anca oltre i canonici 90°.

L’elenco degli esempi potrebbe allungarsi a piacere ma, alla fine, il succo della storia resta sempre lo stesso: avere bene chiaro, in ogni momento, quello che si sta facendo.

Mi sono domandato tante volte per quale motivo, nella esecuzione di sequenze ormai super-apprese, la maggioranza dei praticanti tenda a perdere la consapevolezza dello scenario effettivo del kata.

Nel mio caso, credo che la causa vada ricercata nell’eccessiva attenzione rivolta verso i dettagli tecnici, a scapito della necessaria visione d’insieme.

Questo approccio, tipico dei praticanti allo stadio iniziale-intermedio, dovrebbe, ad un certo punto della pratica, essere abbandonato al fine di raggiungere un livello più maturo di espressione marziale.

Non a caso, nelle linee guida FIK per gli esami di Iaido, compare come punto fondamentale di valutazione, a partire dal VI dan, il livello di Riai – ovvero di comprensione della logica razionale dietro la tecnica – dimostrato dal candidato.

In realtà, uscendo da quella bolla che, così spesso, avvolge la nostra mente durante la pratica, quello di Riai è un concetto piuttosto semplice: tagliare veramente uno o più avversari, dove essi veramente sono, quando è veramente il momento.

Niente di più, niente di meno.

Ma il problema resta ed è reale perché, fino a quando non si riesce a raggiungere questo obiettivo, molto impietosamente non si sta facendo alcuno Iaido o, per meglio dire, alcuna pratica marziale.

E le brutte notizie non finisco qui, perché si può agevolmente rimanere bloccati in questa situazione per anni, forse per sempre.

A mio parere, l’unico modo per uscire da questa impasse è quello di iniziare, ad un certo punto, a smettere di perseguire una perfezione formale esente da errori – obiettivo comunque di per sé irraggiungibile – nella speranza di fare propri, un giorno, anche gli aspetti interiori della pratica.

Al contrario, capovolgendo l’approccio usuale, suggerirei di provare a partire da questi ultimi accettando le inevitabili imperfezioni tecniche e tentando di ridurle il più possibile ma non a scapito della presenza e del senso reale del combattimento.

Ormai, per ragioni di vita, mi viene da pensare prima in inglese che in italiano, quindi, per riassumere: a real fight, possibly correct, but most of all real.

Buona pratica a tutti.

Stefano Banti

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