Cosa ci permette di imparare? Cosa ci consente di cambiare? In che modo possiamo diventare più consapevoli di noi stessi?

Tutte queste domande non trovano certamente delle risposte semplici o superficiali, ma richiedono una continua ricerca e studio dei meccanismi della mente e del comportamento umano.

All’interno della pratica dello Iaido, queste riflessioni risultano particolarmente di nostro interesse, in quanto tutti quanti ci siamo trovati nella difficile situazione di non riuscire a comprendere o metter in pratica un concetto spiegatoci, seppur centinaia di volte.

Quante volte, altresì, ci siamo arrabbiati con noi stessi perché il nostro corpo non “rispondeva” a ciò che avevamo in testa?

Il principio di una nuova modalità di approcciarsi alla pratica, ritengo sia sempre lo stesso: imparare a conoscersi, sia nelle risorse che nei limiti, ed esser consapevoli di ciò che il nostro corpo ci dice e di ciò che sta facendo. Come ho già ripetuto diverse volte, questa dovrebbe esser la base per qualsiasi cambiamento, che richiede un lungo e profondo lavoro su di sé e permette di non rimanere incastrati in dinamiche non funzionali a ciò che stiamo facendo. Questo può esser vero sia nella vita che nello Iaido. Finché non capiamo cosa stiamo sbagliando e come lo stiamo facendo, non saremo in grado di uscire dalle consuete abitudini, poiché è molto più facile e meno dispendioso per il nostro sistema-corpo mantenere le cose così come sono.

In seguito a questa consapevolezza di sé, sarà forse possibile provare a cambiare qualche cosa nella nostra pratica. 

Partiamo dal presupposto che ciò implica affrontare le proprie insicurezze, i propri automatismi, le aspettative dei nostri compagni e dei Maestri/Istruttori. 

Sono tutti aspetti da tenere in forte considerazione: agiamo sempre in contesti relazionali (sia con noi stessi che con gli altri) e le dinamiche che si creano influiscono inevitabilmente nel nostro modo di approcciarci al mondo. Quindi si dovrà imparare a comprendere le emozioni che potrebbero interferire o favorire il cambiamento. 

Prendiamo, ad esempio, sensazioni come la frustrazione, la rabbia, l’insicurezza: tutte quante ci tengono, in un modo o nell’altro, fossilizzati sulla nostra incapacità di superare le difficoltà e modificare quei movimenti su cui i Maestri insistono ogni settimana, impedendoci di trovare nuove soluzioni al problema ed affrontare con spirito di accettazione ed apertura emotiva quanto il nostro corpo riesce o non riesce a fare. Lo stesso può valere al termine di una competizione o in seguito alla bocciatura ad un esame: ciò che conta, è l’atteggiamento mentale con cui si affronta il dispiacere e il mancato raggiungimento dell’obiettivo posto. 

Finché le sensazioni spiacevoli rimarranno in primo piano, diventerà molto difficile adottare un nuovo schema mentale e provare a produrre qualcosa di diverso.

Nello Iaido, così come nelle Arti Marziali in genere, si ha l’enorme fortuna di esser seguiti da qualcuno che, per ovvie ragioni, ne sa almeno un po’ di più di noi o quantomeno ha l’esperienza per poterci aiutare nell’affrontare i vari step. Avere quindi un Maestro che dall’esterno riesce a guidarci attraverso il percorso di crescita, è un bene inestimabile. 

Come ben sappiamo però, funziona solo in parte e fino ad un certo punto. Se non c’è la predisposizione e la motivazione all’ascolto, al cambiamento e alla crescita, tutto diventa vano.

Questa è la parte personale di ciascuno di noi ed anche la più difficile da affrontare. Di per sé, i Kata generalmente non sono particolarmente complicati, ma è il nostro modo di costruirli nella nostra mente e di adattarli al nostro corpo che li rende tali.

Nella situazione ideale in cui non mancano determinazione, volontà, passione e consapevolezza, come abbiamo già detto in altri articoli, è necessario dunque porsi piccoli obiettivi, strutturati e chiari, su cui focalizzarsi.

Perseguire e raggiungere il primo passo per poi passare al successivo, cercando di mantenere aspettative realistiche su quelle che sono le reali possibilità e capacità del nostro corpo.

Questo approccio ci può aiutare anche a trovare stimoli sempre nuovi e diversificati, che non siano solamente il vincere una competizione o superare un esame: la soddisfazione di poter vedere e sentire che il proprio corpo riesce a metter in pratica quanto ci viene richiesto o quanto possa funzionare nel kata, può dare eguale gratificazione.

Un altro punto importante riguarda la flessibilità e la conseguente cooperazione, che si dovrebbe trovare all’interno del dojo

La prima riguarda la capacità di essere flessibili nell’ascolto e nell’apprendimento così come nell’insegnamento. Adattare il proprio approccio a seconda delle situazioni e delle persone con cui pratichiamo, porta certamente maggiori benefici e risultati, piuttosto che rimanere rigidi nei propri schemi di funzionamento. 

Flessibilità e cooperazione vanno di pari passo nel momento in cui i senpai o altri Maestri che possiamo incontrare a Seminari o in dojo, ci portano suggerimenti per migliorare la nostra pratica. Un ascolto attento e attivo, volto non ad un atteggiamento competitivo o di rango su chi sia meglio o su “come si permette questo qui di dirmi qualcosa”, anche solo in piccola parte, può aiutare a vedere le cose da un’altra prospettiva.

Cambiare implica una perturbazione e quindi una rottura. Se non ci poniamo nella condizione di cercare nuove strategie e nuovi modi di percepirci, che inizialmente sembreranno alquanto strani, il processo di crescita nello Iaido sarà sicuramente più arduo e ostile, poiché andrà sempre a confermare e validare quelle che sono le nostre insicurezze e le nostre false aspettative.

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