Cambiare è difficile. Ne abbiamo avuto un esempio il passato week end con il Maestro Nakano, che ha molto insistito su alcune cose di base dello iaido della ZNKR. Nonostante fossero concetti chiari e noti le persone che dovevano fare l’esame non sono riuscite a produrre un reale cambiamento nel loro iaido.
Ci sono molti fattori che ci bloccano nel nostro evolverci, uno di questi è sicuramente la mancanza di percezione. Non riusciamo a capire che facciamo quell’errore, non lo percepiamo e quindi non ci facciamo attenzione o peggio ancora continuiamo a ripetere lo stesso movimento convinti che sia quello giusto. Usando sempre lo stage di domenica come esempio, tutti abbiamo visto come il Maestro Nakano continuasse a sottolineare l’importanza della posizione hitoemi nel decimo kata ma pochi fra gli 8 candidati all’esame di 5° dan si impegnavano veramente nel modificare questo punto, convinti che le osservazioni non riguardassero il loro iaido.
Sentiamo ma non ascoltiamo, vediamo ma non guardiamo veramente. In questa mancanza di percezione c’è uno degli ostacoli al cambiamento.
La difficoltà al cambiamento e la scarsa consapevolezza che mostriamo rispetto ai movimenti che compongono il nostro iaido è una delle cose su cui Claudio ed io ci scambiamo molte opinioni ultimamente e di cui discutiamo in dojo. Alberto una sera ci ha parlato della propriocezione, fornendoci un punto di vista esterno al mondo dello iaido ma pienamente utilizzabile per capire le nostre difficoltà nel cambiare. Gli abbiamo ovviamente chiesto di scrivere quanto ci stava dicendo.
Danielle Borra, kyoshi 7 dan
Fin da piccoli siamo abituati ad utilizzare i nostri sensi, tra i quali è preponderante la vista. Gli altri sensi sono egualmente conosciuti da chiunque, con l’eccezione di un tipo di percezione appartenente ad un particolare sistema che utilizziamo tutti i giorni, spesso senza accorgercene, e che non viene incluso nei classici cinque sensi, ma forse meriterebbe la stessa attenzione: la propriocezione.
Letteralmente inteso come la percezione di sé, questo “sesto senso” rappresenta la nostra capacità di percepirci nello spazio che ci circonda, la capacità di percepire la nostra postura e la posizione delle singole parti del nostro corpo, indipendentemente dall’ausilio della vista. Il sistema che lo governa è estremamente complesso, come quello di tutti gli altri sensi e come tutto ciò che riguarda l’essere umano. All’interno dei nostri muscoli e tendini, delle nostre articolazioni e della cute sono presenti organelli sensoriali che hanno lo scopo di informare costantemente il nostro cervello su qualunque variazione di lunghezza o tono delle nostre fibre muscolari, sulla posizione dei segmenti ossei articolati tra loro e sugli stimoli pressori e vibratori, inviando impulsi che raggiungono i centri superiori attraverso il midollo spinale. Tutto questo sistema comunica anche con un altro senso spesso dimenticato, ovvero l’equilibrio, e con la parte del sistema nervoso più importante per l’apprendimento motorio, ovvero il cervelletto, responsabile anche della coordinazione e precisione dei movimenti. Mettendo insieme gli input provenienti dall’orecchio interno (dove risiede l’organo dell’equilibrio, assieme a quello dell’udito), dal cervelletto e dal midollo spinale, il nostro cervello può elaborare questa grande quantità di informazioni e avere un’idea della posizione della nostra testa e del nostro corpo nello spazio, in ogni istante, in staticità o in movimento, così da inviare impulsi ai muscoli per attuare le dovute modificazioni posturali. Molto spesso nella riabilitazione dopo traumi e lesioni si praticano esercizi propriocettivi, per recuperare il controllo della propria postura o anche per abituare il proprio corpo al nuovo eventuale “status quo”, ma in realtà qualunque sportivo (per non dire anche qualunque essere umano) beneficerebbe di un allenamento propriocettivo: pensiamo ad una corsa su di un terreno sconnesso, o ai percorsi per bici da cross, il tutto magari in situazioni di scarsa visibilità.
Tutto questo cosa c’entra con la pratica dello Iaido? C’entra con il fatto che tendenzialmente non siamo stati molto abituati a percepire il nostro corpo, non ci è mai interessato più di tanto; fintanto che, occhio e croce, riusciamo a reggerci in piedi e a camminare e correre senza cadere, lo consideriamo un successo. Eppure, quando iniziamo a praticare Iaido ci rendiamo conto che un piede spostato di 30° non è un piede spostato di 45°, i nostri maestri ce lo ripetono fino alla nausea, noi lo sappiamo, lo capiamo, ma non sempre lo percepiamo. Questa mancata percezione delle piccole differenze potrebbe essere dovuta in parte ad una tendenza ad essere abitudinari, ovvero a non modificare movimenti e posizioni che abbiamo trovato confortevoli per mesi o anni, e in parte forse ad una vera e propria disattenzione e ignoranza nei confronti della nostra propriocezione.
Lungi da me parlare di quale sia un adeguato allenamento propriocettivo, di come si possa migliorare tutto il sistema o di chi ne abbia più bisogno di altri, non ne ho la competenza né un’adeguata conoscenza. C’è però una nozione basilare che può aiutarci prima di tutto: la propriocezione è più difficile da allenare e comprendere in velocità. Se ogni volta che eseguiamo un kata lo facciamo alla velocità massima di cui siamo capaci, concentrandoci sull’essere aggressivi come se fossimo ad una gara e sul far fischiare la lama, difficilmente porremo attenzione sull’atteggiamento delle singole parti del nostro corpo. Sarebbe dunque più utile ogni tanto rallentare e concentrarsi su cosa stanno facendo i nostri arti, dalle porzioni più vicine al tronco a quelle più periferiche, anche grazie al supporto della vista inizialmente, che siamo molto più abituati ad usare. Quando si impara a suonare uno strumento si utilizzano metodi simili: imparando lentamente il brano manteniamo il controllo su ogni movimento delle mani, su ogni dito, i nostri occhi si spostano dalle nostre mani allo spartito freneticamente; solo successivamente l’attenzione si può spostare sui dettagli, sulla velocità adeguata, sul colore che vogliamo dare, sulle emozioni che vogliamo suscitare, lasciando libere le dita di andare “con il pilota automatico inserito” sui tasti giusti.
Qualora però identificassimo un errore basilare e strutturale, anche in una fase di studio avanzato, l’unico modo per correggerlo sarebbe tornare indietro, dimenticarsi di tutto il resto, e riprendere a eseguire lentamente quella singola parte in cui sbagliamo, cercando di recuperare il controllo su ogni dito. Tornando a nominare il cervelletto e l’apprendimento motorio, ci sono vere e proprie modificazioni plastiche nel nostro sistema nervoso quando si ripete lo stesso movimento: il nostro cervello e il nostro corpo si abituano alla ripetizione, rafforzando le sinapsi, anche per questo motivo è tanto più difficile correggere o cambiare qualcosa a cui siamo così radicalmente abituati, rispetto ad imparare qualcosa di nuovo.
In poche parole, come dicono i nostri bravi maestri, “per cambiare qualcosa, qualcosa deve cambiare”, ma cambiamenti piccoli in pratiche molto radicate nella nostra mente richiedono rivoluzioni di grande portata, un passo alla volta, finanche ritornando alle basi.
Alberto Cramarossa, mudan
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© L’illustrazione esplicativa sul significato di propriocezione, percezione ecc. è stata estrapolata da The neuroscience of body memory: From the self through the space to the others.
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