Guardando i dati statistici degli iscritti CIK si nota che una buona parte degli abbandoni avviene attorno al grado di 4° dan in tutte le discipline che fanno capo alla federazione. Le persone hanno già fatto 7/10 anni di pratica ma decidono di non continuare ed abbandonano la disciplina.
Se si ha una lunga esperienza di insegnamento il dato non stupisce perché in effetti si è già visto più volte le persone affrontare un periodo di difficoltà attorno al quel grado, diciamo fra terzo e quinto dan.
Che cosa succede? Come mai abbandoniamo una cosa che ci divertiva molto e a cui abbiamo dedicato molto tempo? Perché l’entusiasmo che ci sosteneva un tempo e che ci ha fatto fare mille viaggi adesso non c’è più?
Le ragioni ovviamente possono essere molteplici e sintetizzarle è chiaramente una semplificazione ma può essere utile per avviare una riflessione sia dal punto di vista dell’insegnante che di chi si trova in questo stadio. Secondo la mia esperienza di insegnamento le difficoltà sono raggruppabili in tre tipologie.

Una prima motivazione, la più semplice da analizzare, può derivare dalle difficoltà a passare il proprio grado. Come sappiamo il passaggio del 4° dan è abbastanza difficile dobbiamo convincere 4 commissari su 6 della bontà delle nostra prestazione e l’asticella dello standard richiesto si è alzata rispetto al 3° dan. Quindi può succedere che sia andato tutto bene fino a quel punto ma che improvvisamente ci troviamo di fronte a degli ostacoli. Come diceva il Maestro P. West in un suo scritto (pubblicato in biblioteca kiryoku): “in questo stadio il grado è semplicemente un ostacolo da superare. Solamente più avanti, con una maggiore conoscenza ed esperienza, possiamo vedere esattamente ciò che è necessario” .
A questo livello di pratica abbiamo degli obiettivi davanti a noi, non raggiungerli ci mette in difficoltà, ci crea dei dubbi sulle nostre capacità o sulle capacità di chi ci insegna (dipende dal proprio livello di consapevolezza e dal proprio carattere). Non superare l’ostacolo rappresentato dall’esame ci demotiva e innesca una serie di reazioni che ci allontanano progressivamente dalla pratica. Il Maestro Ishido ci ha spesso detto quando andiamo in Giappone che non tutti possono arrivare a prendere il 6° o 7° dan, ci sono problemi legati all’età, al lavoro, alla salute e ad una miriade di questioni che la vita ci pone davanti, ma questo non dovrebbe mai essere un problema. Pratichiamo per migliorare noi stessi e dobbiamo praticare con gioia perché la pratica ci aiuta nel nostro percorso. Se il nostro percorso non ci permette di superare l’asticella che definisce lo standard del grado non dovrebbe essere un problema. Il vero problema è: la nostra pratica migliora noi stessi?

Questo è un concetto abbastanza comune in Giappone ma molto più difficile da accettare per noi occidentali. Per noi i traguardi, le vittorie sono il vero simbolo del miglioramento e non riusciamo a fare a meno di confrontarci con gli altri. Da qui inizia la problematica che stiamo analizzando e che può svilupparsi su direttrici molto diverse a seconda della personalità del soggetto in questione: “ non sono capace- depressione” , “non mi insegnano bene- rancore”, “ gli altri sono favoriti – invidia” , “ce l’hanno con me – vittimismo e rancore” ecc.
Proprio perché la difficoltà di questo momento si innesta e viene amplificata dalle questioni personali di ognuno di noi è difficile capire come intervenire. Per passare un esame, come dicono tutti i Maestri, ci vuole più pratica ma una pratica corretta e bisogna ampliare i propri orizzonti quindi studiare anche fuori dal proprio dojo. Se abbiamo difficoltà di tempo o problemi fisici che ci impediscono di fare questo dobbiamo capire la bellezza della pratica in sé stessa, dobbiamo guardare profondamente dentro di noi e trovare le giuste motivazioni che ci permettono di continuare a praticare con gioia al di là del risultato.

Un secondo ordine di problemi nasce dal nostro atteggiamento mentale rispetto agli insegnamenti. Abbiamo già praticato per almeno 7 anni, abbiamo già capito le cose e sappiamo farle! Ho già trattato la problematica del “pensare di sapere” nell’intervento Cuore (mente) da principiante che ho scritto pensando ad alcuni praticanti 3°-4° dan del dojo. Non ho molto altro da aggiungere se non specificare che possiamo essere del tutto inconsapevoli di avere questo tipo di atteggiamento. E’ una cosa che mi colpisce molto e che vedo ripetersi di continuo. Solo pochi giorni fa ho detto ad una persona che il suo kata non era corretto e andava modificato e la risposta, del tutto inconsapevole del vero significato della stessa, è stata “ma no, ho anche visto il video, andava bene”. La stessa persona nell’allenamento successivo ha ridimostrato il blocco mentale che le impedisce di cambiare, un Sensei ha detto di fare un esercizio in un modo e lei ha continuato a farlo secondo quanto credeva giusto, nuovamente del tutto inconsciamente la sua mente le impediva di vedere che c’era una differenza in quanto richiesto dal Sensei in quel momento. Questo tipo di atteggiamento provoca in me un moto di tenerezza, non ci rendiamo conto che le nostre certezze ci limitano. Nel tempo questo tipo di atteggiamenti determina un progresso lento e limitato innescandosi e accrescendo le problematiche del punto precedente, oppure determinando una perdita di fiducia negli istruttori e quindi una ricerca di indipendenza che può portare alla creazione di nuove società ma che a volte determina un abbandono in un futuro molto vicino. E’ come se il 3°/4° dan passasse attraverso una fase adolescenziale di certezze e ricerca dell’indipendenza, a volte anche i meccanismi che vengono messi a punto in questo periodo sono tipici di quella fase della vita: ribellione, rifiuto, certezze, ricerca di nuovi riferimenti, critica estesa ecc.

E’ molto difficile intervenire su questo genere di problema, si può cercare di aiutare la comprensione delle persone ma essendoci spesso una chiusura del tutto inconsapevole è difficile. Si può anche cercare di favorire la ricerca di indipendenza della persona creandogli dei ruoli di insegnamento o di altre competenze che possano aiutarlo a sviluppare un atteggiamento diverso. Nuovamente è una problematica, da quanto mi è stato dato di vedere, molto legata al mondo occidentale, in Giappone dove c’è una pressione al conformismo maggiore rispetto a noi, dove il concetto di kohai/senpai è generalizzato ad ogni situazione di vita, e dove il 4° dan è un grado che non ha un particolare rilievo, è molto più chiaro che la Via è appena iniziata e che l’unico atteggiamento possibile è continuare a studiare con un corretto senso di umiltà fino almeno all’8°dan hanshi (!).
Un’ ulteriore possibilità di problemi nasce dall’accresciuta difficoltà a progredire da un certo punto in avanti. Fino a quel punto (attorno al 4° dan), i cambiamenti sono stati veloci e relativamente facili. Adesso si tratta di andare più a fondo e sviluppare una tecnica abbastanza consolidata, inserendo elementi di qualità più sottili, più difficili da capire e da studiare. Ogni cambiamento richiede un tempo più lungo, bisogna impegnarsi più di prima. In questa fase è necessario studiare di più se si vuole ottenere un reale progresso. Bisognerebbe praticare di più, girare e vedere molti insegnanti, fare molti stage, accumulare pratica e conoscenza. Invece spesso rallentiamo perché ci sono molte cose della nostra vita che ci distraggono e non capiamo fino in fondo che cosa significa veramente la via che stiamo studiando.

Studiare un’ arte marziale è come salire un’ infinita scala a chiocciola, ad ogni piano mi posso fermare ed osservare il paesaggio, che è sempre lo stesso, ma cambia perché cambia l’altezza dal quale guardiamo, man mano che salgo la scala diventa più sottile e i gradini più difficili. (…Sì, lo so, parlando di profondità bisognerebbe usare come metafora una scala a chiocciola che va verso il basso sempre più in fondo, ma a me piacciono i paesaggi visti dall’alto!!!). Ad un certo punto possiamo pensare che non vale la pena di faticare per salire ancora un po’, tanto il paesaggio lo abbiamo già visto.
Anche in questo caso non è facile intervenire. Bisogna creare una cultura dell’arte marziale dimostrando con l’esempio e con i riferimenti come deve essere la Via. Non sempre però è facile ascoltare o capire questo passaggio.
Gli insegnanti hanno una grande responsabilità nel periodo attorno al 4° dan e devono usare la loro esperienza per aumentare la comprensione delle persone e la loro capacità di approcciarsi con gioia allo studio della Via. A volte però, non si riesce a fare nulla, perché le barriere possono essere molto alte e può non esserci la capacità/volontà di superarle da parte di chi studia.

Danielle Borra, 7 dan kyoshi

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© Le fotografie utilizzate in questo articolo sono state scattate da Lorenzo Depetris.

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