“In un mondo che corre vorticosamente, con logiche spesso incomprensibili, il problema della lentezza si affaccia alla mente con prepotenza, come una meta del pensiero e della via da percorrere. Andare più veloci non significa conoscere più di quello che la strada offre e nessuno vuole arrivare prima alla fine della propria strada.”

ELOGIO DELLA LENTEZZA, LAMBERTO MAFFEI
elogio della lentezza

In questo periodo Claudio ed io siamo un po’ in difficoltà nel nostro insegnare.

Ci sembra di dire sempre le stesse cose e di non vedere dei veri progressi, in particolare per le persone che stanno allenandosi per gradi più alti.

Abbiamo appena fatto molti seminari con persone che non appartengono al nostro Dojo e la sensazione è un pò la stessa: è facile cambiare quando si è dei gradi bassi più difficile quando si devono affrontare cambiamenti che non sono solo legati ad imparare una tecnica ma a raffinarla fino ad eliminare tutte le imperfezioni, cosa impossibile come sappiamo ma a cui dobbiamo tendere.

Il nostro corpo continua a muoversi in base alle abitudini acquisite e non abbiamo la percezione del gesto che stiamo eseguendo o di come lo stiamo eseguendo. Possiamo approfondire rileggendo l’articolo di Cramarossa sulla propriocezione.

La mia sensazione è che spesso percepiamo l’inizio e la fine del movimento ma non cosa succede durante. Abbiamo la consapevolezza solo di alcuni punti, probabilmente di quelli che riteniamo inconsciamente più importanti, mentre gli altri entrano in una zona d’ombra che non vediamo veramente. Dovremmo invece avere la percezione di ogni frammento del nostro movimento perché spesso è in queste zone d’ombra che si costruisce un gesto efficace.

Per farlo, secondo me, dobbiamo tornare a rallentare e riappropriarci della capacità di vedere e controllare ogni singolo passaggio del nostro movimento. In velocità non riusciamo ad assumere questa consapevolezza e le correzioni che ci vengono fatte si perdono nelle abitudini del nostro corpo e della nostra mente.

“La perfezione si raggiunge a gradi lenti, richiede la mano del tempo.”

Voltaire

Praticare un kata lentamente è uno dei possibili modi di allenarsi e ne abbiamo già parlato. Osservando la pratica in dojo o nei seminari si può però notare che non è un modo molto utilizzato.

Per esempio mi correggono il taglio perché allungo troppo i polsi e vado in leva durante il movimento? Ho capito la correzione ma continuo a tagliare in velocità senza riuscire ad apportare nessun cambiamento reale alla posizione dei miei polsi in mezzo al movimento, controllo solo l’inizio e la fine del taglio. Quello che succede in mezzo è una zona d’ombra. Dobbiamo invece accendere un riflettore anche sulle parti intermedie, rallentare e cambiare quanto il nostro corpo fa per abitudine. 

Non credo ci siano altre possibilità per modificare un movimento acquisito.

Certo praticare lentamente non può essere l’unica forma di allenamento e i maestri giapponesi, abituati ad allievi che imparano con gli occhi più rapidamente di noi occidentali, non la utilizzano molto. Per noi però è una buona forma di allenamento da alternare all’esecuzione sciolta e veloce dei kata o a quella normale. 

E’ inutile continuare ad andare veloci facendo movimenti non corretti. Rallentiamo, controlliamo ogni passaggio, illuminiamo le zone d’ombra, riabituiamo il nostro corpo al gesto corretto e poi applichiamo le altre forme di allenamento. 

Se dobbiamo cambiare qualche cosa godiamoci qualche momento di lentezza.

Danielle 

Claudio Zanoni

Aggiungo qualche considerazione personale a quanto scritto da Danielle. Ultimamente sono portato sempre più spesso a vedere il movimento del corpo in relazione all’azione che ci siamo prefissi in base al Kata. Mi rendo conto che erroneamente pensiamo che un’azione veloce sia la soluzione per poter tagliare l’avversario, mentre non si tratta di velocità ma di tempi.  Amo molto il 6° kata, morote tsuki, perché nella sua semplicità ci dice veramente molte cose sullo iaido che stiamo facendo. Iniziamo dal primo taglio in cui si vede se veramente usiamo il corpo e se veramente stiamo tagliando l’avversario, riusciamo poi a costruire uno tsuki veramente efficace? (il rotolone di cartone in Giappone, di cui abbiamo parlato più volte, è una bella verifica) ed infine il furikaburi ed il taglio sono portati con il tempo giusto? Nove volte su dieci il furikaburi non è fatto in armonia con il corpo e la spada è sempre in ritardo rispetto al movimento del corpo con l’esito finale di tagliare con un Ki Ken Tai Ichi non corretto: siamo entrati nello spazio dell’avversario con il corpo senza che la spada sia pronta. 

Benchè tutto questo sia stato detto molte volte le abitudini che abbiamo non ci fanno cambiare e continuiamo a reiterare sempre lo stesso movimento automatico acquisito. Se riuscissimo ad avere meno interesse ad esibirci e più interesse a modificare il nostro movimento o se riuscissimo a soffermarci di più su cosa dobbiamo cambiare e con attenzione cercassimo di modificarlo forse il tempo necessario al cambiamento si accorcerebbe. Andare solo veloci non produce cambiamento.

Claudio

“C’è di più nella vita che aumentare la sua velocità.”

Mahatma Gandhi

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