La pratica (Keiko)

di Valeria Tiralongo

Ho partecipato allo stage di Lucca da spettatrice, in panchina, per problemi alla spalla destra.

Ho utilizzato il verbo partecipare e non assistere, consapevolmente.

Mi sono più volte interrogata sul significato della pratica di un’arte marziale, anche negli anni dedicati all’Aikido, l’arte che mi ha introdotto ed accompagnata allo Iaido.

Mi colpì anni addietro l’espressione, utilizzata da Gusty Herrigel nel libro “Lo Zen e l’arte di disporre i fiori”: il giapponese intende le arti come metodi particolari di formazione che permettono di cogliere la bellezza dell’esistenza, quella bellezza che supera ogni comprensione razionale, ogni significato utilitaristico, e che è il mistero stesso.

La pratica dello Iaido implica un continuo lavoro su noi stessi; riuscire a vedere l’errore, poi correggere il gesto, in una ricerca di perfezionamento che non finisce mai. Un percorso di approfondimento che ci conduce nei meandri dei nostri passi, con la leggerezza, a volte spietata, di una spada che taglia pian piano ogni sovrastruttura, come uno scultore che non crea, ma semplicemente toglie per lasciare emergere l’opera d’arte.

E così, anche osservare la pratica altrui è come guardarsi allo specchio.

È come fare un passo indietro, per mettere a fuoco, per raggiungere Maai… la giusta distanza, che è sì spazio fisico ma credo anche distacco e unità tra pensiero e azione.

Durante lo stage ho messo nero su bianco le correzioni e gli inestimabili suggerimenti dei Maestri; rileggendoli ho trovato la risposta ad un quesito che mi ero posta.

Domanda: quali sono i momenti più importanti di un kata e più in generale della pratica?

Risposta: ogni momento è importante!

Il mio grazie sincero va ai Maestri Danielle Borra, Claudio Zanoni, Carlo Sappino, Marilena Cioni e a tutti gli iaidoka presenti.

Un grazie particolare a Rosa, Gabriele e Veronica, preziosi amici e compagni di viaggio.

Valeria Tiralongo

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