Sicuramente qualcuno fra voi conosce Plague Inc, un gioco strategico dove per vincere bisogna creare e diffondere un virus in grado di distruggere il mondo. Quando andava particolarmente di moda ci ho giocato anche io e non ho potuto che ricordarmene man mano che, durante il recente soggiorno in Belgio, le notizie sul Covid-19 giunto in Italia scorrevano sullo schermo del mio telefonino, fra allarmismi, quaestiones e clickbaits.
Cosa c’entra tutto questo con un articolo su Women in iaido? Ve lo spiego, se avete pazienza.
Venerdì 21 febbraio mi sono trovata di nuovo all’aeroporto di Caselle con Pierluca e i miei maestri, Danielle Borra (kyoshi 7 dan) e Claudio Zanoni (renshi 7 dan). Siamo saliti su un aereo diretto a Bruxelles, perchè la terza edizione di Women in iaido è stata organizzata lì dalla Federazione belga. Non vedevo l’ora di prendervi parte: vorrei che l’importanza di questo progetto fosse ben chiara a chi studia iaido in questo particolare momento storico, ed è per questo che ho deciso di spendere qualche parola a riguardo.
La giornata di sabato prevedeva attività diverse per maschi e femmine. I maschi si sono allenati sotto la direzione dei settimi dan presenti (i sensei Van Amersfoort, Gomez, Merlier, Simonini e Zanoni) per tutta la mattina, quindi nel pomeriggio si sono spostati in centro città per una degustazione di birra e per cimentarsi nel lancio dell’accetta, attività finalizzata al team building che, a giudicare dai racconti degli amici, ha funzionato come doveva. Sarebbe piaciuto anche a me provarci, lo ammetto!
Noi donne, di buon mattino, ci siamo riunite per studiare un documento di nove pagine che Kinomoto Miyuki sensei (kyoshi 8 dan) ha distribuito a tutte: si trattava di note basate sugli appunti di Ogura Noboru sensei (hanshi 8 dan) dove sono analizzati punti importanti per lo studio dello iaido, sia pratico che teorico. L’articolo è disponibile in italiano presso la Biblioteca di questo blog.
I concetti che mi sono rimasti più impressi sono legati all’approccio che connota molto chiaramente lo studio dello iaido di Kinomoto sensei: la ricerca del senso. Dobbiamo immaginare davvero un attaccante per rendere lo iaido diverso da una danza, dobbiamo dare un’intenzione al nostro taglio per distinguere fra volontà di uccidere o solo di ferire, i nostri movimenti devono avere una ragione pratica (ad esempio nella distanza che teniamo dall’avversario). Ogni taglio deve avere una persistenza, che essa sia morale, emotiva o ideale, perchè dobbiamo essere consapevoli di ciò che stiamo facendo in qualsiasi momento imparando a smussare gli angoli della nostra pratica e fluire in essa, agendo “ma o kotonaku”, senza esitazione – ma senza automatismi (ndr).
Prima di pranzo, Kinomoto sensei ha affrontato nuovamente il tema della corretta vestizione, come preannunciato dall’e-mail che ognuno di noi ha ricevuto al momento della registrazione.
Il pomeriggio è stato dedicato interamente al Kitsuke delle partecipanti, salvo gli ultimi trenta/quaranta minuti in cui abbiamo praticato kihon finalizzati a metabolizzare meglio il ritmo e il kikentai. Questo è stato l’unico tema sul quale mi sento di sbilanciarmi con un’osservazione per il futuro: penso che un intero pomeriggio dedicato a vestizione, domande e risposte a riguardo sia effettivamente troppo. Di certo l’argomento è importantissimo e imparare a vestirsi come Kinomoto sensei ha illustrato ha cambiato la vita a me per prima, tuttavia soprattutto per chi ha seguito tutte le edizioni precedenti ed è intenzionato a continuare a partecipare, bisognerebbe trovare il modo di condensare la cosa gestendo le tempistiche diversamente, per poter magari praticare di più beneficiando dell’esempio e della guida della sensei.
Domenica abbiamo potuto allenarci con i maschi, abbiamo praticato tutto il giorno dedicando l’ultima oretta ad una lezione molto interessante su Hasuji, Ura hanami e Omote hanami. Mi è piaciuto l’approccio della sensei, che mi ha ricordato un po’ una lezione di fisica applicata.
Kinomoto sensei non manca mai di sottolineare come non esistano due ghetti iaido, uno per donne e uno per uomini (è aberrante il solo pensarlo). C’è un solo iaido corretto, al quale dobbiamo tendere tutti seguendo due strade magari un po’ diverse cui siamo stati casualmente destinati a causa delle differenze essenziali che esistono fra i nostri corpi. Quest’anno molti uomini hanno partecipato allo stage, e anche più donne. Penso che sia importantissimo e dobbiamo evitare di perdere la cifra raggiunta. La comunità dello iaido è piccola e va tutelata. Questo significa che deve imparare a tutelarsi dall’interno, diventando accogliente e valorizzando quello che ha a disposizione invece di creare barriere inutili.
Ecco dove torna prepotentemente in scena il Coronavirus, ecco dove nasce il parallelismo.
Assistere dall’estero a quello che stava succedendo in Italia probabilmente è stato utile, in minima parte, per sviluppare un occhio critico su come la nazione abbia venduto ciò che stava accadendo attraverso i media e sui social. Una volta rientrata a casa, ho visto scene che mi hanno resa piuttosto sicura di quello che sto per dire: la psicosi da Coronavirus fa più paura della malattia in sé. Mettiamo subito le mani avanti: non sono un medico e non è questa la sede per l’ennesima disamina sul virus di Wuhan. Però c’è qualcosa da imparare, qui.
Ci sono delle contromisure che tutti dobbiamo prendere per proteggere la comunità dal coronavirus (misure igieniche, fondamentalmente, che non andrò a elencare per esteso). Un virus che non è una pandemia letale col 99,99% di probabilità di uccidere qualsiasi cosa sia bipede e abbia un abbonamento a Netflix. Un virus che è molto pericoloso per determinate categorie, come gli anziani e gli immunodepressi, ad esempio. Qual’è il messaggio? Che la comunità deve comportarsi come tale anche quando un problema non riguarda allo stesso modo tutti coloro che la compongono.
La crescita dello iaido è un problema che deve toccare tutti quelli che sono intenzionati a continuare a praticarlo. L’interessamento delle donne a Women in iaido è fondamentale, quanto lo è la dedizione dei maschi, proprio perchè non possiamo permetterci una decrescita e dobbiamo imparare a valorizzare ogni risorsa di cui disponiamo, aiutandoci a crescere a vicenda. Bisogna che ognuno di noi si guardi dentro e impari a portare la propria attenzione su quello che è veramente utile per crescere, trovando il coraggio di agire bene anche quando magari la tendenza grida altro e ci vorrebbe deconcentrati.
Lo iaido, alla fin fine, è molto di più che affettare l’aria. Tutti vogliamo diventare persone migliori. Penso che Women in iaido, nel particolare contesto nel quale è avvenuto, mi abbia potuto insegnare veramente tanto. Sono grata a Danielle sensei per aver creato questo filone di insegnamento, a Kinomoto sensei per il modo instancabile nel quale l’ho vista adoperarsi negli ultimi tre incontri da lei diretti, e agli uomini e alle donne che hanno potuto rendere possibile questo ultimo evento. Women in iaido non è un seminario annuale, è la concretizzazione annuale di un ideale che non deve estinguersi e che in prima persona ho intenzione di continuare ad apprendere, proteggere e diffondere.
Chiara Bonacina, 3 dan
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Le fotografie presenti in questo articolo, ad eccezione di quella che ritrae le praticanti italiane con Kinomoto sensei, sono state scattate da Kim Croes.